La guida di Domenico

Domenico
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Ristoranti e pizzerie suggerite

Ottima pizzeria a pochi metri da Little Home Holiday. ORARI: lunedì 19–23 martedì 19–23 mercoledì Chiuso giovedì 19–23 venerdì 19–23 sabato 19–23 domenica 19–23
Pinocchio Pizzeria
18 Via Marsala
Ottima pizzeria a pochi metri da Little Home Holiday. ORARI: lunedì 19–23 martedì 19–23 mercoledì Chiuso giovedì 19–23 venerdì 19–23 sabato 19–23 domenica 19–23
Ottimo Ristorante dove potrete gustare piatti con i sapori della tradizione locale, a pochi metri da Little Home Holiday. ORARI:- lunedì 12:30–15, 19–23 martedì 12:30–15, 19–23 mercoledì 12:30–15, 19–23 giovedì 12:30–15, 19–23 venerdì 12:30–15, 19–23 sabato 19–23 CHIUSO LA DOMENICA .
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La Taverna Del Lupo
22 Piazza dei cappuccini
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Ottimo Ristorante dove potrete gustare piatti con i sapori della tradizione locale, a pochi metri da Little Home Holiday. ORARI:- lunedì 12:30–15, 19–23 martedì 12:30–15, 19–23 mercoledì 12:30–15, 19–23 giovedì 12:30–15, 19–23 venerdì 12:30–15, 19–23 sabato 19–23 CHIUSO LA DOMENICA .
A pochi metri da Little Home Holiday, nel panificio Giummarra, troverete tanti tipi di pane, panini, scacce di vari tipi tra cui quelle con ricotta e fave e i tomasini con ricotta e salsiccia, vari tipi di pizza tra cui la pizza campagnola, arancini, croccanti cornetti, morbide ciambelle e tanti tipi di biscotti. ORARI: lunedì 07:15–14, 17:30–20 martedì 07:15–14, 17:30–20 mercoledì 07:15–14, 17:30–20 giovedì 07:15–14, 17:30–20 venerdì 07:15–14, 17:30–20 sabato 07:15–14, 17:30–20 DOMENICA CHIUSO
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Panificio Giummarra
23 Via Traspontino
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A pochi metri da Little Home Holiday, nel panificio Giummarra, troverete tanti tipi di pane, panini, scacce di vari tipi tra cui quelle con ricotta e fave e i tomasini con ricotta e salsiccia, vari tipi di pizza tra cui la pizza campagnola, arancini, croccanti cornetti, morbide ciambelle e tanti tipi di biscotti. ORARI: lunedì 07:15–14, 17:30–20 martedì 07:15–14, 17:30–20 mercoledì 07:15–14, 17:30–20 giovedì 07:15–14, 17:30–20 venerdì 07:15–14, 17:30–20 sabato 07:15–14, 17:30–20 DOMENICA CHIUSO
Grande supermercato, dove oltre ai normali prodotti, potrete trovare piatti già pronti, preparati giornalmente da portare via, come antipasti, primi, secondi, contorni, dolci di tantissimi tipi, tra cui i cannoli ed anche scacce , pizze, arancini e polli arrosto. Troverete anche ricotta fresca, cacio cavallo ragusano e pecorino di varie stagionature e tantissimi altri prodotti locali. Troverete anche uno spazio dove personale giapponese, giornalmente, appronta varie specialità di Sushi. L'abbiamo suggerito a tutti gli ospiti avuti che sono rimasti molto soddisfatti e contenti. Si trova a 2.9 km da Little Home Holiday. ORARI: lunedì 08:30–21:30 martedì 08:30–21:30 mercoledì 08:30–21:30 giovedì 08:30–21:30 venerdì 08:30–21:30 sabato 08:30–21:30 domenica 09–21
Interspar Le Dune
21 Via Giorgio La Pira
Grande supermercato, dove oltre ai normali prodotti, potrete trovare piatti già pronti, preparati giornalmente da portare via, come antipasti, primi, secondi, contorni, dolci di tantissimi tipi, tra cui i cannoli ed anche scacce , pizze, arancini e polli arrosto. Troverete anche ricotta fresca, cacio cavallo ragusano e pecorino di varie stagionature e tantissimi altri prodotti locali. Troverete anche uno spazio dove personale giapponese, giornalmente, appronta varie specialità di Sushi. L'abbiamo suggerito a tutti gli ospiti avuti che sono rimasti molto soddisfatti e contenti. Si trova a 2.9 km da Little Home Holiday. ORARI: lunedì 08:30–21:30 martedì 08:30–21:30 mercoledì 08:30–21:30 giovedì 08:30–21:30 venerdì 08:30–21:30 sabato 08:30–21:30 domenica 09–21

Agenzia viaggi

Agenzia Viaggi e Turismo "Il Giardino dei Viaggi", si trova n Via Dottor Filippo Pennavaria n. 31, a metri 100 da Little Home Holiday.
Alcuni nostri ospiti hanno avuto necessità di acquistare biglietti, gli abbiamo suggerito l'Agenzia Viaggi e Turismo "Il Giardino dei Viaggi" a cui si sono rivolti e sono rimasti soddisfatti.
Via Dottor Filippo Pennavaria, 31
31 Via Dottor Filippo Pennavaria
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Coiffeur

Si trova a soli 10 metri da Little Home Holiday. CHIUSO IL LUNEDI
Parrucchiere Cascione Salvatore
18 Via Ciullo D'Alcamo
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Monumenti riconosciuti dall' UNESCO

I 18 monumenti di Ragusa riconosciuti dall'UNESCO.
La chiesa di Santa Maria delle Scale è una chiesa di Ragusa. È posta tra Ragusa Ibla e Ragusa Superiore, al limite tra i due centri. Storia Secondo una tradizione locale, la chiesa sarebbe stata edificata dai monaci cistercensi dell'abbazia di Santa Maria di Roccadia di Lentini, in forme gotiche, nella prima metà del XIII secolo. Dopo il terremoto del 1693 fu ampliata e in gran parte ricostruita in stile barocco. Nella ricostruzione settecentesca l'orientamento della chiesa fu ruotato di 90º in senso antiorario, le absidi primitive furono trasformate negli attuali portali della navata destra e relativi ambienti Descrizione La chiesa è a tre navate e priva di abside. Dell'ingresso centrale originale rimane la parte sinistra del portale. Parete destra Cappella di San Giuseppe. Nell'ambiente è custodita la statua raffigurante San Giuseppe, sulla contro facciata l'affresco San Biagio del 1597. Sulla navata centrale si aprono quattro portali della chiesa originaria Primo portale, prossimo all'ingresso, poggia su due colonnine scolpite che si innalzano a formare un arco acuto in stile gotico. Secondo portale presenta anch'esso un arco acuto in stile gotico, in cima ad esso è presente una figura di Madonna col Bambino. Nell'altare corrispondente è visibile un gruppo scultoreo raffigurante la Pietà del XX secolo. Terzo portale presenta la parte inferiore con colonnine in stile gotico e quella superiore con fioroni in stile rinascimentale. Nell'altare corrispondente e è visibile una bellissima altorilievo in terracotta policroma del 1538 raffigurante il Transito della Vergine o Dormitio Virginis. In origine cappellone dedicato all'Assunzione della Vergine, l'ambiente è stato rifatto nel 1538, in forme rinascimentali. Quarto portale: Cappella delle Anime Purganti. Il portale presenta un fascio di colonnine strombate che si innalzano fino a formare un arco acuto in stile gotico del XV secolo. Nell'altare corrispondente è custodito il quadro raffigurante la Madonna col Bambino e le Anime Purganti del XIX secolo. Nella parte finale della navata è collocata la cantoria e una statua raffigurante Santa Lucia. Parete sinistra Pulpito del XV secolo e fonte battesimale del 1557. Prima campata: Seconda campata: Terza campata: Absidiole Absidiola destra: Cappella del Santissimo Crocifisso. Sull'altare è collocato un Crocifisso, sulla parete destra vicino al varco con la sagrestia il quadro raffigurante l'Immacolata Concezione. Absidiola destra: Cappella del Santissimo Sacramento. Abside centrale: Altare maggiore. L'ambiente custodisce la statua raffigurante la Vergine Assunta.
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Kirken St. Mary of the Stairs
Discesa Santa Maria
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La chiesa di Santa Maria delle Scale è una chiesa di Ragusa. È posta tra Ragusa Ibla e Ragusa Superiore, al limite tra i due centri. Storia Secondo una tradizione locale, la chiesa sarebbe stata edificata dai monaci cistercensi dell'abbazia di Santa Maria di Roccadia di Lentini, in forme gotiche, nella prima metà del XIII secolo. Dopo il terremoto del 1693 fu ampliata e in gran parte ricostruita in stile barocco. Nella ricostruzione settecentesca l'orientamento della chiesa fu ruotato di 90º in senso antiorario, le absidi primitive furono trasformate negli attuali portali della navata destra e relativi ambienti Descrizione La chiesa è a tre navate e priva di abside. Dell'ingresso centrale originale rimane la parte sinistra del portale. Parete destra Cappella di San Giuseppe. Nell'ambiente è custodita la statua raffigurante San Giuseppe, sulla contro facciata l'affresco San Biagio del 1597. Sulla navata centrale si aprono quattro portali della chiesa originaria Primo portale, prossimo all'ingresso, poggia su due colonnine scolpite che si innalzano a formare un arco acuto in stile gotico. Secondo portale presenta anch'esso un arco acuto in stile gotico, in cima ad esso è presente una figura di Madonna col Bambino. Nell'altare corrispondente è visibile un gruppo scultoreo raffigurante la Pietà del XX secolo. Terzo portale presenta la parte inferiore con colonnine in stile gotico e quella superiore con fioroni in stile rinascimentale. Nell'altare corrispondente e è visibile una bellissima altorilievo in terracotta policroma del 1538 raffigurante il Transito della Vergine o Dormitio Virginis. In origine cappellone dedicato all'Assunzione della Vergine, l'ambiente è stato rifatto nel 1538, in forme rinascimentali. Quarto portale: Cappella delle Anime Purganti. Il portale presenta un fascio di colonnine strombate che si innalzano fino a formare un arco acuto in stile gotico del XV secolo. Nell'altare corrispondente è custodito il quadro raffigurante la Madonna col Bambino e le Anime Purganti del XIX secolo. Nella parte finale della navata è collocata la cantoria e una statua raffigurante Santa Lucia. Parete sinistra Pulpito del XV secolo e fonte battesimale del 1557. Prima campata: Seconda campata: Terza campata: Absidiole Absidiola destra: Cappella del Santissimo Crocifisso. Sull'altare è collocato un Crocifisso, sulla parete destra vicino al varco con la sagrestia il quadro raffigurante l'Immacolata Concezione. Absidiola destra: Cappella del Santissimo Sacramento. Abside centrale: Altare maggiore. L'ambiente custodisce la statua raffigurante la Vergine Assunta.
Il palazzo Battaglia è un edificio civile storico in stile Barocco di Ragusa, riconosciuto patrimonio dell'UNESCO. Fu distrutto a causa di un disastroso evento sismico e ricostruito a partire dal 1724 su iniziativa del barone Grandonio Battaglia di Torrevecchia. Descrizione La struttura, a pianta quadrangolare, risale alla prima metà del XVIII secolo, su disegno probabilmente di Rosario Gagliardi. Il palazzo è costituito da un pianterreno e un primo piano separati da un marcapiano in pietra; nel pianterreno si apre l'imponente portale d'ingresso, affiancato da due finestroni, mentre nel superiore piano nobile si trovano tre balconi. Quello centrale è sovrastato dal grande scudo araldico con gli stemmi delle famiglie Battaglia e Giampiccolo. La seconda facciata, prospettante su via Chiaramonte, è caratterizzata da un grande balcone a tribuna raccordato con il sottostante portone d'ingresso da una particolarissima modanatura portante al centro una finestra ovale.
Palazzo Battaglia
40 Via Chiaramonte
Il palazzo Battaglia è un edificio civile storico in stile Barocco di Ragusa, riconosciuto patrimonio dell'UNESCO. Fu distrutto a causa di un disastroso evento sismico e ricostruito a partire dal 1724 su iniziativa del barone Grandonio Battaglia di Torrevecchia. Descrizione La struttura, a pianta quadrangolare, risale alla prima metà del XVIII secolo, su disegno probabilmente di Rosario Gagliardi. Il palazzo è costituito da un pianterreno e un primo piano separati da un marcapiano in pietra; nel pianterreno si apre l'imponente portale d'ingresso, affiancato da due finestroni, mentre nel superiore piano nobile si trovano tre balconi. Quello centrale è sovrastato dal grande scudo araldico con gli stemmi delle famiglie Battaglia e Giampiccolo. La seconda facciata, prospettante su via Chiaramonte, è caratterizzata da un grande balcone a tribuna raccordato con il sottostante portone d'ingresso da una particolarissima modanatura portante al centro una finestra ovale.
La chiesa di San Filippo Neri venne edificata nel 1636 su commissione dell'omonima confraternita. Storia Questa non riportò danni dal terribile terremoto del 1693 e venne probabilmente ampliata tra il 1738 e il 1740. Alcuni anni dopo, nel 1761, subì un ulteriore intervento di ristrutturazione con l'elevazione dei prospetti laterali, l'apertura delle grandi finestre e la costruzione della volta. Descrizione Il prospetto si affaccia su un piccolo sagrato recintato ed è impreziosito dal portone d'ingresso, incorniciato da due colonne lisce con capitello corinzio che reggono la trabeazione col fregio decorato a motivi vegetali. Sopra il portone si apre una finestra affiancata da due belle volute in pietra e sormontata da una cornice aggettante su cui poggiano altre due volute. La chiesa comprende un'unica navata con quattro altari e una sola cappella.
Chiesa di San Filippo Neri
Via Giusti
La chiesa di San Filippo Neri venne edificata nel 1636 su commissione dell'omonima confraternita. Storia Questa non riportò danni dal terribile terremoto del 1693 e venne probabilmente ampliata tra il 1738 e il 1740. Alcuni anni dopo, nel 1761, subì un ulteriore intervento di ristrutturazione con l'elevazione dei prospetti laterali, l'apertura delle grandi finestre e la costruzione della volta. Descrizione Il prospetto si affaccia su un piccolo sagrato recintato ed è impreziosito dal portone d'ingresso, incorniciato da due colonne lisce con capitello corinzio che reggono la trabeazione col fregio decorato a motivi vegetali. Sopra il portone si apre una finestra affiancata da due belle volute in pietra e sormontata da una cornice aggettante su cui poggiano altre due volute. La chiesa comprende un'unica navata con quattro altari e una sola cappella.
La cattedrale di San Giovanni Battista è il principale luogo di culto di Ragusa superiore. Storia Epoca aragonese La chiesa, prima del terremoto del 1693, sorgeva nella parte ovest dell'antico abitato di Ragusa sotto le mura del castello medievale, dove oggi si trova la chiesetta di Santa Agnese, edificata sulle sue rovine verso la fine del XVIII secolo. Epoca spagnola Gravemente danneggiata dal sisma, viene riedificata al centro del nuovo abitato di Ragusa nella contrada del "Patro". Il 15 aprile del 1694 fu posta la prima pietra e la chiesa dopo appena quattro mesi era completa, tanto che il 16 agosto fu aperta al culto con una solenne cerimonia cui presenziarono tutti i maggiorenti della Contea. Il breve tempo occorso per la costruzione indica che si trattava di una piccola chiesa, inadeguata alle esigenze del nuovo quartiere della città in espansione. Pertanto furono i sangiovannari a ricostruire per primi un proprio luogo di culto, circostanza che continuò ad alimentare l'acredine e fomentare le diatribe nei confronti dei sangiorgiani, arroccati nella primitiva parte di città. Fazioni da sempre in contrasto, ove un evento sismico aveva ribaltato la supremazia dei luoghi e l'ordine delle correnti. L'emancipazione della chiesa di San Giovanni avviene nel 1714. Pertanto fu decretato l'ingrandimento del tempio, nel 1718 si iniziò, quindi, la costruzione nello stesso sito di una chiesa più grande. Due capimastri di Acireale, Giuseppe Recupero e Giovanni Arcidiacono, potrebbero aver svolto un ruolo progettuale, e alcuni particolari architettonici dei prospetti della chiesa di San Giovanni sono tipici dei monumenti barocchi dell'area Acese e Catanese, come le caratteristiche paraste bugnate o il monumentale portale maggiore (che presenta notevoli analogie con il portale marmoreo della Cattedrale di Acireale). Epoca contemporanea Il tempio fu solennemente consacrato il 31 maggio 1778, cerimonia presieduta dal vescovo di Siracusa Giovanni Battista Alagona. Nel 1783 fu innalzata la cupola, ricoperta all'esterno da lamine di rame durante il XX secolo. Nel 1848 fu rinnovata la pavimentazione mediante l'utilizzo di lastre di pietra pece, impreziosite da intarsi geometrici in pietra calcarea. I continui ricorsi di entrambi i rettori delle due fazioni alla Congregazione dei Riti presso la Santa Sede[4] determina il 10 dicembre 1865 la divisione civile del comune, due distinti sindaci, due duomi, l'esplicito riconoscimento di due correnti (sangiovannari e sangiorgiani), due arcipreture ciascuna col suo santo patrono: San Giovanni Battista per Ragusa, San Giorgio per Ragusa Ibla. Il 6 maggio 1950 il tempio fu elevato alla dignità di cattedrale della diocesi di Ragusa, territorio ecclesiale staccato dall'arcidiocesi di Siracusa. Tra il 1992 e il 1995 sono state realizzate campagne di restauro dell'intero edificio. Dal 2002, riconoscimento Unesco e l'inserimento tra i monumenti cittadini del circuito delle Città tardo barocche del Val di Noto e nella World Heritage List. Descrizione Esterno I portali della facciata La maestosa facciata, ricca di intagli e sculture e divisa in cinque partiti da grandi colonne, su alti basamenti, e da caratteristiche lesene bugnate che si ripetono anche nei lati della costruzione, è arricchita da tre portali: quello centrale è ornato da colonne e statue di pregevole fattura che rappresentano l'Immacolata, il Battista e San Giovanni Evangelista. Davanti si apre un ampio sagrato, sopraelevato rispetto alla piazza sottostante e cinto da una balaustra in pietra pece costruita nel 1745. Nel partito centrale si trova il portale d'ingresso, affiancato da due coppie di colonne riccamente scolpite, che reggono un timpano spezzato; ai lati le statue di San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista e, al centro, in una edicola, la statua dell'Immacolata. Nel secondo ordine, più modesto rispetto al primo, risaltano due grandi orologi solari datati 1751 (quello a sinistra misura il tempo in "ore italiche": dal tramonto al tramonto; quello a destra in "ore francesi": da mezzanotte a mezzanotte). La facciata contiene una campana in Mib3. Sul lato sinistro del prospetto svetta il campanile che si innalza per circa cinquanta metri (del campanile che doveva essere costruito sul lato destro fu realizzata soltanto la base nel 1820). Presenti quattro campane in tonalità di do3. Interno Interno Navata. L'interno, a croce latina, con presbiterio absidato, è in pietra pece, oggi intonacato, con capitelli riccamente scolpiti dal capomastro Carmelo Cultraro nel 1731 e successivamente dorati. Sopra le colonne si trovano grandi cartigli con i versetti della Sacra Scrittura che si riferiscono a Giovanni il Battista, scolpiti nella pietra calcarea da Crispino Corallo nel 1741, a cui successivamente vennero aggiunti gli angeli in stucco. Tra il 1776 e il 1777 Giuseppe Gianforma ed il figlio Gioacchino decorarono con pregevoli stucchi dorati di gusto rococò le volte delle navate e del presbiterio e nelle pareti dei transetti realizzarono delle grandi nicchie circondate da statue. All'incrocio del transetto con la navata centrale, nel 1783, fu innalzata la cupola che, nei primi anni del XX secolo, fu rivestita con una copertura di lastre di rame, per eliminare le nocive infiltrazioni d'acqua piovana che ne stavano compromettendo la struttura. Nella prima metà del secolo XIX gli altari delle navate laterali originariamente in pietra calcarea riccamente scolpita e dorata, opera degli intagliatori ragusani della famiglia Cultraro, sono demoliti e trasformati in piccole cappelle, in cui vennero posti dei sobri altari in marmi policromi. Navata destra Prima campata: Fonte battesimale. Manufatto marmoreo sormontato da scultura bronzea realizzato nel 1955 dall'artista Carmelo Cappello. Seconda campata: Cappella di Sant'Isidoro Agricola. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante Sant'Isidoro Agricola, opera di autore ignoto del 1773. Terza campata: Cappella di San Gregorio Magno. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante San Gregorio Magno, opera di Paolo Vetri. Quarta campata: Ingresso laterale destro, corso Italia. Quinta campata: Cappella dell'Immacolata. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante Immacolata Concezione, opera di Dario Guerci. Sesta campata: Organo. L'ambiente ospita dal 1858 il grande organo "Serassi", la monumentale cantoria in legno scolpito e dorato, oggi è posta sopra la porta maggiore. Navata sinistra Prima campata: L'ambiente custodisce la statua lignea raffigurante San Giovanni Battista, opera scolpita nel 1838 dal maestro ragusano Carmelo Licitra, detto Giuppino. Seconda campata: Cappella di San Giuseppe. Nella nicchia della sopraelevazione è custodita la scultura lignea raffigurante San Giuseppe di fattura napoletana. Terza campata: Cappella di San Filippo Neri. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante San Filippo Neri ritratto in atteggiamento adorante ai piedi del Bambin Gesù, opera attribuita a Sebastiano Conca. Quarta campata: Ingresso laterale sinistro, corso Vittorio Veneto. Quinta campata: Cappella dell'Addolorata. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante le Tre Marie. Sesta campata: Cappella del Cristo alla Colonna. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante Cristo alla colonna, opera di Francesco Manno del 1780. Transetto Prospetto. Cupola. Absidiola destra: Cappella del Santissimo Sacramento. Altare opera di Giuseppe Marino del 1787, altorilievi in marmo di Giuseppe Prinzi del 1870 raffiguranti il Sacrificio di Melchisedec e l'Ultima Cena. Braccio destro: Cappella della Natività. un magnifico tripudio di angeli e l'Eterno Padre accrescono la bellezza del dipinto della Natività, di cui sono ignoti autore e data, ma che presenta caratteri riconducibili all'area napoletana del Settecento. Sotto l'altare un meraviglioso Presepio con statue in terracotta del 1800. Aula capitolare. Absidiola sinistra: Cappella di San Giovanni Battista. Nel 1906 fu aggiunto il quadro raffigurante San Giovanni giovane nel deserto, vero e proprio ex voto per la presenza della piccola marchesa Schininà, opera di Paolo Vetri. Completano l'ambiente altorilievi marmorei del 1800 raffiguranti la Nascita del Precursore e la Decollazione del Battista. Braccio sinistro: Cappella della Madonna del Buon Consiglio o Altare del Crocifisso. Stucchi raffiguranti le tre Virtù teologali Fede, Speranza e Carità circondano un Crocifisso bronzeo. Sacrestia. Altare maggiore e presbiterio: Nel 1926 furono affrescati le pareti dell'altare maggiore con storie della vita del Battista (Predicazione e la Decapitazione del Battista, Santa Elisabetta e San Zaccaria) da Primo Panciroli, mentre i quattro Evangelisti affrescati sui pennacchi e il battistero, con storie dell'antico e nuovo Testamento, furono affrescati da Salvatore Cascone rispettivamente nel 1933 e 1954. Nel 1971, in osservanza alla riforma liturgica prevista dal Concilio Vaticano II, fu realizzato dallo scultore ragusano Arturo Dinatale, l'altare posto sotto l'arco trionfale. Opere Tela della Passione o taledda: telerio di enormi dimensioni collocato come velatura dell'abside durante il periodo quaresimale. La monumentale opera raffigura la Crocefissione di straordinaria potenza artistica. L'ignoto autore, utilizzando la tecnica della monocromia di tonalità grigia, la realizzò tra il 1773 e il 1792 ed è tra le più antiche tra quelle esistenti nella provincia di Ragusa. 1513, San Giovanni Battista, statua in pietra, primitivo simulacro raffigurante il santo patrono. Palazzo vescovile Palazzo vescovile Schininà di Sant'Elia. Museo Museo della cattedrale di San Giovanni Battista di Ragusa. Feste religiose 15 - 24 giugno, San Giovanni Battista, Dies natalis. Solenne festa liturgica per celebrare la natività del Precursore. 19 - 29 agosto, San Giovanni Battista. Festa liturgica e funzione processionale per celebrare il martirio del Precursore, patrono della città e della diocesi. Sarcia e Cuccagna, tradizioni documentate. 24 di ogni mese. Festa liturgica documentata, esposizione della reliquia.
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Ragusa-katedralen
41 Piazza S. Giovanni
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La cattedrale di San Giovanni Battista è il principale luogo di culto di Ragusa superiore. Storia Epoca aragonese La chiesa, prima del terremoto del 1693, sorgeva nella parte ovest dell'antico abitato di Ragusa sotto le mura del castello medievale, dove oggi si trova la chiesetta di Santa Agnese, edificata sulle sue rovine verso la fine del XVIII secolo. Epoca spagnola Gravemente danneggiata dal sisma, viene riedificata al centro del nuovo abitato di Ragusa nella contrada del "Patro". Il 15 aprile del 1694 fu posta la prima pietra e la chiesa dopo appena quattro mesi era completa, tanto che il 16 agosto fu aperta al culto con una solenne cerimonia cui presenziarono tutti i maggiorenti della Contea. Il breve tempo occorso per la costruzione indica che si trattava di una piccola chiesa, inadeguata alle esigenze del nuovo quartiere della città in espansione. Pertanto furono i sangiovannari a ricostruire per primi un proprio luogo di culto, circostanza che continuò ad alimentare l'acredine e fomentare le diatribe nei confronti dei sangiorgiani, arroccati nella primitiva parte di città. Fazioni da sempre in contrasto, ove un evento sismico aveva ribaltato la supremazia dei luoghi e l'ordine delle correnti. L'emancipazione della chiesa di San Giovanni avviene nel 1714. Pertanto fu decretato l'ingrandimento del tempio, nel 1718 si iniziò, quindi, la costruzione nello stesso sito di una chiesa più grande. Due capimastri di Acireale, Giuseppe Recupero e Giovanni Arcidiacono, potrebbero aver svolto un ruolo progettuale, e alcuni particolari architettonici dei prospetti della chiesa di San Giovanni sono tipici dei monumenti barocchi dell'area Acese e Catanese, come le caratteristiche paraste bugnate o il monumentale portale maggiore (che presenta notevoli analogie con il portale marmoreo della Cattedrale di Acireale). Epoca contemporanea Il tempio fu solennemente consacrato il 31 maggio 1778, cerimonia presieduta dal vescovo di Siracusa Giovanni Battista Alagona. Nel 1783 fu innalzata la cupola, ricoperta all'esterno da lamine di rame durante il XX secolo. Nel 1848 fu rinnovata la pavimentazione mediante l'utilizzo di lastre di pietra pece, impreziosite da intarsi geometrici in pietra calcarea. I continui ricorsi di entrambi i rettori delle due fazioni alla Congregazione dei Riti presso la Santa Sede[4] determina il 10 dicembre 1865 la divisione civile del comune, due distinti sindaci, due duomi, l'esplicito riconoscimento di due correnti (sangiovannari e sangiorgiani), due arcipreture ciascuna col suo santo patrono: San Giovanni Battista per Ragusa, San Giorgio per Ragusa Ibla. Il 6 maggio 1950 il tempio fu elevato alla dignità di cattedrale della diocesi di Ragusa, territorio ecclesiale staccato dall'arcidiocesi di Siracusa. Tra il 1992 e il 1995 sono state realizzate campagne di restauro dell'intero edificio. Dal 2002, riconoscimento Unesco e l'inserimento tra i monumenti cittadini del circuito delle Città tardo barocche del Val di Noto e nella World Heritage List. Descrizione Esterno I portali della facciata La maestosa facciata, ricca di intagli e sculture e divisa in cinque partiti da grandi colonne, su alti basamenti, e da caratteristiche lesene bugnate che si ripetono anche nei lati della costruzione, è arricchita da tre portali: quello centrale è ornato da colonne e statue di pregevole fattura che rappresentano l'Immacolata, il Battista e San Giovanni Evangelista. Davanti si apre un ampio sagrato, sopraelevato rispetto alla piazza sottostante e cinto da una balaustra in pietra pece costruita nel 1745. Nel partito centrale si trova il portale d'ingresso, affiancato da due coppie di colonne riccamente scolpite, che reggono un timpano spezzato; ai lati le statue di San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista e, al centro, in una edicola, la statua dell'Immacolata. Nel secondo ordine, più modesto rispetto al primo, risaltano due grandi orologi solari datati 1751 (quello a sinistra misura il tempo in "ore italiche": dal tramonto al tramonto; quello a destra in "ore francesi": da mezzanotte a mezzanotte). La facciata contiene una campana in Mib3. Sul lato sinistro del prospetto svetta il campanile che si innalza per circa cinquanta metri (del campanile che doveva essere costruito sul lato destro fu realizzata soltanto la base nel 1820). Presenti quattro campane in tonalità di do3. Interno Interno Navata. L'interno, a croce latina, con presbiterio absidato, è in pietra pece, oggi intonacato, con capitelli riccamente scolpiti dal capomastro Carmelo Cultraro nel 1731 e successivamente dorati. Sopra le colonne si trovano grandi cartigli con i versetti della Sacra Scrittura che si riferiscono a Giovanni il Battista, scolpiti nella pietra calcarea da Crispino Corallo nel 1741, a cui successivamente vennero aggiunti gli angeli in stucco. Tra il 1776 e il 1777 Giuseppe Gianforma ed il figlio Gioacchino decorarono con pregevoli stucchi dorati di gusto rococò le volte delle navate e del presbiterio e nelle pareti dei transetti realizzarono delle grandi nicchie circondate da statue. All'incrocio del transetto con la navata centrale, nel 1783, fu innalzata la cupola che, nei primi anni del XX secolo, fu rivestita con una copertura di lastre di rame, per eliminare le nocive infiltrazioni d'acqua piovana che ne stavano compromettendo la struttura. Nella prima metà del secolo XIX gli altari delle navate laterali originariamente in pietra calcarea riccamente scolpita e dorata, opera degli intagliatori ragusani della famiglia Cultraro, sono demoliti e trasformati in piccole cappelle, in cui vennero posti dei sobri altari in marmi policromi. Navata destra Prima campata: Fonte battesimale. Manufatto marmoreo sormontato da scultura bronzea realizzato nel 1955 dall'artista Carmelo Cappello. Seconda campata: Cappella di Sant'Isidoro Agricola. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante Sant'Isidoro Agricola, opera di autore ignoto del 1773. Terza campata: Cappella di San Gregorio Magno. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante San Gregorio Magno, opera di Paolo Vetri. Quarta campata: Ingresso laterale destro, corso Italia. Quinta campata: Cappella dell'Immacolata. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante Immacolata Concezione, opera di Dario Guerci. Sesta campata: Organo. L'ambiente ospita dal 1858 il grande organo "Serassi", la monumentale cantoria in legno scolpito e dorato, oggi è posta sopra la porta maggiore. Navata sinistra Prima campata: L'ambiente custodisce la statua lignea raffigurante San Giovanni Battista, opera scolpita nel 1838 dal maestro ragusano Carmelo Licitra, detto Giuppino. Seconda campata: Cappella di San Giuseppe. Nella nicchia della sopraelevazione è custodita la scultura lignea raffigurante San Giuseppe di fattura napoletana. Terza campata: Cappella di San Filippo Neri. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante San Filippo Neri ritratto in atteggiamento adorante ai piedi del Bambin Gesù, opera attribuita a Sebastiano Conca. Quarta campata: Ingresso laterale sinistro, corso Vittorio Veneto. Quinta campata: Cappella dell'Addolorata. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante le Tre Marie. Sesta campata: Cappella del Cristo alla Colonna. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante Cristo alla colonna, opera di Francesco Manno del 1780. Transetto Prospetto. Cupola. Absidiola destra: Cappella del Santissimo Sacramento. Altare opera di Giuseppe Marino del 1787, altorilievi in marmo di Giuseppe Prinzi del 1870 raffiguranti il Sacrificio di Melchisedec e l'Ultima Cena. Braccio destro: Cappella della Natività. un magnifico tripudio di angeli e l'Eterno Padre accrescono la bellezza del dipinto della Natività, di cui sono ignoti autore e data, ma che presenta caratteri riconducibili all'area napoletana del Settecento. Sotto l'altare un meraviglioso Presepio con statue in terracotta del 1800. Aula capitolare. Absidiola sinistra: Cappella di San Giovanni Battista. Nel 1906 fu aggiunto il quadro raffigurante San Giovanni giovane nel deserto, vero e proprio ex voto per la presenza della piccola marchesa Schininà, opera di Paolo Vetri. Completano l'ambiente altorilievi marmorei del 1800 raffiguranti la Nascita del Precursore e la Decollazione del Battista. Braccio sinistro: Cappella della Madonna del Buon Consiglio o Altare del Crocifisso. Stucchi raffiguranti le tre Virtù teologali Fede, Speranza e Carità circondano un Crocifisso bronzeo. Sacrestia. Altare maggiore e presbiterio: Nel 1926 furono affrescati le pareti dell'altare maggiore con storie della vita del Battista (Predicazione e la Decapitazione del Battista, Santa Elisabetta e San Zaccaria) da Primo Panciroli, mentre i quattro Evangelisti affrescati sui pennacchi e il battistero, con storie dell'antico e nuovo Testamento, furono affrescati da Salvatore Cascone rispettivamente nel 1933 e 1954. Nel 1971, in osservanza alla riforma liturgica prevista dal Concilio Vaticano II, fu realizzato dallo scultore ragusano Arturo Dinatale, l'altare posto sotto l'arco trionfale. Opere Tela della Passione o taledda: telerio di enormi dimensioni collocato come velatura dell'abside durante il periodo quaresimale. La monumentale opera raffigura la Crocefissione di straordinaria potenza artistica. L'ignoto autore, utilizzando la tecnica della monocromia di tonalità grigia, la realizzò tra il 1773 e il 1792 ed è tra le più antiche tra quelle esistenti nella provincia di Ragusa. 1513, San Giovanni Battista, statua in pietra, primitivo simulacro raffigurante il santo patrono. Palazzo vescovile Palazzo vescovile Schininà di Sant'Elia. Museo Museo della cattedrale di San Giovanni Battista di Ragusa. Feste religiose 15 - 24 giugno, San Giovanni Battista, Dies natalis. Solenne festa liturgica per celebrare la natività del Precursore. 19 - 29 agosto, San Giovanni Battista. Festa liturgica e funzione processionale per celebrare il martirio del Precursore, patrono della città e della diocesi. Sarcia e Cuccagna, tradizioni documentate. 24 di ogni mese. Festa liturgica documentata, esposizione della reliquia.
Palazzo Zacco è un palazzo a Ragusa , in Sicilia . È degno di nota per le incisioni nello stile barocco siciliano che decorano le sue facciate , in particolare i putti e le maschere che sembrano sostenere i balconi del palazzo su due delle sue quote simmetriche. Il palazzo fu costruito intorno al 1750 come residenza del barone Melfi di San Antonio . In seguito fu acquistato dalla famiglia Zacco che lo ribattezzò come era la tradizione del tempo. Il palazzo è oggi un monumento nazionale italiano.
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Palazzo Zacco
Via San Vito
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Palazzo Zacco è un palazzo a Ragusa , in Sicilia . È degno di nota per le incisioni nello stile barocco siciliano che decorano le sue facciate , in particolare i putti e le maschere che sembrano sostenere i balconi del palazzo su due delle sue quote simmetriche. Il palazzo fu costruito intorno al 1750 come residenza del barone Melfi di San Antonio . In seguito fu acquistato dalla famiglia Zacco che lo ribattezzò come era la tradizione del tempo. Il palazzo è oggi un monumento nazionale italiano.
Il Palazzo Sortino Trono è una residenza nobiliare sita in Ragusa, nel quartiere degli Archi Storia e descrizione Venne edificato per iniziativa di don Ignazio Sortino Trono, nel 1778, su alcune case della sua famiglia e, probabilmente, su parte delle mura dell'antico castello. La ricostruzione si svolse in diverse fasi per la durata di ben quindici anni, per concludersi nel 1793. L'importante prospetto sovrasta la piazza "degli Archi" e si affaccia sulla balconata chiamata "cianu re Signuri", accessibile, tramite una ripida scala, dalla sottostante via del Mercato. I due piani sono separati da una fascia in pietra mentre cinque grandi lesene che terminano con un capitello festonato ripartiscono in quattro settori la superficie. Nell'ultimo partito a destra si trova il grande portale d'ingresso, lievemente convesso, che regge un balcone dalla cornice alquanto lineare realizzata in pietra calcare con intarsi in pietra pece. I tre balconi laterali hanno grandi mensole in pietra pece scolpite a motivi vegetali e, nelle aperture, cornici in pietra calcarea, con un caratteristico fregio "a lambrecchini" di gusto rococò. Ai lati del portone d'ingresso due piccole aperture di forma ovale e nei tre partiti, grandi finestroni dalla cornice mistilinea sormontata da un fregio a conchiglia
Palazzo Sortino Trono
Via del Mercato
Il Palazzo Sortino Trono è una residenza nobiliare sita in Ragusa, nel quartiere degli Archi Storia e descrizione Venne edificato per iniziativa di don Ignazio Sortino Trono, nel 1778, su alcune case della sua famiglia e, probabilmente, su parte delle mura dell'antico castello. La ricostruzione si svolse in diverse fasi per la durata di ben quindici anni, per concludersi nel 1793. L'importante prospetto sovrasta la piazza "degli Archi" e si affaccia sulla balconata chiamata "cianu re Signuri", accessibile, tramite una ripida scala, dalla sottostante via del Mercato. I due piani sono separati da una fascia in pietra mentre cinque grandi lesene che terminano con un capitello festonato ripartiscono in quattro settori la superficie. Nell'ultimo partito a destra si trova il grande portale d'ingresso, lievemente convesso, che regge un balcone dalla cornice alquanto lineare realizzata in pietra calcare con intarsi in pietra pece. I tre balconi laterali hanno grandi mensole in pietra pece scolpite a motivi vegetali e, nelle aperture, cornici in pietra calcarea, con un caratteristico fregio "a lambrecchini" di gusto rococò. Ai lati del portone d'ingresso due piccole aperture di forma ovale e nei tre partiti, grandi finestroni dalla cornice mistilinea sormontata da un fregio a conchiglia
La chiesa di Santa Maria del Gesù è una chiesa conventuale seicentesca di Ragusa. Storia Fu edificata dall'Ordine dei frati minori riformati detti zoccolanti a partire dal 1636, in una zona di forte pendenza, vicino ad una delle porte cittadine (Porta dei Saccari oggi Porta Walter) e riutilizzando i materiali del castello di Ragusa ormai abbandonato. Il complesso, sorto vicino ad una sorgente contempla una capace cisterna. Il convento che la comprende si eleva su quattro livelli e la chiesa si colloca tra il terzo ed il quarto piano. L'edificio fu gravemente danneggiato dal terremoto del 1693, e ricostruito nei primi decenni del Settecento. Architetture La facciata è della forma "a capanna", delimitata da paraste con bugne e con un piccolo campanile. Il portale è inquadrato da due semicolonne con fusti scanalati a spirale, che sostengono un timpano spezzato con al centro uno scudo sorretto da due angeli, sul quale è raffigurata l'immagine della Madonna col Bambino. Interno Impianto a navata unica ricca di stucchi e decorazioni realizzati nel 1733 da Raimondo Viccione da Vizzini. L'interno contempla sette altari, i monumenti funebri in marmo intarsiato di don Vincenzo Campolo e del fratello Girolamo. Affresco sulla volta, dipinto dal ragusano Matteo Battaglia, raffigurante un grandioso tempio. Parete destra: Altare di Sant'Antonio. Confessionale. Altare della Sacra Famiglia. Dipinto raffigurante la Sacra Famiglia con Sant'Anna e San Gioacchino. Parete sinistra: Altare di San Francesco. Sulla parete un dipinto raffigurante San Francesco. Confessionale sormontato dal dipinto raffigurante San Sebastiano, opera di Giovanni del Prado. Altare del Sacro Cuore. Statua al Cuore di Gesù. Pulpito ligneo. La cappella maggiore delimitata da arco affrescato con drappeggi, ospita la statua della Madonna di Lourdes e due busti dei baroni Campolo, nobili che molto dedicarono alla fondazione e al mantenimento della chiesa e dell'annesso convento. Tutti gli arredi superstiti sono stati spostati nella chiesa di San Giorgio, tra di essi un Cristo nell'urna, scultura in legno di Corrado Leone padre del 1880 - 1889 aiutato da Nunzio Lissandrello intagliatore dell'urna e Michele Leone di Corrado, indoratore. Convento Costruito su più piani per sopperire alla difficile posizione affiancata al costone della montagna. Nel livello più alto erano ospitate le celle dei frati, al terzo il refettorio, le cucine, il chiostro e gli altri locali comuni, e nei livelli più bassi le terrazze per la coltivazione di agrumi e olivi e i magazzini. Particolare è il chiostro con pavimento coperto da ciottoli di fiume. Abbandonato dai religiosi dopo l'entrata in vigore delle leggi eversive, confiscato e passato nelle mani del demanio nel 1867, vi furono trasferite scuole e uffici pubblici. Da alcuni anni tutto il complesso è in fase di restauro per la destinazione a sede del Nuovo Museo Archeologico Ibleo.
Santa Maria del Gesù
35 Via Torrenuova
La chiesa di Santa Maria del Gesù è una chiesa conventuale seicentesca di Ragusa. Storia Fu edificata dall'Ordine dei frati minori riformati detti zoccolanti a partire dal 1636, in una zona di forte pendenza, vicino ad una delle porte cittadine (Porta dei Saccari oggi Porta Walter) e riutilizzando i materiali del castello di Ragusa ormai abbandonato. Il complesso, sorto vicino ad una sorgente contempla una capace cisterna. Il convento che la comprende si eleva su quattro livelli e la chiesa si colloca tra il terzo ed il quarto piano. L'edificio fu gravemente danneggiato dal terremoto del 1693, e ricostruito nei primi decenni del Settecento. Architetture La facciata è della forma "a capanna", delimitata da paraste con bugne e con un piccolo campanile. Il portale è inquadrato da due semicolonne con fusti scanalati a spirale, che sostengono un timpano spezzato con al centro uno scudo sorretto da due angeli, sul quale è raffigurata l'immagine della Madonna col Bambino. Interno Impianto a navata unica ricca di stucchi e decorazioni realizzati nel 1733 da Raimondo Viccione da Vizzini. L'interno contempla sette altari, i monumenti funebri in marmo intarsiato di don Vincenzo Campolo e del fratello Girolamo. Affresco sulla volta, dipinto dal ragusano Matteo Battaglia, raffigurante un grandioso tempio. Parete destra: Altare di Sant'Antonio. Confessionale. Altare della Sacra Famiglia. Dipinto raffigurante la Sacra Famiglia con Sant'Anna e San Gioacchino. Parete sinistra: Altare di San Francesco. Sulla parete un dipinto raffigurante San Francesco. Confessionale sormontato dal dipinto raffigurante San Sebastiano, opera di Giovanni del Prado. Altare del Sacro Cuore. Statua al Cuore di Gesù. Pulpito ligneo. La cappella maggiore delimitata da arco affrescato con drappeggi, ospita la statua della Madonna di Lourdes e due busti dei baroni Campolo, nobili che molto dedicarono alla fondazione e al mantenimento della chiesa e dell'annesso convento. Tutti gli arredi superstiti sono stati spostati nella chiesa di San Giorgio, tra di essi un Cristo nell'urna, scultura in legno di Corrado Leone padre del 1880 - 1889 aiutato da Nunzio Lissandrello intagliatore dell'urna e Michele Leone di Corrado, indoratore. Convento Costruito su più piani per sopperire alla difficile posizione affiancata al costone della montagna. Nel livello più alto erano ospitate le celle dei frati, al terzo il refettorio, le cucine, il chiostro e gli altri locali comuni, e nei livelli più bassi le terrazze per la coltivazione di agrumi e olivi e i magazzini. Particolare è il chiostro con pavimento coperto da ciottoli di fiume. Abbandonato dai religiosi dopo l'entrata in vigore delle leggi eversive, confiscato e passato nelle mani del demanio nel 1867, vi furono trasferite scuole e uffici pubblici. Da alcuni anni tutto il complesso è in fase di restauro per la destinazione a sede del Nuovo Museo Archeologico Ibleo.
La chiesa di San Francesco all'Immacolata, edificata nella seconda metà del secolo XIII insieme al convento, fu dedicata a San Francesco D'Assisi ma conosciuta con il nome di Immacolata. Storia È provata la presenza di una comunità francescana che nacque a Ragusa nel 1225 e che si stabilì nella periferia della città, dove si poteva condividere la vita dei poveri e mantenere un certo isolamento che favorisse la preghiera. Il disastroso evento sismico del 1693 ridusse in rovine l'intero convento e provocò dei danni alla chiesa causando inoltre il cedimento della cella campanaria e dell'intero prospetto gotico; ma già nel 1711 i lavori di ricostruzione terminavano con la posa delle campane. Il portale del XIII secolo e la base della torre campanaria sono gli unici resti dell'originaria chiesa gotica. Descrizione L'interno della chiesa, che risale alla fine del secolo XVI, è diviso in tre navate da due file di massicci pilastri. In fondo alla navata centrale si trova una grande tribuna lignea, eretta nel 1906 per custodire la statua dell'Immacolata. Il vicino convento, che si sporge sulla vallata S. Leonardo, venne edificato nei primi anni del secolo XVIII sulle rovine dell'antico, franato a causa del terremoto. Questo è costituito da un pianoterra e da un primo piano uniti da una splendida scalinata, interamente realizzata in pietra pece, con un parapetto carico di decorazioni e di sculture
Chiesa di San Francesco all'Immacolata
3 Via Chiaramonte
La chiesa di San Francesco all'Immacolata, edificata nella seconda metà del secolo XIII insieme al convento, fu dedicata a San Francesco D'Assisi ma conosciuta con il nome di Immacolata. Storia È provata la presenza di una comunità francescana che nacque a Ragusa nel 1225 e che si stabilì nella periferia della città, dove si poteva condividere la vita dei poveri e mantenere un certo isolamento che favorisse la preghiera. Il disastroso evento sismico del 1693 ridusse in rovine l'intero convento e provocò dei danni alla chiesa causando inoltre il cedimento della cella campanaria e dell'intero prospetto gotico; ma già nel 1711 i lavori di ricostruzione terminavano con la posa delle campane. Il portale del XIII secolo e la base della torre campanaria sono gli unici resti dell'originaria chiesa gotica. Descrizione L'interno della chiesa, che risale alla fine del secolo XVI, è diviso in tre navate da due file di massicci pilastri. In fondo alla navata centrale si trova una grande tribuna lignea, eretta nel 1906 per custodire la statua dell'Immacolata. Il vicino convento, che si sporge sulla vallata S. Leonardo, venne edificato nei primi anni del secolo XVIII sulle rovine dell'antico, franato a causa del terremoto. Questo è costituito da un pianoterra e da un primo piano uniti da una splendida scalinata, interamente realizzata in pietra pece, con un parapetto carico di decorazioni e di sculture
Il palazzo Bertini fu edificato alla fine del settecento per iniziativa di don Salvatore Floridia, lungo la cosiddetta via "Maestra" o "Cassero", oggi Corso Italia, uno degli assi dell'impianto urbanistico ortogonale del nuovo abitato di Ragusa. Intorno alla metà del secolo successivo fu acquistato dalla famiglia Bertini da cui ha preso il nome. Il prospetto ha subito una sostanziale modifica a seguito dell'abbassamento e della regolarizzazione della sede stradale, avvenuta nel 1847. Anticamente, infatti i balconi dell'attuale piano ammezzato erano a livello della strada e costituivano gli ingressi dei locali a pianterreno. Il portone d'ingresso era più basso e cominciava subito sotto le paraste mentre i locali a piano terra non esistevano. Gli antichi ingressi del pianterreno costituiscono la caratteristica più originale e ricercata del palazzo grazie alle chiavi d'arco che recano scolpite tre grandi teste, dette "mascheroni", che raffigurano tre personaggi caratteristici della cultura barocca: il mendicante, il nobile e l'uomo dell'oriente. Il primo è coperto di stracci e mostra un viso deforme con un gran naso e la bocca sdentata, il ricco signore , dallo sguardo altero, ha un elegante cappello piumato da cui fuori esce una folta capigliatura a boccoli, mentre l'orientale ha un viso paffuto con un grande turbante ed un orecchino con una grande perla, segno della ricchezza e dell'opulenza. Il portone d'ingresso, posto lateralmente, ha due alte paraste culminanti in grandi volute che reggono un balcone dalle caratteristiche linee spezzate. Le aperture dei balconi hanno cornici ricche di intagli e decori ed hanno inferriate panciute decorate da grandi fiori in ferro battuto. Dal portone si accede in un atrio da cui parte la pregevole scalinata in pietra asfaltica che conduce agli ambienti interni riccamente decorati con stucchi e pitture.
Palazzo Bertini
22 Corso Italia
Il palazzo Bertini fu edificato alla fine del settecento per iniziativa di don Salvatore Floridia, lungo la cosiddetta via "Maestra" o "Cassero", oggi Corso Italia, uno degli assi dell'impianto urbanistico ortogonale del nuovo abitato di Ragusa. Intorno alla metà del secolo successivo fu acquistato dalla famiglia Bertini da cui ha preso il nome. Il prospetto ha subito una sostanziale modifica a seguito dell'abbassamento e della regolarizzazione della sede stradale, avvenuta nel 1847. Anticamente, infatti i balconi dell'attuale piano ammezzato erano a livello della strada e costituivano gli ingressi dei locali a pianterreno. Il portone d'ingresso era più basso e cominciava subito sotto le paraste mentre i locali a piano terra non esistevano. Gli antichi ingressi del pianterreno costituiscono la caratteristica più originale e ricercata del palazzo grazie alle chiavi d'arco che recano scolpite tre grandi teste, dette "mascheroni", che raffigurano tre personaggi caratteristici della cultura barocca: il mendicante, il nobile e l'uomo dell'oriente. Il primo è coperto di stracci e mostra un viso deforme con un gran naso e la bocca sdentata, il ricco signore , dallo sguardo altero, ha un elegante cappello piumato da cui fuori esce una folta capigliatura a boccoli, mentre l'orientale ha un viso paffuto con un grande turbante ed un orecchino con una grande perla, segno della ricchezza e dell'opulenza. Il portone d'ingresso, posto lateralmente, ha due alte paraste culminanti in grandi volute che reggono un balcone dalle caratteristiche linee spezzate. Le aperture dei balconi hanno cornici ricche di intagli e decori ed hanno inferriate panciute decorate da grandi fiori in ferro battuto. Dal portone si accede in un atrio da cui parte la pregevole scalinata in pietra asfaltica che conduce agli ambienti interni riccamente decorati con stucchi e pitture.
La chiesa delle Santissime Anime del Purgatorio si trova a Ragusa Ibla in piazza della Repubblica, meglio conosciuta come piazza degli Archi (per i ragusani semplicemente l'Archi) a causa degli archi di un acquedotto che sormontavano il quartiere fino al terremoto del 1693, da cui la chiesa uscì indenne. È edificata in stile tardo-barocco con un impianto basilicale a tre navate. Storia La chiesa fu edificata su iniziativa della famiglia Mazza nella seconda metà del XVII secolo, dedicata a Tutti i Santi e alle Anime del Purgatorio, aperta al culto il 6 maggio 1658. Fu una delle poche chiese ragusane a resistere al terremoto del 1693, evento disastroso che mise in ginocchio i paesi del val di Noto e che fece crollare anche l'antico duomo di Ragusa Ibla, di cui oggi rimane solo il portale. Nel 1694 divenne chiesa sacramentale, ovvero tempio in cui si potevano amministrare i sacramenti per conto della chiesa di San Giovanni, l'attuale chiesa cattedrale, trasferitasi nel nuovo quartiere in costruzione nella contrada Patro, sopra il convento del Carmine. Nel 1729 la chiesa e l'intero quartiere passarono sotto la giurisdizione della chiesa di San Giorgio, diventando inoltre chiesa sacramentale della stessa. Il campanile venne edificato nel primo quarto del XVIII secolo, separato dalla chiesa, e posto sopra un tratto delle mura bizantine del castello di Ragusa. A causa delle ridotte dimensioni, sole due navate, nel 1740 la chiesa fu ricostruita con un impianto basilicale a tre navate, terminate da due cappelle e da un ampio presbiterio con abside. Nel 1757 venne terminata la facciata ma la chiesa fu riaperta al culto solo nel 1787, dopo la conclusione dei lavori nella zona presbiteriale. Descrizione L'esterno e la facciata La facciata della chiesa delle Anime Sante, come anche quella molte altre chiese di Ragusa (lo stesso Duomo di San Giorgio) è caratterizzata da una ripida scalinata che ne valorizza e arricchisce il prospetto, costituita da due ordini coronati da un timpano. Il primo ordine è diviso in tre parti da colonne con capitelli corinzi che poggiano su alti basamenti. Nel settore centrale si trova il portale d'ingresso, con intagli a motivi vegetali, nel cui coronamento vi sono sculture raffiguranti le Anime Purganti. Nei settori laterali si trovano due finte porte, in cui il portale non presenta alcun ingresso per accedere alla chiesa, a significare che la via per il paradiso è una ed una sola. Sul fianco destro della chiesa, si trova un grande contrafforte ad arco che scavalca via Aquila Sveva, costruito probabilmente dopo il terremoto per sostenere l'edificio. Interno Sant'Eligio. All'interno, dieci colonne in pietra con capitelli corinzi dividono le tre navate. Furono costruite su modello delle colonne della chiesa di San Giovanni nel 1741. Nel cornicione delle navate laterali si trovano le caratteristiche sculture di teschi con le insegne di re, papi, cardinali e vescovi, a simboleggiare la caducità della ricchezza e la fallacità del potere terreno. Navata destra Nicchia controfacciata: gruppo statuario raffigurante la Madonna del Carmelo ritratta con due Angeli e sovrastante quattro peccatori che la invocano dal Purgatorio. Acquasantiera. Prima campata: fonte battesimale e quadro raffigurante il Battesimo di Gesù, ambiente delimitato da balaustra in marmo rosso. Seconda campata: sull'altare il quadro raffigurante Sant'Aloi, opera proveniente dalla dismessa chiesa di San Paolo. Terza campata: Confessionali. Quarta campata: altare con quadro raffigurante la Madonna del Rosario opera attribuibile ad Antonio Manno. Quinta campata: sulla mensa la statua raffigurante l'Immacolata Concezione. Navata sinistra Prima campata: quadro raffigurante San Cristoforo del 1768 e una statua di San Giovanni Bosco della scuola di Ortisei. Seconda campata: altare opera di maestranze siciliane. Tribuna ripartita su due ordini, le nicchie del primo livello ospitano tre statue a tutto tondo raffiguranti rispettivamente Sant'Agata, San Rocco e Santa Lucia (verosimilmente Santa Barbara identificabile per la presenza della torre tra gli elementi iconografici). Le due nicchie laterali, di dimensioni ridotte al pari delle statue, sono sormontate da altrettanti bassorilievi: si identifica una Vergine con Bambino a sinistra, e una Annunciazione a destra. Il secondo livello delimitato da volute comprende un'edicola sormontata da timpano triangolare, all'interno la raffigurazione del Battesimo di Gesù con angeli e la rappresentazione del Paraclito su raggiera. Terza campata: Alla parete il quadro Madonna con Bambino raffigurata tra Sant'Oliva e Sant'Omobono, confessionali. Cantoria - pulpiti. Quarta campata: altare con quadro raffigurante la Sacra Famiglia, olio su tela opera di Tommaso Pollace del 1801. Quinta campata: passaggio sormontato da quadro raffigurante Sant'Orsola. Transetto Absidiola destra: Cappella del Santissimo Sacramento. L'edicola sull'altare presenta il quadro raffigurante Santa Barbara proveniente dall'omonima chiesa dismessa. Absidiola sinistra: Cappella del Santissimo Crocifisso. L'altare è delimitato da quattro colonne tortili ornate nella parte inferiore del fusto con palme e foglie. Sono presenti due statue una della Vergine Addolorata e l'altra di San Giovanni Evangelista che pregano un Gesù Crocifisso del 1769. L'abside è sopraelevato di due gradini rispetto alla navata centrale. L'altare maggiore è in marmi policromi, delimitato da quattro colonne di stile corinzio. Nell'edicola il quadro raffigurante le Anime del Purgatorio ove sono ritratti la Madonna con il Cristo morto, San Giorgio e altri Santi, Profeti e Apostoli che intercedono presso la Santissima Trinità, dipinto del 1800, opera del palermitano Francesco Manno (detto Francescone, famoso per il ritratto di Pio VII e per gli affreschi al Quirinale). Opere La chiesa custodisce opere d'arte provenienti da chiese vicine dismesse: tra esse un San Lorenzo proveniente dalla chiesa di San Paolo. L'organo del 1883 è opera di Casimiro Allieri e Serasi Ferdinando di Bergamo.
Church Holy Souls in Purgatory
La chiesa delle Santissime Anime del Purgatorio si trova a Ragusa Ibla in piazza della Repubblica, meglio conosciuta come piazza degli Archi (per i ragusani semplicemente l'Archi) a causa degli archi di un acquedotto che sormontavano il quartiere fino al terremoto del 1693, da cui la chiesa uscì indenne. È edificata in stile tardo-barocco con un impianto basilicale a tre navate. Storia La chiesa fu edificata su iniziativa della famiglia Mazza nella seconda metà del XVII secolo, dedicata a Tutti i Santi e alle Anime del Purgatorio, aperta al culto il 6 maggio 1658. Fu una delle poche chiese ragusane a resistere al terremoto del 1693, evento disastroso che mise in ginocchio i paesi del val di Noto e che fece crollare anche l'antico duomo di Ragusa Ibla, di cui oggi rimane solo il portale. Nel 1694 divenne chiesa sacramentale, ovvero tempio in cui si potevano amministrare i sacramenti per conto della chiesa di San Giovanni, l'attuale chiesa cattedrale, trasferitasi nel nuovo quartiere in costruzione nella contrada Patro, sopra il convento del Carmine. Nel 1729 la chiesa e l'intero quartiere passarono sotto la giurisdizione della chiesa di San Giorgio, diventando inoltre chiesa sacramentale della stessa. Il campanile venne edificato nel primo quarto del XVIII secolo, separato dalla chiesa, e posto sopra un tratto delle mura bizantine del castello di Ragusa. A causa delle ridotte dimensioni, sole due navate, nel 1740 la chiesa fu ricostruita con un impianto basilicale a tre navate, terminate da due cappelle e da un ampio presbiterio con abside. Nel 1757 venne terminata la facciata ma la chiesa fu riaperta al culto solo nel 1787, dopo la conclusione dei lavori nella zona presbiteriale. Descrizione L'esterno e la facciata La facciata della chiesa delle Anime Sante, come anche quella molte altre chiese di Ragusa (lo stesso Duomo di San Giorgio) è caratterizzata da una ripida scalinata che ne valorizza e arricchisce il prospetto, costituita da due ordini coronati da un timpano. Il primo ordine è diviso in tre parti da colonne con capitelli corinzi che poggiano su alti basamenti. Nel settore centrale si trova il portale d'ingresso, con intagli a motivi vegetali, nel cui coronamento vi sono sculture raffiguranti le Anime Purganti. Nei settori laterali si trovano due finte porte, in cui il portale non presenta alcun ingresso per accedere alla chiesa, a significare che la via per il paradiso è una ed una sola. Sul fianco destro della chiesa, si trova un grande contrafforte ad arco che scavalca via Aquila Sveva, costruito probabilmente dopo il terremoto per sostenere l'edificio. Interno Sant'Eligio. All'interno, dieci colonne in pietra con capitelli corinzi dividono le tre navate. Furono costruite su modello delle colonne della chiesa di San Giovanni nel 1741. Nel cornicione delle navate laterali si trovano le caratteristiche sculture di teschi con le insegne di re, papi, cardinali e vescovi, a simboleggiare la caducità della ricchezza e la fallacità del potere terreno. Navata destra Nicchia controfacciata: gruppo statuario raffigurante la Madonna del Carmelo ritratta con due Angeli e sovrastante quattro peccatori che la invocano dal Purgatorio. Acquasantiera. Prima campata: fonte battesimale e quadro raffigurante il Battesimo di Gesù, ambiente delimitato da balaustra in marmo rosso. Seconda campata: sull'altare il quadro raffigurante Sant'Aloi, opera proveniente dalla dismessa chiesa di San Paolo. Terza campata: Confessionali. Quarta campata: altare con quadro raffigurante la Madonna del Rosario opera attribuibile ad Antonio Manno. Quinta campata: sulla mensa la statua raffigurante l'Immacolata Concezione. Navata sinistra Prima campata: quadro raffigurante San Cristoforo del 1768 e una statua di San Giovanni Bosco della scuola di Ortisei. Seconda campata: altare opera di maestranze siciliane. Tribuna ripartita su due ordini, le nicchie del primo livello ospitano tre statue a tutto tondo raffiguranti rispettivamente Sant'Agata, San Rocco e Santa Lucia (verosimilmente Santa Barbara identificabile per la presenza della torre tra gli elementi iconografici). Le due nicchie laterali, di dimensioni ridotte al pari delle statue, sono sormontate da altrettanti bassorilievi: si identifica una Vergine con Bambino a sinistra, e una Annunciazione a destra. Il secondo livello delimitato da volute comprende un'edicola sormontata da timpano triangolare, all'interno la raffigurazione del Battesimo di Gesù con angeli e la rappresentazione del Paraclito su raggiera. Terza campata: Alla parete il quadro Madonna con Bambino raffigurata tra Sant'Oliva e Sant'Omobono, confessionali. Cantoria - pulpiti. Quarta campata: altare con quadro raffigurante la Sacra Famiglia, olio su tela opera di Tommaso Pollace del 1801. Quinta campata: passaggio sormontato da quadro raffigurante Sant'Orsola. Transetto Absidiola destra: Cappella del Santissimo Sacramento. L'edicola sull'altare presenta il quadro raffigurante Santa Barbara proveniente dall'omonima chiesa dismessa. Absidiola sinistra: Cappella del Santissimo Crocifisso. L'altare è delimitato da quattro colonne tortili ornate nella parte inferiore del fusto con palme e foglie. Sono presenti due statue una della Vergine Addolorata e l'altra di San Giovanni Evangelista che pregano un Gesù Crocifisso del 1769. L'abside è sopraelevato di due gradini rispetto alla navata centrale. L'altare maggiore è in marmi policromi, delimitato da quattro colonne di stile corinzio. Nell'edicola il quadro raffigurante le Anime del Purgatorio ove sono ritratti la Madonna con il Cristo morto, San Giorgio e altri Santi, Profeti e Apostoli che intercedono presso la Santissima Trinità, dipinto del 1800, opera del palermitano Francesco Manno (detto Francescone, famoso per il ritratto di Pio VII e per gli affreschi al Quirinale). Opere La chiesa custodisce opere d'arte provenienti da chiese vicine dismesse: tra esse un San Lorenzo proveniente dalla chiesa di San Paolo. L'organo del 1883 è opera di Casimiro Allieri e Serasi Ferdinando di Bergamo.
Raffinata struttura nobile del tardo barocco con balcone e ringhiera panciuta in ferro battuto sulla facciata. Il palazzo venne edificato dalla famiglia Nicastro, nella prima metà del XVIII secolo, ma subì successivamente delle modifiche, come indicano, il timpano recante la data 1760, che non è in asse palazzo della cancelleria con il sottostante prospetto, e le differenze stilistiche tra il portale e la grande tribuna della facciata principale. Acquistata dal Comune, nella seconda metà del XIX secolo, divenne sede della Cancelleria comunale e da essa ha preso il nome. Il prospetto principale si affaccia su una piazzetta in cui confluiscono due diramazioni della lunga scalinata, che anticamente, particolare del prospetto era l'unica via di comunicazione tra il quartiere inferiore e quello superiore della città di Ragusa. Due alte lesene racchiudono lo spazio in cui troneggia la grande tribuna, l'elemento di maggior pregio della costruzione. Il balcone è sorretto da cinque enormi mensole, di sapore ancora seicentesco, che disegnano tre grandi volute, dietro la panciuta ringhiera in ferro battuto. L'apertura è incorniciata da due lesene con volti di cherubini è sormontata da un timpano dalle linee spezzate. Il sottostante portale d'ingresso che probabilmente venne aggiunto in un epoca successiva, male si raccorda all'insieme e, con le sue linee fortemente aggettanti fuoriesce dallo spazio scandito dalle due lesene laterali. Il prospetto laterale, molto più unitario, è anch'esso delimitato da alte lesene, ed ospita due finestroni raccordati con una cornice mistilinea con i balconi del primo piano. Questi sono di dimensione più contenute, rispetto alla tribuna principale ma ne ripetono il motivo seicentesco nelle mensole, a due sole volute. Assieme alla chiesa dell'Itria ed al sottostante palazzo Cosentini, il palazzo della cancelleria, costituisce certamente il complesso barocco più importante della città.
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Palazzo Della Cancelleria
Salita Commendatore
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Raffinata struttura nobile del tardo barocco con balcone e ringhiera panciuta in ferro battuto sulla facciata. Il palazzo venne edificato dalla famiglia Nicastro, nella prima metà del XVIII secolo, ma subì successivamente delle modifiche, come indicano, il timpano recante la data 1760, che non è in asse palazzo della cancelleria con il sottostante prospetto, e le differenze stilistiche tra il portale e la grande tribuna della facciata principale. Acquistata dal Comune, nella seconda metà del XIX secolo, divenne sede della Cancelleria comunale e da essa ha preso il nome. Il prospetto principale si affaccia su una piazzetta in cui confluiscono due diramazioni della lunga scalinata, che anticamente, particolare del prospetto era l'unica via di comunicazione tra il quartiere inferiore e quello superiore della città di Ragusa. Due alte lesene racchiudono lo spazio in cui troneggia la grande tribuna, l'elemento di maggior pregio della costruzione. Il balcone è sorretto da cinque enormi mensole, di sapore ancora seicentesco, che disegnano tre grandi volute, dietro la panciuta ringhiera in ferro battuto. L'apertura è incorniciata da due lesene con volti di cherubini è sormontata da un timpano dalle linee spezzate. Il sottostante portale d'ingresso che probabilmente venne aggiunto in un epoca successiva, male si raccorda all'insieme e, con le sue linee fortemente aggettanti fuoriesce dallo spazio scandito dalle due lesene laterali. Il prospetto laterale, molto più unitario, è anch'esso delimitato da alte lesene, ed ospita due finestroni raccordati con una cornice mistilinea con i balconi del primo piano. Questi sono di dimensione più contenute, rispetto alla tribuna principale ma ne ripetono il motivo seicentesco nelle mensole, a due sole volute. Assieme alla chiesa dell'Itria ed al sottostante palazzo Cosentini, il palazzo della cancelleria, costituisce certamente il complesso barocco più importante della città.
La chiesa di Santa Maria dell'Itria è una chiesa di Ragusa in stile Barocco. Culto Madonna Odigitria San Giuliano l'Ospitaliere Storia Campanile della chiesa di Santa Maria dell'Itria. È del 1391 la prima notizia che si ha del Sovrano Militare Ordine di Malta a Ragusa. Infatti questa chiesa era la suffraganea del priorato dell'ordine Gerosolimitano di Malta, inoltre vi era un ospedale vicino detto il vecchio. La primitiva chiesa di San Giuliano l'Ospitaliere fu costruita grazie al patrocinio dei conti Chiaramonte, essa possedeva il feudo di S. Icono oltre una rendita di 300 scudi. Probabilmente la commenda fu istituita dal barone Blandano Arezzo nel 1626, il tempio fu riedificato dall'Ordine dei Cavalieri di Malta fra il 1629 e il 1639. Il terremoto del 1693 causò dei danni, ma non fu particolarmente ritoccata, la facciata è due ordini, divisi da un grande cornicione. Ampliata e perfezionata nelle forme attuali nel 1739. Impianto Cappella del Santissimo Crocifisso. Il portale centrale è adornato da motivi di foglie intrecciate, con un finestrone che lo sovrasta, su quelli laterali vi sono due grandi finestre ovali. La visione della facciata per chi sale dalle scale è tutta di sbieco. Navata L'interno è ripartito in tre navate divise da dieci colonne in pietra bianca con capitelli corinzi, nei cui echini, le foglie di acanto sono sostituite da foglie di mandorlo. Sul portale nella contro facciata è collocata la cantoria e l'organo. Arricchiscono gli ambienti cinque altari e una profonda cappella, tutti di pietra bianca, patrocinati dalla famiglia Cultraro che li realizzò tra il 1736 e il 1745. Le colonne nelle variegate realizzazioni sono arricchite da motivi floreali, quelle delle pareti laterali presentano motivi rococò di raffinato stile e di grande effetto visivo. Artisti, soggetti, particolari, richiami, offrono continui rimandi all'Ordine dei cavalieri Ospitalieri di San Giovanni in Gerusalemme con particolare riferimento al periodo maltese. Navata destra: Cappella dell'Addolorata. Ambiente caratterizzato da apparato decorativo in stucco e pitture parietali raffiguranti drappeggi e panneggi lungo le arcate. Nella nicchia centrale è custodita la Vergine Addolorata, sotto la mensa è collocata l'urna in cristallo contenente il Cristo Morto. Cappella della Sacra Famiglia. Il manufatto di stile barocco con motivi rococò è datato 1758. Le colonne presentano elaborate decorazioni alle basi e rilievi lungo il fusto superiore. L'elaborato timpano presenta volute sfalsate e stele intermedia con stemma e baldacchino. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante la Fuga in Egitto. Navata sinistra: Santa Filomena, dipinto documentato. Cappella di San Biagio. L'architettura del manufatto è una delle più complesse e inusuali del panorama ecclesiale cittadino. La prospettiva convessa contempla colonne con sviluppo elicoidale alla base e ricche decorazioni rococò lungo tutto il fusto. Il timpano ad arco spezzato e sfalsato, con elementi ruotati all'esterno, reca un lunettone intermedio con iscrizione e fregio sommitale. Nell'edicola il dipinto Miracolo di San Biagio, raffigurante la provvidenziale guarigione di un bimbo cui si era conficcata una lisca in gola. Dipinto della Madonna delle Sette Spade o Vergine dei Sette Dolori raffigurata con Sant'Eligio e San Lorenzo, opera di Ignazio Scacco realizzata nel 1699. Transetto Absidiola sinistra: Cappella di San Giuliano. Altare costituito da colonne tortili con ghirlande floreali nel solco elicoidale, manufatti collocati su alti plinti recanti le raffigurazioni di putti. Il timpano con volute a ricciolo e stele intermedia sormontata da lunetta. Nell'edicola è custodito il quadro raffigurante San Giuliano l'Ospitaliere e San Giovanni Battista, dipinto attribuito a Mattia Preti. Absidiola destra: Cappella del Santissimo Crocifisso. Nella grande nicchia edicola dell'altare costituito da colonne tortili con ghirlande floreali nel solco elicoidale collocate su alti plinti recanti le raffigurazioni di putti con gli Strumenti della Passione. Nell'arcata domina un Crocifisso di scuola spagnola accompagnato dalle statue raffiguranti Maria Addolorata e San Giovanni Evangelista. Ambiente con diritto di patronato della famiglia Cosentini. L'altare maggiore è sormontato da una tribuna ornatissima realizzata dai Cultraro nel 1743 formata da una coppia di colonne binate scanalate. Le basi inferiori dei fusti sono decorate da motivi fitomorfi, che delimitano una grande edicola ad arco, manufatto dalla prospettiva vagamente concava. La statua della madonna custodita all'interno della nicchia è coperta dal settecentesco quadro raffigurante la Madonna Odigitria di particolare importanza perché sotto i piedi del Bambino Gesù è riprodotta una veduta d'epoca del porto de La Valletta. Opere Tela raffigurante San Corrado da Piacenza e il Beato Guglielmo da Scicli ritratti mentre reggono un quadro della Madonna, opera documentata. Ospedale Ospedale detto il vecchio: un ospedale ricovero per i poveri viandanti.
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Chiesa di Santa Maria dell'Itria
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La chiesa di Santa Maria dell'Itria è una chiesa di Ragusa in stile Barocco. Culto Madonna Odigitria San Giuliano l'Ospitaliere Storia Campanile della chiesa di Santa Maria dell'Itria. È del 1391 la prima notizia che si ha del Sovrano Militare Ordine di Malta a Ragusa. Infatti questa chiesa era la suffraganea del priorato dell'ordine Gerosolimitano di Malta, inoltre vi era un ospedale vicino detto il vecchio. La primitiva chiesa di San Giuliano l'Ospitaliere fu costruita grazie al patrocinio dei conti Chiaramonte, essa possedeva il feudo di S. Icono oltre una rendita di 300 scudi. Probabilmente la commenda fu istituita dal barone Blandano Arezzo nel 1626, il tempio fu riedificato dall'Ordine dei Cavalieri di Malta fra il 1629 e il 1639. Il terremoto del 1693 causò dei danni, ma non fu particolarmente ritoccata, la facciata è due ordini, divisi da un grande cornicione. Ampliata e perfezionata nelle forme attuali nel 1739. Impianto Cappella del Santissimo Crocifisso. Il portale centrale è adornato da motivi di foglie intrecciate, con un finestrone che lo sovrasta, su quelli laterali vi sono due grandi finestre ovali. La visione della facciata per chi sale dalle scale è tutta di sbieco. Navata L'interno è ripartito in tre navate divise da dieci colonne in pietra bianca con capitelli corinzi, nei cui echini, le foglie di acanto sono sostituite da foglie di mandorlo. Sul portale nella contro facciata è collocata la cantoria e l'organo. Arricchiscono gli ambienti cinque altari e una profonda cappella, tutti di pietra bianca, patrocinati dalla famiglia Cultraro che li realizzò tra il 1736 e il 1745. Le colonne nelle variegate realizzazioni sono arricchite da motivi floreali, quelle delle pareti laterali presentano motivi rococò di raffinato stile e di grande effetto visivo. Artisti, soggetti, particolari, richiami, offrono continui rimandi all'Ordine dei cavalieri Ospitalieri di San Giovanni in Gerusalemme con particolare riferimento al periodo maltese. Navata destra: Cappella dell'Addolorata. Ambiente caratterizzato da apparato decorativo in stucco e pitture parietali raffiguranti drappeggi e panneggi lungo le arcate. Nella nicchia centrale è custodita la Vergine Addolorata, sotto la mensa è collocata l'urna in cristallo contenente il Cristo Morto. Cappella della Sacra Famiglia. Il manufatto di stile barocco con motivi rococò è datato 1758. Le colonne presentano elaborate decorazioni alle basi e rilievi lungo il fusto superiore. L'elaborato timpano presenta volute sfalsate e stele intermedia con stemma e baldacchino. Nell'edicola è custodito il dipinto raffigurante la Fuga in Egitto. Navata sinistra: Santa Filomena, dipinto documentato. Cappella di San Biagio. L'architettura del manufatto è una delle più complesse e inusuali del panorama ecclesiale cittadino. La prospettiva convessa contempla colonne con sviluppo elicoidale alla base e ricche decorazioni rococò lungo tutto il fusto. Il timpano ad arco spezzato e sfalsato, con elementi ruotati all'esterno, reca un lunettone intermedio con iscrizione e fregio sommitale. Nell'edicola il dipinto Miracolo di San Biagio, raffigurante la provvidenziale guarigione di un bimbo cui si era conficcata una lisca in gola. Dipinto della Madonna delle Sette Spade o Vergine dei Sette Dolori raffigurata con Sant'Eligio e San Lorenzo, opera di Ignazio Scacco realizzata nel 1699. Transetto Absidiola sinistra: Cappella di San Giuliano. Altare costituito da colonne tortili con ghirlande floreali nel solco elicoidale, manufatti collocati su alti plinti recanti le raffigurazioni di putti. Il timpano con volute a ricciolo e stele intermedia sormontata da lunetta. Nell'edicola è custodito il quadro raffigurante San Giuliano l'Ospitaliere e San Giovanni Battista, dipinto attribuito a Mattia Preti. Absidiola destra: Cappella del Santissimo Crocifisso. Nella grande nicchia edicola dell'altare costituito da colonne tortili con ghirlande floreali nel solco elicoidale collocate su alti plinti recanti le raffigurazioni di putti con gli Strumenti della Passione. Nell'arcata domina un Crocifisso di scuola spagnola accompagnato dalle statue raffiguranti Maria Addolorata e San Giovanni Evangelista. Ambiente con diritto di patronato della famiglia Cosentini. L'altare maggiore è sormontato da una tribuna ornatissima realizzata dai Cultraro nel 1743 formata da una coppia di colonne binate scanalate. Le basi inferiori dei fusti sono decorate da motivi fitomorfi, che delimitano una grande edicola ad arco, manufatto dalla prospettiva vagamente concava. La statua della madonna custodita all'interno della nicchia è coperta dal settecentesco quadro raffigurante la Madonna Odigitria di particolare importanza perché sotto i piedi del Bambino Gesù è riprodotta una veduta d'epoca del porto de La Valletta. Opere Tela raffigurante San Corrado da Piacenza e il Beato Guglielmo da Scicli ritratti mentre reggono un quadro della Madonna, opera documentata. Ospedale Ospedale detto il vecchio: un ospedale ricovero per i poveri viandanti.
Elegante palazzo di famiglia nobile con archi ogivali e pavimenti in maiolica che conserva arredi del '700. Situato alle spalle della chiesa di S. Giorgio, lungo quella che era la strada principale dell'antico abitato di Ragusa detta la "Ciancata" perchè l'unica strada pavimentata con lastre di calcare atrio chiamate "cianche", il palazzo fu costruito, per iniziativa di Don Saverio La Rocca, barone di S. Ippolito, intorno al 1765 sulle vecchie case della famiglia. Di questa antica dimora dei La Rocca, che risultano presenti a Ragusa fin dall'epoca normanna, sono ancora visibili alcuni resti murari, con caratteristici archi ad ogiva, nel seminterrato del palazzo. Il prospetto, ad un piano, sobrio ed elegante, è caratterizzato da sette balconi sorretti ognuno da tre mensole in pietra pece di cui le laterali sono più piccole mentre la centrale è più grande per seguire la curva della modanatura del balcone. Vi sono raffigurate delle figure antropomorfe tra cui particolarmente interessanti il flautista, il suonatore di liuto, la popolana col bimbo in braccio, ripetuto dai puttini nelle mensole piccole laterali. Dal grande portone d'ingresso si accede ad un atrio, in fondo al quale inizia una elegante scalinata a due rampe interamente costruita in pietra asfaltica, probabilmente attorno alla metà del XIX secolo, da cui si accede alle stanze del piano nobile, che conservano ancora arredi settecenteschi, come le porte laccate ed i pavimenti in pietra asfaltica ed in maiolica.
Palazzo La Rocca
Via Capitano Bocchieri
Elegante palazzo di famiglia nobile con archi ogivali e pavimenti in maiolica che conserva arredi del '700. Situato alle spalle della chiesa di S. Giorgio, lungo quella che era la strada principale dell'antico abitato di Ragusa detta la "Ciancata" perchè l'unica strada pavimentata con lastre di calcare atrio chiamate "cianche", il palazzo fu costruito, per iniziativa di Don Saverio La Rocca, barone di S. Ippolito, intorno al 1765 sulle vecchie case della famiglia. Di questa antica dimora dei La Rocca, che risultano presenti a Ragusa fin dall'epoca normanna, sono ancora visibili alcuni resti murari, con caratteristici archi ad ogiva, nel seminterrato del palazzo. Il prospetto, ad un piano, sobrio ed elegante, è caratterizzato da sette balconi sorretti ognuno da tre mensole in pietra pece di cui le laterali sono più piccole mentre la centrale è più grande per seguire la curva della modanatura del balcone. Vi sono raffigurate delle figure antropomorfe tra cui particolarmente interessanti il flautista, il suonatore di liuto, la popolana col bimbo in braccio, ripetuto dai puttini nelle mensole piccole laterali. Dal grande portone d'ingresso si accede ad un atrio, in fondo al quale inizia una elegante scalinata a due rampe interamente costruita in pietra asfaltica, probabilmente attorno alla metà del XIX secolo, da cui si accede alle stanze del piano nobile, che conservano ancora arredi settecenteschi, come le porte laccate ed i pavimenti in pietra asfaltica ed in maiolica.
San Giorgio (Cappadocia, 275-285 circa – Nicomedia, 23 aprile 303) è stato, secondo una consolidata e diffusa tradizione, un martire cristiano, venerato come santo megalomartire (in greco Hàghios Geòrgios ho Megalomàrtys, Ἅγιος Γεώργιος ὁ Μεγαλομάρτυς) da quasi tutte le Chiese cristiane che ammettono il culto dei santi. Morì prima di Costantino I, probabilmente sotto le mura di Nicomedia, secondo alcune fonti nel 303. Il suo culto è molto diffuso ed è antichissimo, risalendo almeno al IV secolo. Cenni biografici ed agiografia Raffaello San Giorgio e il drago, 1505 National Gallery of Art, Washington. La tomba di San Giorgio Lod (Israele) In mancanza di notizie biografiche certe su san Giorgio, le principali informazioni provengono dalla Passio sancti Georgii, che però già il Decretum Gelasianum del 496 classificava tra le opere apocrife. Secondo questa fonte, Giorgio era originario della Cappadocia (regione dell'odierna Turchia), figlio di Geronzio, persiano, e Policromia, cappadoce, nato verso l'anno 280. I genitori lo educarono alla religione cristiana. Trasferitosi in Palestina, si arruolò nell'esercito dell'imperatore Diocleziano, comportandosi da valoroso soldato, fino al punto di giungere a far parte della guardia del corpo dello stesso Diocleziano, divenendo ufficiale delle milizie. Il martirio sarebbe avvenuto sotto Diocleziano stesso (che però in molte versioni è sostituito da Daciano, imperatore dei Persiani), il quale avrebbe convocato settantadue re per decidere quali misure prendere contro i cristiani. Giorgio donò ai poveri tutti i suoi averi e, davanti alla corte, si confessò cristiano; all'invito dell'imperatore di sacrificare agli dei, si rifiutò: secondo la leggenda, venne battuto, sospeso, lacerato e gettato in carcere, dove ebbe una visione di Dio che gli predisse sei anni di tormenti, tre volte la morte e tre la resurrezione. Tagliato in due con una ruota piena di chiodi e spade, Giorgio resuscitò, operando la conversione del magister militum Anatolio con tutti i suoi soldati, che vennero uccisi a fil di spada; entrò in un tempio pagano e con un soffio abbatté gli idoli di pietra; convertì l'imperatrice Alessandra, che venne martirizzata. A richiesta del re Tranquillino, Giorgio risuscitò due persone morte da quattrocentosessant'anni, le battezzò e le fece sparire. L'imperatore Diocleziano lo condannò nuovamente a morte e il santo, prima di essere decapitato, implorò Dio che l'imperatore e i settantadue re fossero inceneriti; esaudita la sua preghiera, Giorgio si lasciò decapitare, promettendo protezione a chi avesse onorato le sue reliquie, le quali sono conservate in una cripta sotto la chiesa cristiana (di rito greco-ortodosso) a Lydda (l'odierna Lod, in Israele). Culto Il mito di san Giorgio culto per una Repubblica marinara «San Giorgio trafigge il drago». Affresco nel prospetto principale di Palazzo San Giorgio di Genova. Anticamente nella "Superba", la repubblica marinara di Genova - il cui vessillo era appunto una croce rossa in campo bianco - la venerazione di san Giorgio era riconosciuta a livello istituzionale, tanto da identificare l'immagine di san Giorgio e la bandiera rossocrociata con la Repubblica genovese; "Genova e san Giorgio" era il grido di battaglia degli armati della Repubblica. Il simbolo di san Giorgio ricorre ancor oggi nello stemma comunale del capoluogo ligure; lo stesso Grifone, proprio degli stemmi genovesi, potrebbe essere, in conseguenza dei rapporti tra Genova e il bacino del Mar Nero e vicino oriente anatolico-persiano, una rielaborazione per contaminazione della figura del drago. La grande diffusione del culto di san Giorgio, originariamente venerato in Oriente, si ebbe inizialmente in Europa in conseguenza delle Crociate in Terrasanta, e più precisamente ai tempi della battaglia di Antiochia. Accadde che, nell'anno 1098, durante una delle più furiose battaglie, i cavalieri crociati e i condottieri inglesi vennero soccorsi dai genovesi, i quali ribaltarono l'esito dello scontro e consentirono la presa della città, ritenuta inespugnabile. Secondo la leggenda, il martire si sarebbe mostrato ai combattenti cristiani in una miracolosa apparizione, accompagnato da splendide e sfolgoranti creature celesti con numerose bandiere, nelle quali cui campeggiavano croci rosse in campo bianco. La festa liturgica si celebra il 23 aprile. La sua memoria è celebrata in questo giorno anche nei riti siro e bizantino. Viene onorato, almeno dal IV secolo, come martire di Cristo in ogni parte della Chiesa. Nel 1969 la Chiesa cattolica declassò il santo nella liturgia a una memoria facoltativa, ma la devozione dei fedeli è continuata. La Legenda Aurea Si narra che in una città chiamata Silena, in Libia, vi fosse un grande stagno, tale da poter nascondere un drago, che, avvicinandosi alla città, uccideva con il fiato tutte le persone che incontrava. Gli abitanti gli offrivano per placarlo due pecore al giorno ma, quando queste cominciarono a scarseggiare, furono costretti a offrirgli una pecora e un giovane tirato a sorte. Un giorno fu estratta la giovane figlia del re. Il re, terrorizzato, offrì il suo patrimonio e metà del regno per salvarle la vita, ma la popolazione si ribellò, avendo visto morire tanti suoi figli. Dopo otto giorni di tentativi, il re alla fine dovette cedere e la giovane si avviò verso il lago per essere offerta al drago. In quel momento passò di lì il giovane cavaliere Giorgio, il quale, saputo dell'imminente sacrificio, tranquillizzò la principessa, promettendole il suo intervento per evitarle la brutale morte. Poi disse alla principessa di non aver timore, che l'avrebbe aiutata nel nome di Cristo. Quando il drago si avvicinò, Giorgio salì a cavallo e protettosi con la croce e raccomandandosi al Signore, con grande audacia affrontò il drago che gli veniva incontro, ferendolo gravemente con la lancia e lo gettò a terra, disse quindi alla ragazza[3] di avvolgere la sua cintura al collo del drago, il quale prese a seguirla docilmente verso la città. Gli abitanti erano atterriti nel vedere il drago avvicinarsi, ma Giorgio li tranquillizzò, dicendo loro di non aver timore poiché «Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago: se abbraccerete la fede in Cristo, riceverete il battesimo e io ucciderò il mostro». Allora il re e la popolazione si convertirono e il cavaliere uccise il drago e lo fece portare fuori dalla città, trascinato da quattro paia di buoi. Gustave Moreau, San Giorgio e il drago, 1889/90, National Gallery, Londra Questa leggenda era sorta al tempo delle Crociate e, probabilmente, fu influenzata da una falsa interpretazione di un'immagine dell'imperatore Costantino, trovata a Costantinopoli, in cui il sovrano schiacciava col piede un enorme drago, simbolo del «nemico del genere umano». La fantasia popolare ricamò sopra ciò e il racconto, passando per l'Egitto, dove san Giorgio ebbe dedicate molte chiese e monasteri, divenne una leggenda affascinante, spesso ripresa nell'iconografia. San Giorgio tuttavia non è l'unico personaggio che uccide un drago: anche ad altri santi le leggende riconoscono simili imprese; è facile confondere san Giorgio con san Demetrio o san Teodoro. Nell'iconografia, San Giorgio spesso compare con l'epiteto "O Τροπαιοφόρος" (tropeoforo, il vittorioso) e indicato come divinità Sol Invictus - Elio (divinità). Nel Medioevo la lotta di san Giorgio contro il drago diviene il simbolo della lotta del bene contro il male e, per questo, il mondo della cavalleria vi vide incarnati i suoi ideali. La leggenda del soldato vincitore del drago contribuì al diffondersi del suo culto, che divenne popolarissimo in Occidente ed in tutto l'Oriente bizantino, ove egli è per eccellenza il «grande martire» e il «trionfatore». Rapidamente egli divenne un santo tra i più venerati in ogni parte del mondo cristiano. Vari Ordini cavallereschi portano oggi il suo nome e i suoi simboli: l'Ordine della Giarrettiera, l'Ordine Teutonico, l'Ordine Militare di Calatrava, il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, il Reale e militare ordine di San Giorgio della Riunione e molti altri. Secondo vari studiosi, San Giorgio e San Michele sono eredi dell'immagine dell'eroe radioso che uccide un drago, parte della fase solare del mito della creazione, il cui archetipo fu il dio babilonese Marduk. Reliquie Grande venerazione riscosse il sepolcro del martire; le sue reliquie furono trasferite, probabilmente durante l'invasione persiana all'inizio del VII secolo o poco dopo, all'arrivo dei musulmani in Palestina. A Roma, Belisario (ca. 527) affidò alla protezione del santo la porta di san Sebastiano e la chiesa del Velabro, dove venne poi trasferito il cranio di san Giorgio, trovato in Cappadocia da papa Zaccaria (744–752). Una frazione del cranio di san Giorgio è custodita presso la chiesa di San Giorgio Martire in Oriolo (CS). Il nome di san Giorgio era invocato contro i serpenti velenosi, la peste, la lebbra e la sifilide e, nei paesi slavi, contro le streghe. Dal 1996, dietro autorizzazione ecclesiastica, san Giorgio è il santo protettore delle "Guardie Particolari Giurate". Edifici religiosi Numerosi sono gli edifici religiosi dedicati a San Giorgio nel mondo. Patronati In Italia In Italia il culto per san Giorgio è assai diffuso e le città e i comuni di cui è patrono sono più di cento, dei quali uno capoluogo di regione (Campobasso) e tre capoluoghi di provincia (Ferrara, Ragusa e Reggio Calabria); inoltre si contano ben ventuno comuni che portano il suo nome.
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Duomo di San Giorgio
13 Salita Duomo
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San Giorgio (Cappadocia, 275-285 circa – Nicomedia, 23 aprile 303) è stato, secondo una consolidata e diffusa tradizione, un martire cristiano, venerato come santo megalomartire (in greco Hàghios Geòrgios ho Megalomàrtys, Ἅγιος Γεώργιος ὁ Μεγαλομάρτυς) da quasi tutte le Chiese cristiane che ammettono il culto dei santi. Morì prima di Costantino I, probabilmente sotto le mura di Nicomedia, secondo alcune fonti nel 303. Il suo culto è molto diffuso ed è antichissimo, risalendo almeno al IV secolo. Cenni biografici ed agiografia Raffaello San Giorgio e il drago, 1505 National Gallery of Art, Washington. La tomba di San Giorgio Lod (Israele) In mancanza di notizie biografiche certe su san Giorgio, le principali informazioni provengono dalla Passio sancti Georgii, che però già il Decretum Gelasianum del 496 classificava tra le opere apocrife. Secondo questa fonte, Giorgio era originario della Cappadocia (regione dell'odierna Turchia), figlio di Geronzio, persiano, e Policromia, cappadoce, nato verso l'anno 280. I genitori lo educarono alla religione cristiana. Trasferitosi in Palestina, si arruolò nell'esercito dell'imperatore Diocleziano, comportandosi da valoroso soldato, fino al punto di giungere a far parte della guardia del corpo dello stesso Diocleziano, divenendo ufficiale delle milizie. Il martirio sarebbe avvenuto sotto Diocleziano stesso (che però in molte versioni è sostituito da Daciano, imperatore dei Persiani), il quale avrebbe convocato settantadue re per decidere quali misure prendere contro i cristiani. Giorgio donò ai poveri tutti i suoi averi e, davanti alla corte, si confessò cristiano; all'invito dell'imperatore di sacrificare agli dei, si rifiutò: secondo la leggenda, venne battuto, sospeso, lacerato e gettato in carcere, dove ebbe una visione di Dio che gli predisse sei anni di tormenti, tre volte la morte e tre la resurrezione. Tagliato in due con una ruota piena di chiodi e spade, Giorgio resuscitò, operando la conversione del magister militum Anatolio con tutti i suoi soldati, che vennero uccisi a fil di spada; entrò in un tempio pagano e con un soffio abbatté gli idoli di pietra; convertì l'imperatrice Alessandra, che venne martirizzata. A richiesta del re Tranquillino, Giorgio risuscitò due persone morte da quattrocentosessant'anni, le battezzò e le fece sparire. L'imperatore Diocleziano lo condannò nuovamente a morte e il santo, prima di essere decapitato, implorò Dio che l'imperatore e i settantadue re fossero inceneriti; esaudita la sua preghiera, Giorgio si lasciò decapitare, promettendo protezione a chi avesse onorato le sue reliquie, le quali sono conservate in una cripta sotto la chiesa cristiana (di rito greco-ortodosso) a Lydda (l'odierna Lod, in Israele). Culto Il mito di san Giorgio culto per una Repubblica marinara «San Giorgio trafigge il drago». Affresco nel prospetto principale di Palazzo San Giorgio di Genova. Anticamente nella "Superba", la repubblica marinara di Genova - il cui vessillo era appunto una croce rossa in campo bianco - la venerazione di san Giorgio era riconosciuta a livello istituzionale, tanto da identificare l'immagine di san Giorgio e la bandiera rossocrociata con la Repubblica genovese; "Genova e san Giorgio" era il grido di battaglia degli armati della Repubblica. Il simbolo di san Giorgio ricorre ancor oggi nello stemma comunale del capoluogo ligure; lo stesso Grifone, proprio degli stemmi genovesi, potrebbe essere, in conseguenza dei rapporti tra Genova e il bacino del Mar Nero e vicino oriente anatolico-persiano, una rielaborazione per contaminazione della figura del drago. La grande diffusione del culto di san Giorgio, originariamente venerato in Oriente, si ebbe inizialmente in Europa in conseguenza delle Crociate in Terrasanta, e più precisamente ai tempi della battaglia di Antiochia. Accadde che, nell'anno 1098, durante una delle più furiose battaglie, i cavalieri crociati e i condottieri inglesi vennero soccorsi dai genovesi, i quali ribaltarono l'esito dello scontro e consentirono la presa della città, ritenuta inespugnabile. Secondo la leggenda, il martire si sarebbe mostrato ai combattenti cristiani in una miracolosa apparizione, accompagnato da splendide e sfolgoranti creature celesti con numerose bandiere, nelle quali cui campeggiavano croci rosse in campo bianco. La festa liturgica si celebra il 23 aprile. La sua memoria è celebrata in questo giorno anche nei riti siro e bizantino. Viene onorato, almeno dal IV secolo, come martire di Cristo in ogni parte della Chiesa. Nel 1969 la Chiesa cattolica declassò il santo nella liturgia a una memoria facoltativa, ma la devozione dei fedeli è continuata. La Legenda Aurea Si narra che in una città chiamata Silena, in Libia, vi fosse un grande stagno, tale da poter nascondere un drago, che, avvicinandosi alla città, uccideva con il fiato tutte le persone che incontrava. Gli abitanti gli offrivano per placarlo due pecore al giorno ma, quando queste cominciarono a scarseggiare, furono costretti a offrirgli una pecora e un giovane tirato a sorte. Un giorno fu estratta la giovane figlia del re. Il re, terrorizzato, offrì il suo patrimonio e metà del regno per salvarle la vita, ma la popolazione si ribellò, avendo visto morire tanti suoi figli. Dopo otto giorni di tentativi, il re alla fine dovette cedere e la giovane si avviò verso il lago per essere offerta al drago. In quel momento passò di lì il giovane cavaliere Giorgio, il quale, saputo dell'imminente sacrificio, tranquillizzò la principessa, promettendole il suo intervento per evitarle la brutale morte. Poi disse alla principessa di non aver timore, che l'avrebbe aiutata nel nome di Cristo. Quando il drago si avvicinò, Giorgio salì a cavallo e protettosi con la croce e raccomandandosi al Signore, con grande audacia affrontò il drago che gli veniva incontro, ferendolo gravemente con la lancia e lo gettò a terra, disse quindi alla ragazza[3] di avvolgere la sua cintura al collo del drago, il quale prese a seguirla docilmente verso la città. Gli abitanti erano atterriti nel vedere il drago avvicinarsi, ma Giorgio li tranquillizzò, dicendo loro di non aver timore poiché «Iddio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago: se abbraccerete la fede in Cristo, riceverete il battesimo e io ucciderò il mostro». Allora il re e la popolazione si convertirono e il cavaliere uccise il drago e lo fece portare fuori dalla città, trascinato da quattro paia di buoi. Gustave Moreau, San Giorgio e il drago, 1889/90, National Gallery, Londra Questa leggenda era sorta al tempo delle Crociate e, probabilmente, fu influenzata da una falsa interpretazione di un'immagine dell'imperatore Costantino, trovata a Costantinopoli, in cui il sovrano schiacciava col piede un enorme drago, simbolo del «nemico del genere umano». La fantasia popolare ricamò sopra ciò e il racconto, passando per l'Egitto, dove san Giorgio ebbe dedicate molte chiese e monasteri, divenne una leggenda affascinante, spesso ripresa nell'iconografia. San Giorgio tuttavia non è l'unico personaggio che uccide un drago: anche ad altri santi le leggende riconoscono simili imprese; è facile confondere san Giorgio con san Demetrio o san Teodoro. Nell'iconografia, San Giorgio spesso compare con l'epiteto "O Τροπαιοφόρος" (tropeoforo, il vittorioso) e indicato come divinità Sol Invictus - Elio (divinità). Nel Medioevo la lotta di san Giorgio contro il drago diviene il simbolo della lotta del bene contro il male e, per questo, il mondo della cavalleria vi vide incarnati i suoi ideali. La leggenda del soldato vincitore del drago contribuì al diffondersi del suo culto, che divenne popolarissimo in Occidente ed in tutto l'Oriente bizantino, ove egli è per eccellenza il «grande martire» e il «trionfatore». Rapidamente egli divenne un santo tra i più venerati in ogni parte del mondo cristiano. Vari Ordini cavallereschi portano oggi il suo nome e i suoi simboli: l'Ordine della Giarrettiera, l'Ordine Teutonico, l'Ordine Militare di Calatrava, il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, il Reale e militare ordine di San Giorgio della Riunione e molti altri. Secondo vari studiosi, San Giorgio e San Michele sono eredi dell'immagine dell'eroe radioso che uccide un drago, parte della fase solare del mito della creazione, il cui archetipo fu il dio babilonese Marduk. Reliquie Grande venerazione riscosse il sepolcro del martire; le sue reliquie furono trasferite, probabilmente durante l'invasione persiana all'inizio del VII secolo o poco dopo, all'arrivo dei musulmani in Palestina. A Roma, Belisario (ca. 527) affidò alla protezione del santo la porta di san Sebastiano e la chiesa del Velabro, dove venne poi trasferito il cranio di san Giorgio, trovato in Cappadocia da papa Zaccaria (744–752). Una frazione del cranio di san Giorgio è custodita presso la chiesa di San Giorgio Martire in Oriolo (CS). Il nome di san Giorgio era invocato contro i serpenti velenosi, la peste, la lebbra e la sifilide e, nei paesi slavi, contro le streghe. Dal 1996, dietro autorizzazione ecclesiastica, san Giorgio è il santo protettore delle "Guardie Particolari Giurate". Edifici religiosi Numerosi sono gli edifici religiosi dedicati a San Giorgio nel mondo. Patronati In Italia In Italia il culto per san Giorgio è assai diffuso e le città e i comuni di cui è patrono sono più di cento, dei quali uno capoluogo di regione (Campobasso) e tre capoluoghi di provincia (Ferrara, Ragusa e Reggio Calabria); inoltre si contano ben ventuno comuni che portano il suo nome.
San Giuseppe (in ebraico: יוֹסֵף‎?, Yosef; in greco antico Ιωσηφ; in latino: Ioseph) secondo il Nuovo Testamento è lo sposo di Maria e il padre putativo di Gesù; è definito come uomo giusto. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa. Fu dichiarato patrono della Chiesa cattolica dal beato Pio IX l'8 dicembre 1870. San Giuseppe, Maria e Gesù bambino sono anche collettivamente riconosciuti come la Sacra Famiglia. La vita Padre putativo Elisabetta Sirani (Bologna 1638-1665) San Giuseppe col bambino Gesù c. 1662 San Giuseppe, opera lignea di autore ignoto del 1738 - Catenanuova Chiesa Madre I Vangeli e la dottrina cristiana affermano che il vero padre di Gesù è Dio: Maria lo concepì miracolosamente, senza aver avuto rapporti sessuali con alcuno, per intervento dello Spirito Santo. Giuseppe, inizialmente intento a ripudiarla in segreto, fu messo al corrente di quanto era accaduto da un angelo apparsogli in sogno e accettò di sposarla e di riconoscere legalmente Gesù come proprio figlio. Perciò la tradizione lo chiama padre putativo di Gesù (dal latino puto, "credo"), cioè colui "che era creduto" suo padre (sulla scorta di Luca 3,23). Professione In Matteo 13,55 la professione di Giuseppe viene nominata quando si dice che Gesù era figlio di un "téktón". Il termine greco téktón è stato interpretato in vari modi. Si tratta di un titolo generico che non si limitava ad indicare i semplici lavori di un falegname, ma veniva usato per operatori impegnati in attività economiche legate all'edilizia, in cui si esercitava piuttosto un mestiere con materiale pesante, che manteneva la durezza anche durante la lavorazione, per esempio legno o pietra. Accanto alla traduzione - accettata dalla maggior parte dagli studiosi - di téktón come carpentiere, alcuni hanno voluto accostare quella di scalpellino. Qualche studioso ha ipotizzato che non avesse una semplice bottega artigiana, ma un'attività imprenditoriale legata alle costruzioni, dunque in senso stretto non doveva appartenere a una famiglia povera. Secondo alcuni vangeli apocrifi Maria sarebbe stata figlia di Anna e del ricco Gioacchino; questa interpretazione sulla professione imprenditoriale di Giuseppe meglio si concilia con la condizione economica benestante della sua promessa sposa (rispetto ad avere due genitori di Gesù entrambi discendenti di re Davide, ma con Giuseppe di modeste origini). Tra gli ebrei dell'epoca, i bambini a cinque anni iniziavano l'istruzione religiosa e l'apprendimento del mestiere del padre, quindi è ipotizzabile che Gesù a propria volta praticò in gioventù il mestiere di falegname[2]. Il primo evangelista ad usare questo titolo per Gesù è stato Marco che definisce Gesù un téktón in occasione di una visita a Nazaret, osservando che i concittadini ironicamente si chiedono: "Non è costui il téktón, il figlio di Maria? Matteo riprende il racconto di Marco, ma con una variante: "Non è egli (Gesù) il figlio del téktón?" Com'è evidente, qui è Giuseppe a essere iscritto a questa professione. Nei tempi antichi, i Padri latini della Chiesa hanno però tradotto il termine greco di téktón con falegname, dimenticando forse che nella Israele di allora il legno non serviva soltanto per approntare aratri e mobili vari, ma veniva usato come materiale per costruire case e qualsiasi edificio. Infatti, oltre ai serramenti in legno, i tetti a terrazza delle case israelite erano allestiti con travi connesse tra loro con rami, argilla, fango e terra pressata, tant'è vero che il Salmo 129 descrive come sui tetti crescesse l'erba. Secondo i Vangeli, Giuseppe esercitò la sua professione a Nazaret, dove viveva con la famiglia. Potrebbe avere lavorato per qualche tempo anche a Cafarnao; a sostegno di questa ipotesi viene citato un passo del Vangelo secondo Giovanni, in cui Gesù predica nella sinagoga di Cafarnao e i suoi oppositori dicono di lui che è il figlio di Giuseppe (Gv6,41-59), cosa che dimostrerebbe che essi conoscevano Giuseppe. Alcuni studiosi ipotizzano che potrebbe avere lavorato per un certo periodo, probabilmente insieme a Gesù, anche a Zippori, importante città situata a pochi chilometri da Nazaret. Origini e sposalizio con Maria Lo Sposalizio della Vergine del Perugino Le notizie dei Vangeli canonici su san Giuseppe sono molto scarne. Parlano di lui Matteo e Luca: essi ci dicono che Giuseppe era un discendente del re Davide ed abitava nella piccola città di Nazaret. Le versioni dei due evangelisti divergono nell'elencare la genealogia di Gesù, compreso chi fosse il padre di Giuseppe: Luca 3,23-38: Gesù quando incominciò il suo ministero aveva circa trent'anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe, figlio di Eli. Matteo 1,1-16: Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. Lo stesso argomento in dettaglio: Genealogia di Gesù. Secondo la tradizione dei Vangeli apocrifi, in particolar modo il Protovangelo di Giacomo (II secolo) Giuseppe, discendente dalla famiglia di David e originario di Betlemme, prima del matrimonio con Maria si sposò con una donna che gli diede sei figli, quattro maschi (Giuda, Giuseppe, Giacomo e Simeone) e due femmine (Lisia e Lidia). Rimase però ben presto vedovo e con i figli a carico. Gli apocrifi cercavano in tal modo di giustificare la presenza di fratelli di Gesù nei Vangeli. La Chiesa ortodossa accoglie questa tradizione (come ben mostrato nei mosaici della chiesa di San Salvatore in Chora, a Costantinopoli), mentre la Chiesa cattolica rifiuta questa interpretazione, e sostiene che si trattasse di cugini o altri parenti stretti (in greco antico vi sono due termini distinti: adelfòi, fratelli, e sìnghnetoi, cugini, ma in ebraico e in aramaico una sola parola, ah, è usata per indicare sia fratelli sia cugini.) Seguendo ancora la tradizione apocrifa, Giuseppe, già in età avanzata, si unì ad altri celibi della Palestina, tutti discendenti di Davide, richiamati da alcuni banditori provenienti da Gerusalemme. Il sacerdote Zaccaria aveva infatti ordinato che venissero convocati tutti i figli di stirpe reale per sposare la giovane Maria, futura madre di Gesù, allora dodicenne, che era vissuta per nove anni nel tempio. Per indicazione divina, questi celibi avrebbero condotto all'altare il loro bastone, Dio stesso ne avrebbe poi fatto fiorire uno, scegliendo così il prescelto. Zaccaria entrato nel tempio chiese responso nella preghiera, poi restituì i bastoni ai legittimi proprietari: l'ultimo era quello di Giuseppe, era in fiore e da esso uscì una colomba che si pose sul suo capo[9]. Giuseppe si schermì facendo presente la differenza d'età, ma il sacerdote lo ammonì a non disubbidire alla volontà di Dio. Allora questi, pieno di timore, prese Maria in custodia nella propria casa. Il dubbio dinanzi alla gravidanza di Maria Sogno di san Giuseppe, Antonio Palomino La vicenda di Maria e Giuseppe ha inizio nei Vangeli con l'episodio dell'Annunciazione: Nel sesto mese l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe, la vergine si chiamava Maria. Giuseppe è presentato come il discendente di Davide, sposo della Vergine divenuta protagonista del Mistero dell'Incarnazione. Per opera dello Spirito Santo, Maria concepì un Figlio "che sarà chiamato Figlio dell'Altissimo". L'angelo a conferma dell'evento straordinario, le disse poi che anche la cugina Elisabetta benché sterile, aspettava un figlio. Maria si recò subito dalla parente e al suo ritorno, essendo già al terzo mese, erano visibili i segni della gravidanza. In queste circostanze "Giuseppe suo sposo che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di allontanarla in segreto " come dice il Vangelo secondo Matteo. L'uomo non sapeva come comportarsi di fronte alla miracolosa maternità della moglie: certamente cercava una risposta all'inquietante interrogativo, ma soprattutto cercava una via di uscita da una situazione difficile senza esporre Maria alla pena della lapidazione. Ecco però che gli apparve in sogno un angelo che gli disse: "Giuseppe figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli salverà il suo popolo dai suoi peccati". Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo e prese con sé la sua sposa, accettandone il mistero della maternità e le successive responsabilità. Giuseppe, custode di Maria e del neonato Gesù Pierre Parrocel, San Giuseppe adorante il bambino Gesù, 1694. Secondo il racconto del Vangelo secondo Luca, qualche mese dopo Giuseppe si spostò insieme a Maria dalla città di Nazaret, in Galilea, a Betlemme, in Giudea, a causa di un censimento (vedi Censimento di Quirinio) della popolazione di tutto l'impero, per il quale anche lui doveva registrarsi nella sua città d'origine, insieme alla sposa. Mentre i due si trovavano a Betlemme, giunse il momento del parto e la ragazza diede alla luce il figlio "che fasciato fu posto in una mangiatoia, perché non vi era posto per loro nell'albergo". Giuseppe fu dunque testimone dell'adorazione del piccolo da parte di pastori avvisati da un angelo, e più tardi anche di quella dei magi, venuti dal lontano Oriente, secondo l'indicazione ottenuta dagli astri e da una stella in particolare. I magi "entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre e, prostratisi, lo adorarono": Giuseppe non è citato né visto ma certamente era presente all'avvenimento. Dopo otto giorni dalla nascita, secondo la legge di Mosè, avvenne la circoncisione del bambino, cui Giuseppe impose il nome Gesù. Quaranta giorni dopo lui e Maria portarono il neonato a Gerusalemme per la presentazione al tempio e lì assistettero alla profetica esaltazione del vecchio Simeone che predisse un futuro glorioso per il bambino, segno di contraddizione e gloria del suo popolo Israele. Dopo la presentazione al tempio, l'evangelista Luca ci narra che fecero ritorno in Galilea, alla loro città Nazaret. La Sacra Famiglia rimase a Betlemme per un periodo non ben determinato, sembra da un minimo di 40 giorni (Luca 2,22;2,39) a un massimo di due anni (Matteo 2,16), dopo di che secondo Matteo, avvertito in sogno da un angelo, Giuseppe con la sposa e il figlio fuggì in Egitto a causa della persecuzione del re Erode che, avendo udito il racconto dei magi, voleva liberarsi di quel "nascituro re dei Giudei", massacrando tutti i bambini di Betlemme dai due anni in giù. Dopo un periodo di esilio non ben determinato, ricevuto in sogno l'ordine di partire, poiché Erode era morto,(non poteva essere morto prima della nascita di colui che voleva uccidere) tornò con la famiglia a Nazaret, non sostando però a Betlemme a causa della monarchia di Archelao, non meno pericolosa di quella del padre. Luca non menziona il soggiorno in Egitto, ma concorda sul ritorno a Nazaret, dove Gesù visse fino all'inizio della sua vita pubblica. La vita "nascosta" di Nazaret Sacra Famiglia col cagnolino di Bartolomé Esteban Murillo. I Vangeli riassumono in poche parole il lungo periodo della fanciullezza di Gesù, durante il quale questi, attraverso una vita apparentemente normale, si preparava alla sua missione. Un solo momento è sottratto a questa "normalità" ed è descritto dal solo Luca. Bartolomé Esteban Murillo, Le due Trinità Gesù, a dodici anni, probabilmente in occasione della sua Bar mitzvah, l'iniziazione religiosa degli ebrei, partì come pellegrino insieme coi genitori verso Gerusalemme per festeggiarvi la festa di Pasqua. Trascorsi però i giorni della festa, mentre riprendeva la via del ritorno, Gesù rimase a Gerusalemme, senza che Maria e Giuseppe se ne accorgessero. Passato un giorno se ne resero conto e iniziarono a cercarlo, trovandolo dopo tre giorni di ricerche nel tempio, seduto a discutere con i dottori. Maria gli domandò: "Figlio, perché hai fatto così? Ecco tuo padre ed io, angosciati ti cercavamo". La risposta di Gesù "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" lasciò i genitori senza parole. La morte Bartolomeo Altomonte, Morte di san Giuseppe La morte di San Giuseppe nella chiesa San Carlo Borromeo a San Marzano di San Giuseppe Tornato a Nazaret, Gesù cresceva giovane e forte, sottomesso ai genitori. Quando iniziò la sua vita pubblica, molto probabilmente Giuseppe era già morto. Infatti, non è mai più menzionato dai Vangeli dopo il passo di Luca sopra citato (talvolta Gesù è chiamato "figlio di Giuseppe", ma questo non implica che fosse ancora vivente). Maria è presente da sola alla crocifissione di Gesù, cosa che non sarebbe avvenuta se Giuseppe fosse stato vivo. Inoltre, quando Gesù è in croce, affida Maria al suo discepolo Giovanni, il quale "da quel momento la prese nella sua casa", il che non sarebbe stato necessario se Giuseppe fosse stato in vita. Mentre i Vangeli canonici non dicono nulla sulla morte di Giuseppe, qualche notizia si trova nei Vangeli apocrifi. Secondo l'apocrifo "Storia di Giuseppe il falegname", che descrive dettagliatamente il trapasso del santo, Giuseppe aveva ben 111 anni quando morì, godendo sempre di un'ottima salute e lavorando fino al suo ultimo giorno. Avvertito da un angelo della prossima morte, si reca a Gerusalemme e al suo ritorno viene colpito dalla malattia che l'avrebbe ucciso. Stremato nel suo letto, sconvolto dai tormenti, è travagliato nella mente e solo la consolazione di Gesù riesce a calmarlo. Circondato dalla sposa, viene liberato dalla visione della morte e dell'Oltretomba, scacciate subito da Gesù stesso. L'anima del santo viene quindi raccolta dagli arcangeli e condotta in paradiso. Il suo corpo viene poi sepolto con tutti gli onori alla presenza dell'intera Nazaret. Ancora oggi non sappiamo dove si trovi la tomba del santo, nelle cronache dei pellegrini che visitarono la Palestina si trovano alcune indicazioni circa il sepolcro di san Giuseppe. Due riguardano Nazaret e altre due Gerusalemme, nella valle del Cedron. Non esistono, tuttavia, argomenti consistenti al riguardo. L'entrata in Cielo di Giuseppe Grandi santi e teologi si sono mostrati convinti che Giuseppe sia stato assunto in Cielo al tempo della Risurrezione di Cristo. Così Francesco di Sales in un suo sermone: «Non dobbiamo per nulla dubitare che questo santo glorioso abbia un enorme credito nel Cielo, presso Colui che l'ha favorito a tal punto da elevarlo accanto a Sé in corpo e anima. Cosa che è confermata dal fatto che non abbiamo reliquie del suo corpo sulla terra. Così che mi sembra che nessuno possa dubitare di questa verità. Come avrebbe potuto rifiutare questa grazia a Giuseppe, Colui che gli era stato obbediente tutto il tempo della sua vita?» A tal proposito, papa Giovanni XXIII – nel maggio del 1960, in occasione dell'omelia per la canonizzazione di Gregorio Barbarigo – ha mostrato la sua prudente adesione a quest'antica «pia credenza» secondo cui Giuseppe, come anche Giovanni Battista, sarebbe risorto in corpo e anima e salito con Gesù in Cielo all'Ascensione. Il riferimento biblico sarebbe in Matteo 27,52 «...e i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E, uscendo dai sepolcri, entrarono nella Città santa e apparvero a molti...» Il Giuseppe dei Vangeli apocrifi A partire dal II secolo, vennero composti vangeli apocrifi probabilmente assecondando le sette gnostiche, in cui si nota il desiderio di approfondire misticamente le visioni del padre di Gesù e le parole dell'angelo durante i sogni, e anche di considerare l'esistenza di Giuseppe in rapporto ad alcuni brani profetici e spirituali dell'Antico Testamento. Nessuno degli antichi scritti è stato accettato come divinamente ispirato dalla Chiesa, in primo luogo per la tardività di tali scritti (II secolo e oltre) e in secondo luogo per le vistose contraddizioni presenti in essi, e rispetto ai vangeli canonici. La notorietà di tali scritti li ha comunque portati a divenire materia per artisti e scrittori, esercitando anche un certo influsso su vari pittori cristiani. San Giuseppe falegname Georges de La Tour. Il Protovangelo di Giacomo (o «Primo Vangelo» o Storia di Giacomo sulla nascita di Maria) è un testo composto nella seconda metà del II secolo, probabilmente in Egitto, con lo scopo di difendere la verginità di Maria. Già nelle prime pagine vi è una narrazione del suo fidanzamento con Giuseppe, all'età di 12 anni. Maria viene soltanto "affidata alla custodia di Giuseppe", non per vivere in futuro relazioni matrimoniali. Però i figli di Giuseppe vengono considerati come "fratelli di Gesù". Non si parla dell'età di Giuseppe. È un uomo vecchio, però ancora in grado di lavorare, così egli lascia Maria a casa e si allontana "per costruire costruzioni", cioè per lavorare alla costruzione di edifici. La frase dice: egli fu muratore. Segue il racconto molto romanzato dell'Annunciazione in cui si riporta di un Giuseppe sofferente e con numerosi sospetti. In questo vangelo si riporta la celebrazione del rito dell'oblazione di gelosia di Numeri 5,11-31. Dopo sei mesi di lavori di costruzione, Giuseppe torna a casa e vedendo Maria, è spaventato dalla sua misteriosa gravidanza. Ma l'angelo gli appare spiegandogli il mistero e obbligandolo a "guardare a Maria". Così egli parte con lei per Betlemme, dove il bambino nascerà. lì, una donna saggia di nome Salomè viene a visitare Maria e constata la sua verginità anche dopo il parto. Segue la narrazione dell'adorazione dei Magi e di altri eventi legati alla natività, ma non si nomina Giuseppe, nel vangelo più volte chiamato "servo obbediente degli ordini dell'Altissimo" e "fedele custode di Maria" Per l'infanzia di Gesù esistono nei vari apocrifi anche altre narrazioni che possono apparire inventate, ma ben accolte dalla devozione popolare nei secoli seguenti. Per esempio, nel cosiddetto Vangelo dell'infanzia di Tommaso, si hanno numerose menzioni del "padre del Salvatore che con molta fatica e pazienza si è dedicato all'educazione del bambino Gesù". Questo Vangelo dell'infanzia, che nella sua forma attuale risale al IV secolo, narra i presunti miracoli compiuti da Gesù fra i 5 e i 10 anni. Comincia con il racconto di Giuseppe che invia Gesù a scuola per imparare l'alfabeto greco. Quando il bambino ha otto anni, comincia a lavorare con Giuseppe per diventare, come lui, un agricoltore e carpentiere. Quando nel Vangelo dell'infanzia vengono riportati i miracoli di Gesù, ripresi probabilmente da quelli compiuti in Egitto, si conclude con la meravigliosa guarigione di uno dei figli di Giuseppe mortalmente ferito da un serpente velenoso. In tutto il vangelo Giuseppe appare come uomo onesto e apprezzato per la sua vicinanza ai propri figli, un padre presentato in modo agiografico attraverso l'uso del termine "Santo Giuseppe". San Girolamo smentirà l'idea di un Giuseppe vecchio e già con figli, reputando che il santo non fosse sposato prima di scegliere Maria e che fosse ancora giovane. Nell'esposizione delle sue idee viene detto: Giuseppe "contrasse matrimonio con Maria: questa era sui 14 o 15 anni, lui sui 18 o 20 anni. Queste le età solite per il matrimonio presso gli ebrei... Giuseppe e Maria vivono assieme, sotto il medesimo tetto. I giorni passano, e per Maria si avvicina il tempo del parto". San Giuseppe secondo gli scritti patristici "San Giuseppe" El Greco Scopo principale dei primi teologi cristiani è stato liberare la figura del Santo dalle varie devozioni ed eresie scaturite dagli Apocrifi e arrivare così, attraverso lo studio dei vangeli, a un accurato esame della genealogia di Gesù, del matrimonio di Giuseppe e Maria e della costituzione della Sacra Famiglia. Questi tre momenti essenziali ritornano in tutte le loro ricerche; talvolta si aggiungono anche riflessioni cristologiche, per poter interpretare certe ipotesi che riguardano la legge del matrimonio, la giustizia di Giuseppe, il valore dei suoi sogni ma non si arriva mai a poter presentare un suo profilo biografico. Il primo autore che ricorda Giuseppe è Giustino. Nel III secolo Origene in un'omelia ha voluto mettere in luce che "Giuseppe era giusto e la sua vergine era senza macchia. La sua intenzione di lasciarla si spiega per il fatto di aver riconosciuto in lei la forza di un miracolo e di un mistero grandioso. Per avvicinarsi a esso, egli si ritenne indegno" Nel IV secolo sono stati san Cirillo di Gerusalemme, san Cromazio d'Aquileia e sant'Ambrogio a fare qualche riflessione sulla verginità di Maria, sul matrimonio di Giuseppe con lei, sulla vera paternità del suo sposo. Per esempio, san Cirillo fa un paragone per spiegare la paternità di Giuseppe e lo riallaccia alla figura di sant'Elisabetta. L'interpretazione di Cromazio Di san Cromazio sono rimaste 18 prediche che riprendono i primi capitoli del Vangelo di Matteo. Egli afferma: "Non a torto Matteo ha ritenuto di dover assicurare che Cristo Signore nostro è figlio sia di Davide che di Abramo, dal momento che sia Giuseppe sia Maria traggono origine dalla schiatta di Davide, e cioè essi hanno un'origine regale". Nella terza predica Cromazio si dedica a un approfondimento teologico del racconto di Matteo 1,24-25: "Continua a narrare l'evangelista: Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli avesse rapporti carnali con lei; partorì un figlio, che egli chiamò Gesù. Dunque, Giuseppe viene illuminato sul sacramento del mistero celeste mediante un angelo: Giuseppe obbedisce di buon grado alle raccomandazioni dell'angelo; pieno di gioia dà esecuzione ai divini comandi; prende perciò con sé la Vergine Maria; può menare vanto delle promesse che annunciano tempi nuovi e lieti, perché, per una missione unica, qual è quella che gli affida la maestà divina, viene scelta a essere madre una vergine, la sua sposa, come egli aveva meritato di sentirsi dire dall'angelo. Ma c'è un'espressione dell'evangelista: Ed egli non la conobbe fintantoché lei non generò il figlio, che attende una chiarificazione, dal momento che gente senza criterio (gli eretici e lettori di libri apocrifi) fanno questioni a non finire; e poi dicono che, dopo la nascita del Signore, la Vergine Maria avrebbe conosciuto carnalmente Giuseppe. Ma la risposta all'obiezione mossa da coloro, viene sia dalla fede che dalla ragione della stessa verità: l'espressione dell'evangelista non può essere intesa al modo in cui l'intendono quegli stolti! Dio ci guardi dall'affermare una cosa simile, dopo che abbiamo conosciuto il sacramento di un sì grande mistero, dopo la condiscendenza (il concepimento) del Signore che si è degnato di nascere dalla Vergine Maria. Credere che lei possa aver poi avuto dei rapporti carnali con Giuseppe, Cromazio lo esclude e, per vincere categoricamente tale opinione esistente ai suoi tempi, porta l'esempio della sorella di Mosè, che volle conservare la verginità. Nomina anche Noè che «"sì impose una perenne astinenza dal debito coniugale. Se vogliamo un altro esempio, Mosè, dopo aver percepito la voce di Dio nel roveto ardente, anche lui si astenne da qualsiasi rapporto coniugale per il tempo che seguì. E sarebbe permesso credere che Giuseppe, che la Scrittura definisce uomo giusto, abbia mai potuto avere relazioni carnali con Maria, dopo che ella aveva partorito il Signore? La spiegazione del testo evangelico: Ed egli non la conobbe fintanto che lei non generò il figlio, è la seguente: spesso la Scrittura divina suole assegnare un termine a quelle cose che per sé non hanno termine e determinare un tempo per quelle cose che per sé non sono chiuse entro un determinato tempo. Ma anche per questo caso ci viene in soccorso la Scrittura; tra i molti esempi possibili ne scegliamo alcuni pochi". L'ultima ripresa della figura di Giuseppe è legata al racconto sul ritorno dalla fuga in Egitto. Secondo Ambrogio e Agostino statua di San Giuseppe - Chiesa SS. Crocifisso - S. Maria di Licodia (CT) Simili interpretazioni si possono dimostrare anche in sant'Ambrogio che, leggendo i racconti degli evangelisti, sottolinea quanto egli fosse sincero e privo di menzogna e nel vivo desiderio di presentare Giuseppe come uomo giusto, Ambrogio avverte che l'evangelista, quando spiega "l'immacolato concepimento di Cristo" vide in Giuseppe un giusto che non avrebbe potuto contaminare "Sancti Spintus templum, cioè la Madre del Signore fecondata nel grembo dal mistero" dello Spirito Santo". Nel commento classico del Vangelo, fatto poco dopo il Natale del 417 da sant'Agostino nel suo Sermone sulla Genealogia di Cristo, vengono riprese preziose notizie e opinioni anteriori. Secondo Matteo 1:18-21, Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Egli non non volle punirla nè denunciarla, ma accettò infine una matrimonio casto e fedele con la sposa promessa da Dio, e secondo le parole dell'angelo del Signore[23][24]. "Molti perdonano le mogli adultere spinti dall'amore carnale, volendo tenerle, benché adultere, allo scopo di goderle per soddisfare la propria passione carnale. Questo marito giusto invece non vuole tenerla; il suo alletto dunque non ha nulla di carnale; eppure non la vuole nemmeno punire; il suo perdono, dunque, è solo ispirato dalla misericordia". Agostino mette in luce il significato della sua paternità spiegando come la Scrittura voglia dimostrare che Gesù non nacque per discendenza carnale da Giuseppe poiché egli era angosciato, perché non sapeva come mai la sposa fosse gravida. Per attestare la non paternità di Giuseppe, Agostino cita l'episodio dello smarrimento di Gesù al tempio quando egli dice: Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio? "Rispose così, poiché il Figlio di Dio era nel tempio di Dio. Quel tempio infatti non era di Giuseppe, ma di Dio. Poiché Maria aveva detto: Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo, egli rispose: Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio? In realtà egli non voleva far credere d'essere loro figlio senza essere nello stesso tempo Figlio di Dio. Difatti, in quanto Figlio di Dio, egli è sempre tale ed è creatore dei suoi stessi genitori; in quanto invece figlio dell'uomo a partire da un dato tempo, nato dalla Vergine senza il consenso d'uomo, aveva un padre e una madre". Agostino sente però la necessità di dire che Gesù non disconosce Giuseppe come suo padre e infatti sottolinea come il giovane Nazareno fosse durante l'adolescenza sottomesso ai suoi genitori, quindi sia a Maria che a Giuseppe. Per Agostino è molto importante spiegare la paternità di Giuseppe, poiché le generazioni sono contate secondo la sua linea genealogica e non secondo quella di Maria: "Enumeriamo perciò le generazioni lungo la linea di Giuseppe, poiché allo stesso modo che è casto marito, così è pure casto padre". Lo Pseudo-Crisostomo e lo Pseudo-Origene Nel VI secolo, ricordiamo al riguardo le omelie dello Pseudo-Crisostomo e dello Pseudo-Origene. Nell'Omelia dello Pseudo-Crisostomo Giuseppe viene messo in luce come uomo giusto in parole e in opere, giusto nell'adempimento della legge e per aver ricevuto la grazia. Per questo intendeva lasciare segretamente Maria, egli non dubitava delle sue parole ma una grande angoscia riempì il suo cuore e quando gli apparve l'angelo a Giuseppe si domandò perché non si era fatto vedere prima della concezione di Maria perché accettasse il mistero senza difficoltà. Anche nell'Omelia dello Pseudo-Origene si manifesta l'intenzione di riflettere su un messaggio anteriore dell'angelo. Egli domanda: "Giuseppe, perché hai dubbi? Perché hai pensieri imprudenti? Perché mediti senza ragionare? È Dio che viene generato ed è la vergine che lo genera. In questa generazione sei tu colui che aiuta e non colui dal quale essa dipende. Sei il servo e non il signore, il domestico e non il creatore". Negli ultimi secoli del primo millennio si continuano a studiare i diversi aspetti dell'esistenza e della missione di Giuseppe, cercando di esporre l'etimologia del suo nome, la sua discendenza davidica, e soprattutto le solite realtà biblico-teologiche. Giuseppe nel Medioevo. La nascita d'un primo culto giuseppino Statua di San Giuseppe con Bambino, custodita nella Concattedrale di Palmi Nel primo Medioevo, insieme a una più ampia devozione mariana, cominciava lentamente a fiorire anche una devozione a san Giuseppe. Gli scritti dei monaci benedettini costituiscono un valido contributo per arrivare a un inizio del culto giuseppino, rimasto però legato ai loro ambiti religiosi, dove si cominciò a inserire il nome di Giuseppe nei loro calendari liturgici o nel loro martirologio. Testi importanti sulla posizione di Giuseppe nell'opera della salvezza, si incontrano nei due grandi mistici benedettini: Ruperto di Deutz (†1130) e san Bernardo di Chiaravalle (†1153). Entrambi hanno tentato di chiamare i fedeli a una vera devozione a Giuseppe: san Bernardo di Chiaravalle ha cercato di descrivere con devoto impegno la sua umile e nascosta figura. Nei suoi Sermoni "In laudibus Virginis Mariae", composte per le feste della Madonna si trovano brani sul santo in cui è espresso che "la fama della Vergine Maria non sarebbe integra senza la presenza di Giuseppe". Sul santo, avverte Bernardo, non esiste "nessun dubbio che sia stato sempre un uomo buono e fedele. La sua sposa era la Madre del Salvatore. Servo fedele, ripeto, e saggio, scelto dal Signore per confortare la Madre sua e provvedere al sostentamento di suo figlio, il solo coadiutore fedelissimo, sulla terra, del grande disegno di Dio". L'influsso di Bernardo si manifesta anche nella letteratura e poesia medioevale, è interessante pensare qui a Dante Alighieri che degnamente invoca il nome di san Giuseppe al vertice della Divina Commedia. Tra i teologi san Bonaventura è stato il primo a ripensare al santo come protettore di Maria e Gesù Bambino nella povera grotta. Un altro francescano, il teologo Duns Scoto, sceglie alcune questioni intitolate "De matrimonio inter B.V. Mariam et sanctum Joseph". Propone una nuova spiegazione del loro sposalizio, ricorrendo alla distinzione tra il diritto sui corpi e il loro uso nel matrimonio che, secondo il teologo, è stato perfetto, sotto tutti gli aspetti, ed è da considerare una "questione divina regolata dallo Spirito Santo". Secondo san Tommaso d'Aquino la presenza di Giuseppe era necessaria nel piano dell'Incarnazione poiché senza di lui la gente avrebbe potuto dire che Gesù era un figlio illegittimo, frutto di una relazione illecita. Cristo aveva bisogno del nome, delle cure e della protezione di un padre umano, se Maria non fosse stata sposata, i Giudei l'avrebbero considerata un'adultera e l'avrebbero lapidata. Il teologo medievale continua dicendo che il matrimonio di Maria e di Giuseppe fu un vero matrimonio: "essi erano uniti l'uno all'altro dall'amore reciproco, un amore spirituale. Si scambiarono quei diritti coniugali che sono inerenti al matrimonio, anche se, per il loro voto di verginità, non ne fecero uso". Alla luce della Redemptoris Custos Il 15 agosto 1989, nel centenario dell'enciclica di Leone XIII, intitolata Quamquam Pluries, Giovanni Paolo II ha scritto un'esortazione apostolica sulla figura e la missione di san Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa; essa inizia con le parole Redemptoris Custos (Il Custode del Redentore), che definiscono il rapporto esistente tra Giuseppe e Gesù. Michelangelo Buonarroti Tondo Doni Questo importante documento pontificio, deve essere considerato come la “magna carta” della teologia di san Giuseppe, proposta ufficialmente a tutta la Chiesa, a cominciare dai Vescovi fino a tutti i fedeli. L'esortazione Redemptoris Custos è strettamente collegata con l'enciclica La Madre del Redentore, preceduta dall'enciclica Redemptor Hominis e seguita da un'altra enciclica, intitolata Redemptoris Missio, che si riferisce alla Chiesa. Appare così chiaro che il Magistero della Chiesa cattolica considera san Giuseppe inserito direttamente nel mistero della Redenzione, in stretta relazione con Gesù, verso il quale adempie la funzione di padre, con Maria, la Madre di Gesù, della quale egli è sposo, e con la Chiesa stessa, affidata alla sua protezione. Si tratta di un ruolo eccezionale, che fa da supporto alla devozione della quale san Giuseppe ampiamente gode nel cuore dei credenti e che la teologia non deve trascurare. La teologia La lode di san Giuseppe è nel Vangelo. Matteo stima talmente san Giuseppe da farne l'introduttore al suo Vangelo, che inizia appunto con la genealogia, la quale ha lo scopo di agganciare Gesù a Davide e ad Abramo proprio attraverso Giuseppe; lo presenta, inoltre, come sposo di Maria, la persona certamente più in vista nella Chiesa apostolica; lo qualifica, infine, come uomo giusto, che comporta l'approvazione della sua condotta. Per questo san Bernardo dice candidamente che la lode di san Giuseppe è nel Vangelo. Nessun santo, eccetto Maria, occupa nel Vangelo un posto così distinto. Eppure incontriamo ancora oggi chi ripete che il Vangelo ci riferisce poco o nulla di san Giuseppe e che, in ogni caso, la sua figura è marginale; di qui lo scarso interesse negli studi teologici, dove egli è del tutto ignorato. Statua di San Giuseppe in una cappella della Chiesa Notre-Dame di Amiens C'è da aggiungere che, fin dai primi secoli, una letteratura che la Chiesa considera apocrifa, perché romanzesca, ha strumentalizzato la figura di san Giuseppe, attribuendogli figli avuti da un precedente matrimonio e un'età veneranda al momento del matrimonio con Maria. Evidentemente lo scopo degli apocrifi era quello di attribuire a lui “i fratelli di Gesù”, nominati nei Vangeli, e garantire la verginità di Maria, sposata da un “vecchio” Giuseppe in seconde nozze. Contro questa letteratura sempre emergente bisogna già predicava san Girolamo, affermando che queste cose non sono “scritte” nei Vangeli e che si tratta solo di “deliri”. Le tante opere letterarie e artistiche che rappresentano san Giuseppe vecchio e quasi marginalmente sono il frutto di questa mentalità. Ecco allora la necessità di conoscere bene san Giuseppe, seguendo il Vangelo e quanto il magistero insegna su di lui attraverso la dottrina e il culto. Perché la Cristologia non può ignorare san Giuseppe Chi va a Betlemme, nella basilica della Natività, che risale all'imperatore Costantino, vede sulle pareti due genealogie di Gesù, denominate albero di Jesse e lì rappresentate nel 1169. Se la genealogia di Gesù ci viene tramandata da due evangelisti, Matteo e Luca, è chiaro che doveva essere ritenuta importante nell'annuncio del Vangelo. Nonostante le loro divergenze, che rivelano scopi differenti, in entrambe le genealogie occupano un posto rilevante il re Davide e Giuseppe. Nella Chiesa apostolica interessava, infatti, che Gesù fosse riconosciuto come figlio di Davide, titolo con il quale le folle già si rivolgevano a Gesù, nella convinzione che Egli fosse il Messia, termine che in greco si traduce con Cristo. D'altra parte, con la Pentecoste Gesù si era rivelato Figlio di Dio e ai cristiani era ormai noto che Gesù era stato concepito per opera dello Spirito Santo. Come conciliare, allora, l'origine divina di Gesù, “Figlio di Dio”, con quella umana, “figlio di Davide”? Ci troviamo qui nel mistero dell'Incarnazione, che evidentemente aveva superato i confini delle attese umane. Comprendiamo così perché l'evangelista Matteo, dopo aver collegato tutti gli antenati di Gesù con il verbo “generò”, arrivato a Giuseppe non lo usa più, ma si limita a scrivere: “Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo” (1,16). Un matrimonio vero e necessario La Chiesa crede che Maria abbia concepito Gesù in modo miracoloso per opera dello Spirito Santo e la onora come “Madre di Dio”. Se gli evangelisti, dunque, presentano Maria anche come “sposa di Giuseppe”, non dovevano certamente mancare i motivi. Tra questi, ossia perché Gesù abbia dovuto nascere da una donna “sposata”, san Tommaso d'Aquino ne indica alcuni non trascurabili: per esempio, perché gli infedeli non avessero motivo di rifiutarlo, se apparentemente illegittimo; perché Maria fosse liberata dall'infamia e dalla lapidazione; perché la testimonianza di Giuseppe garantisse la nascita di Gesù da una vergine... Matteo, tuttavia, è più interessato al motivo cristologico, che si fonda sulla discendenza di Gesù da Davide. La sua garanzia dipende appunto dal fatto che Giuseppe, “figlio di Davide”, era riconosciuto da tutti come “sposo di Maria”. I figli della moglie, infatti, non sono giuridicamente figli del marito? La legge matrimoniale sta lì proprio per questo, a difesa dell'onore della donna e della prole. Ecco perché Giovanni Paolo II scrive: “Ed anche per la Chiesa, se è importante professare il concepimento verginale di Gesù, non è meno importante difendere il matrimonio di Maria con Giuseppe, perché giuridicamente è da esso che dipende la paternità di Giuseppe” (RC, n.7). L'autenticità della paternità di san Giuseppe Accanto alla testimonianza circa l'origine divina di Gesù, incontriamo nei Vangeli anche quella che Gesù era ritenuto il figlio di Giuseppe. Limitiamoci a Filippo, che dice a Natanaele: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti: Gesù, figlio di Giuseppe, di Nazaret” (Giovanni 1,45). Bisogna anzi apertamente dire che il matrimonio di Giuseppe con Maria aveva talmente affermato la paternità di Giuseppe da nascondere la sua filiazione divina, ossia il Padre celeste. È stato scritto che Giuseppe è l'ombra del Padre, ma in realtà, secondo il piano di Dio, è invece, Giuseppe che ha messo in ombra il Padre. L'esortazione di Giovanni Paolo II afferma apertamente che nella santa Famiglia “Giuseppe è il padre: non è la sua una paternità derivante dalla generazione; eppure, essa non è ‘apparente', o soltanto ‘sostitutiva', ma possiede in pieno l'autenticità della paternità umana, della missione paterna nella famiglia”[25]. Ciò comporta che “con la potestà paterna su Gesù, Dio ha anche partecipato a Giuseppe l'amore corrispondente, quell'amore che ha la sua sorgente nel Padre”. Il matrimonio di Giuseppe con Maria e la conseguente legittimazione della sua paternità all'interno della famiglia sono orientate verso l'incarnazione, ossia verso Gesù che ha voluto inserirsi nel mondo in modo “ordinato”. Origene definisce Giuseppe appunto come “l'ordinatore della nascita del Signore”. Il suo matrimonio onora la maternità di Maria e garantisce a Gesù l'inserimento nella genealogia di Davide, come abbiamo visto. Ma la teologia che fa da chiave a tutta l'esortazione apostolica va ben oltre, come richiede l'unità “organica e indissolubile” tra l'incarnazione e la redenzione (n.6). Di qui l'affermazione che “san Giuseppe è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l'esercizio della sua paternità: proprio in tale modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della redenzione ed è veramente ‘ministro della salvezza'” (n.8). La definizione “Ministro della salvezza” descrive perfettamente la grandezza di san Giuseppe, che ha avuto il singolare privilegio di servire direttamente Gesù e la sua missione, ossia la sua opera salvifica. Tutti gli Angeli e i Santi servono Gesù, ma san Giuseppe, insieme con Maria, lo ha servito “direttamente” come padre. Ciò vuol dire che molte delle opere salvifiche di Gesù, definite come “misteri della vita di Cristo”, hanno avuto bisogno della “cooperazione” di san Giuseppe. Il riferimento riguarda tutti quei “misteri della vita nascosta di Gesù”, nei quali era indispensabile l'intervento paterno. Toccava al padre, infatti, iscrivere il bambino all'anagrafe, provvedere al rito della circoncisione, imporgli il nome, presentare il primogenito a Dio e pagare il relativo riscatto, proteggere il Bambino e la madre nei pericoli della fuga in Egitto. È ancora il padre Giuseppe che ha introdotto Gesù nella terra di Israele e lo ha domiciliato a Nazaret, qualificando Gesù come “Nazareno”; è Giuseppe che ha provveduto a mantenerlo, a educarlo e a farlo crescere, procurandogli cibo e vestito; da Giuseppe Gesù ha imparato il mestiere, che lo ha qualificato come “il figlio del falegname”. Non ci vuole molto sforzo a comprendere quante cose deve fare un padre dal punto umano, civile e religioso. Ebbene, tutto questo lo ha fatto anche Giuseppe. Il ‘rispetto' dell'uomo giusto Nel Vangelo di Matteo leggiamo che a Giuseppe viene attribuito il titolo di “giusto”. Esso qualifica Giuseppe, che aveva deciso di separarsi da Maria quando aveva conosciuto che aveva concepito per opera dello Spirito Santo. Tale decisione non era dettata da un sospetto, come spesso si legge, ma esprimeva, invece, il “rispetto” verso l'azione e la Presenza di Dio, tale da spiegare la fiducia che gli venne conseguentemente accordata, per mezzo dell'angelo, di tenere con sé la sua sposa e di fare da padre a Gesù. La giustizia di san Giuseppe suppone in lui un'adeguata preparazione dello Spirito Santo. Allo stesso modo che Maria non si è trovata per caso a fare da madre a Gesù, ma era stata “progettata” allo scopo, come si ricava dal dogma dell'Immacolata Concezione, così si può logicamente ritenere che “Dio nel suo amore ha predestinato Maria per san Giuseppe, san Giuseppe per Maria, tutti e due per Gesù. Se Dio ha pensato con tanto amore a Maria come madre del Redentore, ciò non fu mai indipendentemente dal suo matrimonio verginale con Giuseppe; egli non ha mai pensato a Giuseppe se non per Maria e per il suo divin Figlio, che doveva nascere verginalmente in quel matrimonio” (C. Sauvé). Ciò è in perfetto accordo con quanto Leone XIII scrive nella sua enciclica Quamquam Pluries: «È certo che la Madre di Dio poggia così in alto, che nulla vi può essere di più sublime; ma poiché tra la beatissima Vergine e Giuseppe fu stretto un nodo coniugale, non c'è dubbio che a quell'altissima dignità, per cui la Madre di Dio sovrasta di gran lunga tutte le creature, egli si avvicinò quanto mai nessun altro. Poiché il matrimonio è la massima società e amicizia, a cui di sua natura va unita la comunione dei beni, ne deriva che, se Dio ha dato come sposo Giuseppe alla Vergine, glielo ha dato non solo a compagno della vita, testimone della verginità e tutore dell'onestà, ma anche perché partecipasse, per mezzo del patto coniugale, all'eccelsa grandezza di lei». Culto Il culto di san Giuseppe, padre putativo di Gesù e simbolo di umiltà e dedizione, nella Chiesa d'Oriente era praticato già attorno al IV secolo: intorno al VII secolo la chiesa ortodossa copta ricordava la sua morte il 20 luglio. In Occidente il culto ha avuto una marcata risonanza solo attorno all'anno Mille. Festività San Giuseppe Tipo di festareligiosa Data19 marzo; 1º maggio (san Giuseppe lavoratore) ReligioneCristianesimo TradizioniVarianti di luogo in luogo Tradizioni profanefesta del papà La Chiesa cattolica ricorda san Giuseppe il 19 marzo con una solennità a lui intitolata; se il 19 marzo ricorre di domenica, la festa è spostata al giorno seguente; inoltre, negli anni in cui il 19 marzo cade nella Settimana santa, la celebrazione è anticipata al sabato prima della domenica delle Palme (per esempio, nel 2008 la solennità è stata celebrata il 15 marzo). In alcuni luoghi, come in Vaticano e in Canton Ticino, ma non in Italia, è festa di precetto. I primi a celebrarla furono i monaci benedettini nel 1030, seguiti dai Servi di Maria nel 1324 e dai Francescani nel 1399. Venne infine promossa dagli interventi dei papi Sisto IV e Pio V e resa obbligatoria nel 1621 da Gregorio XV. Fino al 1977 il giorno in cui la Chiesa cattolica celebra san Giuseppe era considerato in Italia festivo anche agli effetti civili ma con legge 5 marzo 1977 n. 54, questo riconoscimento fu abolito e da allora il 19 marzo divenne un giorno feriale. In Canton Ticino, in altri cantoni della Svizzera e in alcune province della Spagna, questo giorno è considerato festivo agli effetti civili. In Italia sono stati presentati (2008), alla Camera e al Senato, alcuni disegni di legge per il ripristino delle festività soppresse agli effetti civili (san Giuseppe, Ascensione, Corpus Domini, santi Pietro e Paolo e lunedì di Pentecoste). Un'altra festa era quella dello Sposalizio di Maria Santissima con san Giuseppe iniziata in Francia nel 1517, adottata dai Francescani nel 1537, promossa in particolar modo da san Gaspare Bertoni, celebrata il 23 gennaio. Il Santo Anello nuziale della Madonna si troverebbe conservato, secondo le tradizioni, nella Cattedrale di Perugia. Pio IX nel 1847 invece estese a tutta la Chiesa la festa del Patrocinio di san Giuseppe, già celebrata a Roma dal 1478: veniva celebrata la terza domenica dopo Pasqua e fu trasferita in seguito al terzo mercoledì dopo Pasqua. Venne, infine, sostituita nel 1955 da papa Pio XII con la festa di san Giuseppe Artigiano, assegnata al 1º maggio, affinché la festa del lavoro potesse essere condivisa a pieno titolo anche dai lavoratori cattolici. In alcuni luoghi era celebrata, il 17 febbraio, la Fuga in Egitto, conservata ancora oggi nel calendario particolare della Chiesa cattolica in Egitto, mentre i Copti la ricordano il 1º giugno. Tavola di san Giuseppe a Cocumola Lecce Tavole di San Giuseppe In Sicilia, nel Salento (per esempio a Faggiano) e in Molise sono diffuse usanze denominate “Tavole di San Giuseppe”: la sera del 18 marzo le famiglie che intendono assolvere un voto o esprimere una particolare devozione al santo allestiscono in casa un tavolo su cui troneggia un'immagine del santo e sul quale vengono poste paste, verdure, pesci freschi, uova, dolci, frutta, vino. Sono poi invitati a mensa mendicanti, familiari e amici, e tre bambini poveri rappresentanti la Santa Famiglia. Si riceve il cibo con devozione e spesso recitando preghiere, mentre tredici bambine con in testa una coroncina di fiori, dette “tredici verginelle”, cantano e recitano poesie in onore di san Giuseppe. In provincia di Caltanissetta, molto più sentito nella città di Gela, la tradizione vuole che chi intende fare voto debba, mesi prima, bussare ad ogni porta della cittadina e chiedere qualcosa da donare al povero in nome di san Giuseppe (denaro o viveri che siano). Nelle proprie abitazioni si allestiscono grandi altari con strutture in legno, adornati con numerose lenzuola bianche ricamate. All'interno si può trovare qualunque tipo di genere alimentare, dal pane alla pasta, dal vino ai liquori. La "Cena di san Giuseppe", così chiamata, viene aperta al pubblico il mezzogiorno del 18 marzo, e il 19 marzo tre persone, bisognose d'aiuto, in rappresentanza della Sacra Famiglia, vengono fatte accomodare alla tavola imbandita come dei Re e viene servita a loro la cena. Successivamente, viene divisa tra loro tutta la spesa, donata ed acquistata grazie alle donazioni dei devoti. Uno dei paesi simbolo delle tavole di San Giuseppe è proprio San Marzano di San Giuseppe in provincia di Taranto. Si svolge la tradizionale Tavola di San Giuseppe e i famosi "tredici piatti", che vengono offerti ai curiosi e turisti. È un paese che conserva le tradizioni albanesi, si parla l'antica lingua Arbereshe che parlava Giorgio Skanderbeg (Principe condottiero degli albanesi). Si svolge anche il grande Falò detto "Zjarr i Madhe", che è il più grande e antico in Italia, nato nel lontano 1866. Realizzato con l'aiuto di 5000 persone che trasportano fascini e tronchi, in più 50 carri trainati da cavalli, alcuni si inginocchiano davanti a San Giuseppe in segno di forte devozione. Talvolta è un intero quartiere a provvedere e allestire le tavole all'aperto. Alimento tradizionale di questa festa è la frittura, nota con il nome di “frittelle” a Firenze e a Roma, “zeppole” a Napoli e in Puglia, “sfincie” a Palermo. In alcune parti la festa è associata all'accensione di falò. San Giuseppe è molto onorato in tutta l'isola siciliana. Degni di menzione sono le numerose "mense" a Borgetto, sfarzosi altari ornati di veli e pietanze e gli altari di Salemi, strutture rivestite di foglie e addobbate con innumerevoli ed elaborate forme di pani realizzate a mano. In Canton Ticino sono tradizionali i "tortelli di san Giuseppe". A Gravina in Puglia c'è l'usanza di preparare la focaccia di san Giuseppe, "u ruccl" in dialetto gravinese, una sorta di calzone ripieno di cipolle sponsali, uvetta e alici sotto sale o sottolio arrotolato a forma di spirale, preparato con l'impasto della focaccia in tanto olio extravergine d'oliva. Falò di san Giuseppe Nella Val Trebbia nel cuore del territorio delle Quattro Province si festeggia ancora oggi con la festa di san Giuseppe il rito serale del Falò, che segna il passaggio dall'inverno alla primavera. Con il falò viene anche bruciato un fantoccio, la "vecchia", che simboleggia l'inverno. Molti traggono auspici per la primavera prossima da come arde il fantoccio. Il rito risale all'antico popolo dei Liguri, in occasione del particolare momento astronomico dell'equinozio, poi la tradizione pagana si fuse con quella cristiana celtico-irlandese dei monaci di san Colombano, giunti in epoca longobarda. Un tempo in tutte le vallate ardevano migliaia di falò, che infiammavano di un tenue rossore le serate della zona, ora ardono ancora nei centri comunali con piccole sagre e canti. Un dolce tipico sono le frittelle di san Giuseppe (in dialetto farsò) che accompagnano la festa. A Bobbio la festa è una tradizione millenaria[28], infatti furono i monaci irlandesi dell'Abbazia di San Colombano, fondata nel 614, a fondere il rito pagano con quello cristiano, nella luce che sconfigge le tenebre. Anche nel paese di Mormanno sono immemorabili le origini di questa tradizione che vuole che in tutti i quartieri siano accesi grossi falò in onore al Santo seguiti da musiche e balli tradizionali. A Itri, in provincia di Latina, era uso fino a qualche anno fa che già due mesi prima della festa i ragazzi, spesso accompagnati da persone adulte, si recassero nei vicini boschi a tagliare piante di giovani lecci: lo scopo era di raccogliere quante più piante possibili per poter il giorno della festa accendere il fuoco più grande tra tutti i rioni del paese. Ancora oggi nel giorno di san Giuseppe, all'imbrunire, in tutto il paese si accendono decine e decine di falò nei pressi dei quali si organizzano feste con degustazione di prodotti tipici, tra cui le zeppole di san Giuseppe, fritte direttamente accanto ai fuochi. In Puglia, a San Marzano di San Giuseppe (TA) si svolge il tradizionale Falò di San Giuseppe, ogni anno il 18 Marzo, detto "Ziarr i Madhe" che è il più grande e antico in Italia. Nato nel lontano 1866. È unico in quanto viene realizzato con oltre 50 carri di fascine di ulivo, trainati da cavalli più 5000 persone trasportano tronchi sulle spalle. Alcuni cavalli si inginocchiano davanti al Santo Patrono San Giuseppe, in segno di forte devozione. San Marzano è un paese di origine albanese dove si parla ancora la lingua arbëreshë. A Venafro (IS), in Molise, la sera del 19 marzo si accendono i tradizionali "favor" nelle piazze dei vari rioni del centro storico, ovvero dei falò di varie grandezze. Ogni rione si organizza preparando prodotti tipici e intrattenimenti musicali di vario genere, per poter accogliere al meglio le centinaia e centinaia di visitatori che affollano strade, vicoli e piazze del suggestivo e incantevole centro antico. Tra i prodotti della tradizione non possono mancare i "sciusc", le zeppole di San Giuseppe e del buon vino locale. È un rito antichissimo che a cavallo tra gli anni '80 e '90 stava gradualmente scomparendo; oggi, grazie all'impegno di giovani e meno giovani questa manifestazione sta diventando un evento in grado di richiamare visitatori da tutto il circondario. Nella città di Monte Sant'Angelo, in provincia di Foggia, la tradizione dei falò rionali è ancora viva (notte tra il 18 e il 19 marzo) e si sviluppa tra canti, balli, vino e pietanze legate alla tradizione popolare, rendendo unica e suggestionante l'atmosfera tra le viuzze del centro storico, illuminate di riflesso e a sprazzi dalle alte vampe. Anche a Mattinata, sempre in provincia di Foggia, in occasione della festa di san Giuseppe, fino a dieci anni fa, venivano accesi falò in tutti i rioni. Dal 2000 viene acceso un unico grande falò sul sagrato della chiesa abbaziale di Santa Maria Della Luce, con un programma sia religioso sia civile, con fuochi pirotecnici, balli tradizionali canti e degustazione di prodotti tipici del territorio. Anche a Serracapriola, piccolo centro dell'Alto Tavoliere alle porte del Molise, continua immutata negli anni la tradizione dei falò di san Giuseppe. Ogni anno, ragazzi ed adulti, raccolgono dai campi i cosiddetti "ceppi" cioè i rami residui dalla potatura degli olivi secolari, per formare alte pire da accendere la sera della festività del Santo; i più temerari si cimentano nel "salto del falò" a testimoniare coraggio e sprezzo del pericolo. Durante i falò vengono offerti agli spettatori presenti zeppole salate e vino. Lo stesso avviene a Torremaggiore, cittadina, anch' essa, dell'Alto Tavoliere, con le stesse modalità e formazioni, dove l'Associazione Culturale "Tradizione di Fuoco", dal 2011 ha ridato lustro a questo sentito e maestoso evento, che vede l'intera comunità unirsi nei vari falò, dove le varie associazioni, enti e comitati, nel pieno rispetto delle tradizioni propongono eventi musicali ed eno-gastronomici che attirano pubblico anche da fuori regione. Al rintocco delle campane, che avvertono la fine dei vespri, tutti i falò vengono accesi, mentre il più maestoso, quello appunto dell'Associazione Culturale "Tradizione di Fuoco", viene ritardato di circa 30 minuti per far sì che tutto il pubblico degli altri falò possa arrivare nella piazza/posteggio sito nelle vicinanze del cinema cittadino, per assistere all'accensione tecno-pirotecnica del falò, seguito dall'apertura degli stand e l'inizio degli spettacoli di balli e canti della tradizione locale. Anche a Mottola in provincia di Taranto, nel rione San Giuseppe, ove sorge una Chiesa intitolata al Santo falegname, ogni anno in occasione della festa di san Giuseppe si accendono i "fuochi" e durante la serata vengono "arrostiti" i ceci, piatto tradizionale della festa. Vampa di San Giuseppe alla Kalsa, Palermo 2019 Il fuocarone di san Giuseppe è tradizione antichissima anche a Villa Basilica nella minuscola frazione di Guzzano. Fino a qualche anno fa si accendeva il fuoco proprio il giorno di san Giuseppe, tradizione poi spostata al sabato successivo alla celebrazione. Qualche giorno prima della data del falò gli uomini del paese vanno al bosco alla ricerca di un tronco di pino che abbia le caratteristiche giuste. Il pino, tagliato, viene portato nella piazzola antistante l'abitato e piantato per terra dopo essere stato privato dei rami. Intorno viene costruito il fuocarone, con i rami stessi, la paglia e altro legno, in modo da avere una vera e propria pira alta anche una decina di metri. La sera stabilita, dopo la celebrazione della santa messa in onore del santo, viene appiccato il fuoco e, per ore, intorno a esso si canta, si suona, si balla e si consumano i cibi tipici delle nostre zone. Anche in Romagna nella vallata del fiume Montone, a Rocca San Casciano era tradizione accendere un falò la sera, all'imbrunire della vigilia di san Giuseppe, bruciando le potature di viti o rami di arbusti; non sembra ci fossero particolari piatti o riti oltre al fuoco, ma sicuramente, anche questo giorno era un buon motivo per stare a veglia con i vicini o conoscenti. Anche a Castrovillari in provincia di Cosenza, in Calabria, la sera del 18 marzo si accendono in tutti i quartieri della città dei falò chiamati "fucarine di San Giuseppe", e si eseguono balli e canti. Alla cima del falò viene issata l'immaginetta del Santo per invocare la sua protezione. Il piatto che si cucina in questa festa è la tagliatella con i ceci, in dialetto locale è chiamata "lagana con ciciri".Dal 1992 si è costituita una giuria di sagra, che decreta alla fine del falò 3 vincitori sul podio, che si aggiudicano una coppa, avendo essi costruito falò grandi e cucinato tante prelibatezze locali. A Palermo la festa di San Giuseppe è celebrata con le cosiddette "Vampe", degli enormi falò che vengono allestiti in diversi rioni della città. Nit del Foc a Valencia, 2018 Nel centro storico di Fasano in Puglia, la manifestazione consiste nell’accensione di un grande falò in Largo Seggio e Largo San Giovanni Battista. Tutt’intorno sono presenti degli stand ove è possibile degustare prodotti tipici. Anche nelle altre frazione si festeggia San Giuseppe: A Cocolicchio, per la “Fanova di San Giuseppe fra i trulli”, i trulli della piazza centrale vengono illuminati e riscaldati dal falò tra degustazioni di focaccia cotta nel forno a legna e vino prodotto nella zona del Canale di Pirro. A Torre Canne, l’evento è organizzato dal Comitato feste patronali sul porticciolo della frazione. Il falò viene accompagnato dalla degustazione di zeppole, frittura di pesce e panini col polpo. A Valencia ed in altri comuni dell'omonima regione, ogni anno dall'ultima domenica di febbraio al 19 marzo si celebrano le Falles, o Festa di San Giuseppe. A seguito di settimane di feste, concerti, sfilate e giochi pirotecnici, anche queste culminano nella "Nit del Foc", notte del fuoco in cui si incendiano centinaia di sculture di cartapesta (Falles appunto) costruite nei quartieri da maestri artigiani sovvenzionati da apposite congregazioni di quartiere (anche esse denominate Falles). Questa festa è riconosciuta come patrimonio immateriale dell'Umanità dall'UNESCO. Pratiche devozionali San Giuseppe è un santo molto onorato dalla Chiesa cattolica e per questo ricevette parecchi riconoscimenti liturgici: nel 1726 il suo nome fu inserito nelle Litanie dei santi e nel 1815 nella preghiera A cunctis; nel 1833 fu approvata la recita di un piccolo ufficio di san Giuseppe al mercoledì e undici anni dopo il nome del Santo fu annoverato fra le invocazioni nelle preghiere da recitare dopo la Messa. Nel 1889 venne prescritta la preghiera "A te o beato Giuseppe"[1], da recitare nel mese d'ottobre dopo il Rosario, mentre nel 1919 fu inserito nel Messale un prefazio proprio di san Giuseppe. Nel 1962, durante il Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII volle inserire il nome di san Giuseppe nel Canone Romano. Nel 2013 Papa Francesco, ratificando quanto già nei desideri di Benedetto XVI, ha stabilito che san Giuseppe fosse invocato dopo la Vergine Maria in tutte le altre preghiere eucaristiche del Rito Romano. La più antica pratica devozionale in onore del santo risale al 1536 ed è chiamata “pratica dei Sette dolori e allegrezze di san Giuseppe”; secondo una leggenda, riportata da fra Giovanni da Fano (1469-1539) fu il santo stesso, salvando due naufraghi da una tempesta, a promuovere e creare questa pia pratica. Nel 1597 furono pubblicate a Roma le prime Litanie di san Giuseppe, nel 1659 approvato il Cingolo o Cordone di san Giuseppe, nel 1850 la Coroncina di san Giuseppe, lo Scapolare di san Giuseppe nel 1893, per ordine della Santa Sede. Altre pratiche sono quelle del Sacro Manto, dei nove mercoledì, la Novena perpetua, la Corona Perpetua, la Corte Perpetua. I papi Pio IX e Pio XI inoltre consacrarono il mese di marzo a san Giuseppe. Chiese e patronati Simulacro di san Giuseppe del XVIII secolo (cartapesta) venerato a Cocumola- Lecce A Betlemme c'è una piccola chiesa, chiamata Casa di san Giuseppe. Secondo recenti studi questa non è la vera casa dove Gesù fu adorato dai Re Magi, perché la chiesa, ricostruita dai francescani, non può vantare una tradizione anteriore al IV secolo. In quanto alla casa di Giuseppe a Nazaret, fino al VI secolo rimase nelle mani dei giudeo-cristiani. Vi avevano eretto due chiesine, una dov'era la casa di Maria, e l'altra, dov'era la casa di Giuseppe. Lo attesta il pellegrino francese, Arculfo, che era sacerdote: "Nella chiesina dell'ex-casa di Giuseppe si trovava anche un pozzo lucidissimo dove i fedeli andavano ad attingere acqua per benedizione, tirandola con secchi dal pavimento della chiesa stessa". Nel VII secolo la pressione musulmana fece sparire questo santuario. L'altra chiesa, quella di Maria, non fu distrutta, ma esposta a pericoli. Solo nel XII secolo i crociati ricostruirono solennemente questa chiesa dedicata all'Annunciazione e vi collocarono i ricordi alla sacra famiglia, a Maria, a Giuseppe e alla sua tomba. Edificarono anche su rovine un'altra chiesa, che nella tradizione locale fu considerata come la casa di Giuseppe. In Italia la chiesa più antica dedicata al santo si trova a Bologna, costruita dai Benedettini nel 1129. A Roma la chiesa più antica è quella di San Giuseppe dei falegnami al Foro Romano, costruita nel 1540. Chiese e santuari dedicati al santo si ritrovano poi in tutto il mondo. Tra i santuari il più imponente è però quello di Montréal, in Canada, fondato nel 1904 dal beato Andrè. In Italia vi sono infine quattro basiliche minori: a Roma (San Giuseppe in Trionfale), a Brescia, a Bisceglie, a Seregno. La concattedrale di Vasto dell'arcidiocesi di Chieti-Vasto è a lui dedicata. L'8 dicembre 1870 Pio IX lo proclamò patrono della Chiesa universale, dichiarando esplicitamente la sua superiorità su tutti i santi, seconda solo a quella della Madonna. Papa Leone XIII scrisse la prima enciclica interamente riguardante il santo: la Quamquam pluries, del 15 agosto 1889. Il 26 ottobre 1921, Benedetto XV estese la festa della Sacra Famiglia a tutta la Chiesa. Innumerevoli sono le categorie che lo considerano loro speciale patrono: viene invocato per l'infanzia, gli orfani, i vergini, la gioventù, le vocazioni sacerdotali, le famiglie cristiane, i profughi, gli esiliati. È speciale patrono degli operai in genere e segnatamente dei falegnami e degli artigiani. Si ricorre a lui inoltre per le malattie agli occhi, per gli ammalati gravi ed in particolare per i moribondi. Nel secolo scorso un monumentale santuario è stato innalzato ai piedi del Vesuvio a San Giuseppe Vesuviano (Napoli), paese che ne porta il nome. Reliquie La cintura di san Giuseppe Non ci sono reliquie di ossa di san Giuseppe. Perugia dal 1477 si vanta di possedere l'anello nuziale di san Giuseppe; esso proviene da Chiusi, dove era stato portato da Gerusalemme nell'XI secolo. In Francia, nella chiesa di Notre-Dame di Joinville è conservata la cintura di san Giuseppe, là portata da un crociato, nel 1252. Ad Aquisgrana, in Germania, nel tesoro di Carlo Magno figurano delle bende, ricavate dai calzettoni di san Giuseppe per fasciare Gesù. Nel Sacro Eremo di Camaldoli (Arezzo) si conserva il bastone di san Giuseppe. Esso proviene da Nicea, offerto dal card. Basilio Bessarione, nel 1439. Un po' ovunque si possono incontrare frammenti del mantello o vesti di san Giuseppe. Nell'arte Fino al primo Medioevo, le rappresentazioni di Giuseppe nell'arte figurativa sono estremamente rare e sporadiche, per lo più in connessione con i patriarchi e gli antenati di Cristo. La più antica raffigurazione di Giuseppe come santo a sé stante, con l'attributo della verga fiorita, proviene da Taddeo Gaddi (1332-1338, affresco in Santa Croce a Firenze). A partire dalla fine del XV secolo o dagli inizi del XVI secolo, il culto di Giuseppe inizia a fiorire, promosso soprattutto da Teresa d'Avila e dalla Compagnia di Gesù, e il santo troverà accesso nell'arte figurativa. A partire dal XV secolo egli è dipinto per lo più come uomo anziano, barbuto, in abiti borghesi o da lavoratore, successivamente anche con vestiti di foggia antica. Accanto alla verga fiorita appaiono, come attributi di Giuseppe, il bastone del viandante, gli strumenti del falegname e il giglio, simbolo di purezza. In Italia s'impone la tipologia della Sacra Famiglia che nel barocco è vista anche come Trinità Terrestre. Il tipo devozionale di Giuseppe, sempre più diffuso a partire dal XVI secolo ha origine in Spagna. Il culto di san Giuseppe ha un suo vertice nella cappella di San José in Toledo, dove si trovava inizialmente anche il quadro di San Giuseppe dipinto da El Greco.
Church of Saint Joseph
9 Via Valverde
San Giuseppe (in ebraico: יוֹסֵף‎?, Yosef; in greco antico Ιωσηφ; in latino: Ioseph) secondo il Nuovo Testamento è lo sposo di Maria e il padre putativo di Gesù; è definito come uomo giusto. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa. Fu dichiarato patrono della Chiesa cattolica dal beato Pio IX l'8 dicembre 1870. San Giuseppe, Maria e Gesù bambino sono anche collettivamente riconosciuti come la Sacra Famiglia. La vita Padre putativo Elisabetta Sirani (Bologna 1638-1665) San Giuseppe col bambino Gesù c. 1662 San Giuseppe, opera lignea di autore ignoto del 1738 - Catenanuova Chiesa Madre I Vangeli e la dottrina cristiana affermano che il vero padre di Gesù è Dio: Maria lo concepì miracolosamente, senza aver avuto rapporti sessuali con alcuno, per intervento dello Spirito Santo. Giuseppe, inizialmente intento a ripudiarla in segreto, fu messo al corrente di quanto era accaduto da un angelo apparsogli in sogno e accettò di sposarla e di riconoscere legalmente Gesù come proprio figlio. Perciò la tradizione lo chiama padre putativo di Gesù (dal latino puto, "credo"), cioè colui "che era creduto" suo padre (sulla scorta di Luca 3,23). Professione In Matteo 13,55 la professione di Giuseppe viene nominata quando si dice che Gesù era figlio di un "téktón". Il termine greco téktón è stato interpretato in vari modi. Si tratta di un titolo generico che non si limitava ad indicare i semplici lavori di un falegname, ma veniva usato per operatori impegnati in attività economiche legate all'edilizia, in cui si esercitava piuttosto un mestiere con materiale pesante, che manteneva la durezza anche durante la lavorazione, per esempio legno o pietra. Accanto alla traduzione - accettata dalla maggior parte dagli studiosi - di téktón come carpentiere, alcuni hanno voluto accostare quella di scalpellino. Qualche studioso ha ipotizzato che non avesse una semplice bottega artigiana, ma un'attività imprenditoriale legata alle costruzioni, dunque in senso stretto non doveva appartenere a una famiglia povera. Secondo alcuni vangeli apocrifi Maria sarebbe stata figlia di Anna e del ricco Gioacchino; questa interpretazione sulla professione imprenditoriale di Giuseppe meglio si concilia con la condizione economica benestante della sua promessa sposa (rispetto ad avere due genitori di Gesù entrambi discendenti di re Davide, ma con Giuseppe di modeste origini). Tra gli ebrei dell'epoca, i bambini a cinque anni iniziavano l'istruzione religiosa e l'apprendimento del mestiere del padre, quindi è ipotizzabile che Gesù a propria volta praticò in gioventù il mestiere di falegname[2]. Il primo evangelista ad usare questo titolo per Gesù è stato Marco che definisce Gesù un téktón in occasione di una visita a Nazaret, osservando che i concittadini ironicamente si chiedono: "Non è costui il téktón, il figlio di Maria? Matteo riprende il racconto di Marco, ma con una variante: "Non è egli (Gesù) il figlio del téktón?" Com'è evidente, qui è Giuseppe a essere iscritto a questa professione. Nei tempi antichi, i Padri latini della Chiesa hanno però tradotto il termine greco di téktón con falegname, dimenticando forse che nella Israele di allora il legno non serviva soltanto per approntare aratri e mobili vari, ma veniva usato come materiale per costruire case e qualsiasi edificio. Infatti, oltre ai serramenti in legno, i tetti a terrazza delle case israelite erano allestiti con travi connesse tra loro con rami, argilla, fango e terra pressata, tant'è vero che il Salmo 129 descrive come sui tetti crescesse l'erba. Secondo i Vangeli, Giuseppe esercitò la sua professione a Nazaret, dove viveva con la famiglia. Potrebbe avere lavorato per qualche tempo anche a Cafarnao; a sostegno di questa ipotesi viene citato un passo del Vangelo secondo Giovanni, in cui Gesù predica nella sinagoga di Cafarnao e i suoi oppositori dicono di lui che è il figlio di Giuseppe (Gv6,41-59), cosa che dimostrerebbe che essi conoscevano Giuseppe. Alcuni studiosi ipotizzano che potrebbe avere lavorato per un certo periodo, probabilmente insieme a Gesù, anche a Zippori, importante città situata a pochi chilometri da Nazaret. Origini e sposalizio con Maria Lo Sposalizio della Vergine del Perugino Le notizie dei Vangeli canonici su san Giuseppe sono molto scarne. Parlano di lui Matteo e Luca: essi ci dicono che Giuseppe era un discendente del re Davide ed abitava nella piccola città di Nazaret. Le versioni dei due evangelisti divergono nell'elencare la genealogia di Gesù, compreso chi fosse il padre di Giuseppe: Luca 3,23-38: Gesù quando incominciò il suo ministero aveva circa trent'anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe, figlio di Eli. Matteo 1,1-16: Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. Lo stesso argomento in dettaglio: Genealogia di Gesù. Secondo la tradizione dei Vangeli apocrifi, in particolar modo il Protovangelo di Giacomo (II secolo) Giuseppe, discendente dalla famiglia di David e originario di Betlemme, prima del matrimonio con Maria si sposò con una donna che gli diede sei figli, quattro maschi (Giuda, Giuseppe, Giacomo e Simeone) e due femmine (Lisia e Lidia). Rimase però ben presto vedovo e con i figli a carico. Gli apocrifi cercavano in tal modo di giustificare la presenza di fratelli di Gesù nei Vangeli. La Chiesa ortodossa accoglie questa tradizione (come ben mostrato nei mosaici della chiesa di San Salvatore in Chora, a Costantinopoli), mentre la Chiesa cattolica rifiuta questa interpretazione, e sostiene che si trattasse di cugini o altri parenti stretti (in greco antico vi sono due termini distinti: adelfòi, fratelli, e sìnghnetoi, cugini, ma in ebraico e in aramaico una sola parola, ah, è usata per indicare sia fratelli sia cugini.) Seguendo ancora la tradizione apocrifa, Giuseppe, già in età avanzata, si unì ad altri celibi della Palestina, tutti discendenti di Davide, richiamati da alcuni banditori provenienti da Gerusalemme. Il sacerdote Zaccaria aveva infatti ordinato che venissero convocati tutti i figli di stirpe reale per sposare la giovane Maria, futura madre di Gesù, allora dodicenne, che era vissuta per nove anni nel tempio. Per indicazione divina, questi celibi avrebbero condotto all'altare il loro bastone, Dio stesso ne avrebbe poi fatto fiorire uno, scegliendo così il prescelto. Zaccaria entrato nel tempio chiese responso nella preghiera, poi restituì i bastoni ai legittimi proprietari: l'ultimo era quello di Giuseppe, era in fiore e da esso uscì una colomba che si pose sul suo capo[9]. Giuseppe si schermì facendo presente la differenza d'età, ma il sacerdote lo ammonì a non disubbidire alla volontà di Dio. Allora questi, pieno di timore, prese Maria in custodia nella propria casa. Il dubbio dinanzi alla gravidanza di Maria Sogno di san Giuseppe, Antonio Palomino La vicenda di Maria e Giuseppe ha inizio nei Vangeli con l'episodio dell'Annunciazione: Nel sesto mese l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe, la vergine si chiamava Maria. Giuseppe è presentato come il discendente di Davide, sposo della Vergine divenuta protagonista del Mistero dell'Incarnazione. Per opera dello Spirito Santo, Maria concepì un Figlio "che sarà chiamato Figlio dell'Altissimo". L'angelo a conferma dell'evento straordinario, le disse poi che anche la cugina Elisabetta benché sterile, aspettava un figlio. Maria si recò subito dalla parente e al suo ritorno, essendo già al terzo mese, erano visibili i segni della gravidanza. In queste circostanze "Giuseppe suo sposo che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di allontanarla in segreto " come dice il Vangelo secondo Matteo. L'uomo non sapeva come comportarsi di fronte alla miracolosa maternità della moglie: certamente cercava una risposta all'inquietante interrogativo, ma soprattutto cercava una via di uscita da una situazione difficile senza esporre Maria alla pena della lapidazione. Ecco però che gli apparve in sogno un angelo che gli disse: "Giuseppe figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli salverà il suo popolo dai suoi peccati". Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo e prese con sé la sua sposa, accettandone il mistero della maternità e le successive responsabilità. Giuseppe, custode di Maria e del neonato Gesù Pierre Parrocel, San Giuseppe adorante il bambino Gesù, 1694. Secondo il racconto del Vangelo secondo Luca, qualche mese dopo Giuseppe si spostò insieme a Maria dalla città di Nazaret, in Galilea, a Betlemme, in Giudea, a causa di un censimento (vedi Censimento di Quirinio) della popolazione di tutto l'impero, per il quale anche lui doveva registrarsi nella sua città d'origine, insieme alla sposa. Mentre i due si trovavano a Betlemme, giunse il momento del parto e la ragazza diede alla luce il figlio "che fasciato fu posto in una mangiatoia, perché non vi era posto per loro nell'albergo". Giuseppe fu dunque testimone dell'adorazione del piccolo da parte di pastori avvisati da un angelo, e più tardi anche di quella dei magi, venuti dal lontano Oriente, secondo l'indicazione ottenuta dagli astri e da una stella in particolare. I magi "entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre e, prostratisi, lo adorarono": Giuseppe non è citato né visto ma certamente era presente all'avvenimento. Dopo otto giorni dalla nascita, secondo la legge di Mosè, avvenne la circoncisione del bambino, cui Giuseppe impose il nome Gesù. Quaranta giorni dopo lui e Maria portarono il neonato a Gerusalemme per la presentazione al tempio e lì assistettero alla profetica esaltazione del vecchio Simeone che predisse un futuro glorioso per il bambino, segno di contraddizione e gloria del suo popolo Israele. Dopo la presentazione al tempio, l'evangelista Luca ci narra che fecero ritorno in Galilea, alla loro città Nazaret. La Sacra Famiglia rimase a Betlemme per un periodo non ben determinato, sembra da un minimo di 40 giorni (Luca 2,22;2,39) a un massimo di due anni (Matteo 2,16), dopo di che secondo Matteo, avvertito in sogno da un angelo, Giuseppe con la sposa e il figlio fuggì in Egitto a causa della persecuzione del re Erode che, avendo udito il racconto dei magi, voleva liberarsi di quel "nascituro re dei Giudei", massacrando tutti i bambini di Betlemme dai due anni in giù. Dopo un periodo di esilio non ben determinato, ricevuto in sogno l'ordine di partire, poiché Erode era morto,(non poteva essere morto prima della nascita di colui che voleva uccidere) tornò con la famiglia a Nazaret, non sostando però a Betlemme a causa della monarchia di Archelao, non meno pericolosa di quella del padre. Luca non menziona il soggiorno in Egitto, ma concorda sul ritorno a Nazaret, dove Gesù visse fino all'inizio della sua vita pubblica. La vita "nascosta" di Nazaret Sacra Famiglia col cagnolino di Bartolomé Esteban Murillo. I Vangeli riassumono in poche parole il lungo periodo della fanciullezza di Gesù, durante il quale questi, attraverso una vita apparentemente normale, si preparava alla sua missione. Un solo momento è sottratto a questa "normalità" ed è descritto dal solo Luca. Bartolomé Esteban Murillo, Le due Trinità Gesù, a dodici anni, probabilmente in occasione della sua Bar mitzvah, l'iniziazione religiosa degli ebrei, partì come pellegrino insieme coi genitori verso Gerusalemme per festeggiarvi la festa di Pasqua. Trascorsi però i giorni della festa, mentre riprendeva la via del ritorno, Gesù rimase a Gerusalemme, senza che Maria e Giuseppe se ne accorgessero. Passato un giorno se ne resero conto e iniziarono a cercarlo, trovandolo dopo tre giorni di ricerche nel tempio, seduto a discutere con i dottori. Maria gli domandò: "Figlio, perché hai fatto così? Ecco tuo padre ed io, angosciati ti cercavamo". La risposta di Gesù "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?" lasciò i genitori senza parole. La morte Bartolomeo Altomonte, Morte di san Giuseppe La morte di San Giuseppe nella chiesa San Carlo Borromeo a San Marzano di San Giuseppe Tornato a Nazaret, Gesù cresceva giovane e forte, sottomesso ai genitori. Quando iniziò la sua vita pubblica, molto probabilmente Giuseppe era già morto. Infatti, non è mai più menzionato dai Vangeli dopo il passo di Luca sopra citato (talvolta Gesù è chiamato "figlio di Giuseppe", ma questo non implica che fosse ancora vivente). Maria è presente da sola alla crocifissione di Gesù, cosa che non sarebbe avvenuta se Giuseppe fosse stato vivo. Inoltre, quando Gesù è in croce, affida Maria al suo discepolo Giovanni, il quale "da quel momento la prese nella sua casa", il che non sarebbe stato necessario se Giuseppe fosse stato in vita. Mentre i Vangeli canonici non dicono nulla sulla morte di Giuseppe, qualche notizia si trova nei Vangeli apocrifi. Secondo l'apocrifo "Storia di Giuseppe il falegname", che descrive dettagliatamente il trapasso del santo, Giuseppe aveva ben 111 anni quando morì, godendo sempre di un'ottima salute e lavorando fino al suo ultimo giorno. Avvertito da un angelo della prossima morte, si reca a Gerusalemme e al suo ritorno viene colpito dalla malattia che l'avrebbe ucciso. Stremato nel suo letto, sconvolto dai tormenti, è travagliato nella mente e solo la consolazione di Gesù riesce a calmarlo. Circondato dalla sposa, viene liberato dalla visione della morte e dell'Oltretomba, scacciate subito da Gesù stesso. L'anima del santo viene quindi raccolta dagli arcangeli e condotta in paradiso. Il suo corpo viene poi sepolto con tutti gli onori alla presenza dell'intera Nazaret. Ancora oggi non sappiamo dove si trovi la tomba del santo, nelle cronache dei pellegrini che visitarono la Palestina si trovano alcune indicazioni circa il sepolcro di san Giuseppe. Due riguardano Nazaret e altre due Gerusalemme, nella valle del Cedron. Non esistono, tuttavia, argomenti consistenti al riguardo. L'entrata in Cielo di Giuseppe Grandi santi e teologi si sono mostrati convinti che Giuseppe sia stato assunto in Cielo al tempo della Risurrezione di Cristo. Così Francesco di Sales in un suo sermone: «Non dobbiamo per nulla dubitare che questo santo glorioso abbia un enorme credito nel Cielo, presso Colui che l'ha favorito a tal punto da elevarlo accanto a Sé in corpo e anima. Cosa che è confermata dal fatto che non abbiamo reliquie del suo corpo sulla terra. Così che mi sembra che nessuno possa dubitare di questa verità. Come avrebbe potuto rifiutare questa grazia a Giuseppe, Colui che gli era stato obbediente tutto il tempo della sua vita?» A tal proposito, papa Giovanni XXIII – nel maggio del 1960, in occasione dell'omelia per la canonizzazione di Gregorio Barbarigo – ha mostrato la sua prudente adesione a quest'antica «pia credenza» secondo cui Giuseppe, come anche Giovanni Battista, sarebbe risorto in corpo e anima e salito con Gesù in Cielo all'Ascensione. Il riferimento biblico sarebbe in Matteo 27,52 «...e i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E, uscendo dai sepolcri, entrarono nella Città santa e apparvero a molti...» Il Giuseppe dei Vangeli apocrifi A partire dal II secolo, vennero composti vangeli apocrifi probabilmente assecondando le sette gnostiche, in cui si nota il desiderio di approfondire misticamente le visioni del padre di Gesù e le parole dell'angelo durante i sogni, e anche di considerare l'esistenza di Giuseppe in rapporto ad alcuni brani profetici e spirituali dell'Antico Testamento. Nessuno degli antichi scritti è stato accettato come divinamente ispirato dalla Chiesa, in primo luogo per la tardività di tali scritti (II secolo e oltre) e in secondo luogo per le vistose contraddizioni presenti in essi, e rispetto ai vangeli canonici. La notorietà di tali scritti li ha comunque portati a divenire materia per artisti e scrittori, esercitando anche un certo influsso su vari pittori cristiani. San Giuseppe falegname Georges de La Tour. Il Protovangelo di Giacomo (o «Primo Vangelo» o Storia di Giacomo sulla nascita di Maria) è un testo composto nella seconda metà del II secolo, probabilmente in Egitto, con lo scopo di difendere la verginità di Maria. Già nelle prime pagine vi è una narrazione del suo fidanzamento con Giuseppe, all'età di 12 anni. Maria viene soltanto "affidata alla custodia di Giuseppe", non per vivere in futuro relazioni matrimoniali. Però i figli di Giuseppe vengono considerati come "fratelli di Gesù". Non si parla dell'età di Giuseppe. È un uomo vecchio, però ancora in grado di lavorare, così egli lascia Maria a casa e si allontana "per costruire costruzioni", cioè per lavorare alla costruzione di edifici. La frase dice: egli fu muratore. Segue il racconto molto romanzato dell'Annunciazione in cui si riporta di un Giuseppe sofferente e con numerosi sospetti. In questo vangelo si riporta la celebrazione del rito dell'oblazione di gelosia di Numeri 5,11-31. Dopo sei mesi di lavori di costruzione, Giuseppe torna a casa e vedendo Maria, è spaventato dalla sua misteriosa gravidanza. Ma l'angelo gli appare spiegandogli il mistero e obbligandolo a "guardare a Maria". Così egli parte con lei per Betlemme, dove il bambino nascerà. lì, una donna saggia di nome Salomè viene a visitare Maria e constata la sua verginità anche dopo il parto. Segue la narrazione dell'adorazione dei Magi e di altri eventi legati alla natività, ma non si nomina Giuseppe, nel vangelo più volte chiamato "servo obbediente degli ordini dell'Altissimo" e "fedele custode di Maria" Per l'infanzia di Gesù esistono nei vari apocrifi anche altre narrazioni che possono apparire inventate, ma ben accolte dalla devozione popolare nei secoli seguenti. Per esempio, nel cosiddetto Vangelo dell'infanzia di Tommaso, si hanno numerose menzioni del "padre del Salvatore che con molta fatica e pazienza si è dedicato all'educazione del bambino Gesù". Questo Vangelo dell'infanzia, che nella sua forma attuale risale al IV secolo, narra i presunti miracoli compiuti da Gesù fra i 5 e i 10 anni. Comincia con il racconto di Giuseppe che invia Gesù a scuola per imparare l'alfabeto greco. Quando il bambino ha otto anni, comincia a lavorare con Giuseppe per diventare, come lui, un agricoltore e carpentiere. Quando nel Vangelo dell'infanzia vengono riportati i miracoli di Gesù, ripresi probabilmente da quelli compiuti in Egitto, si conclude con la meravigliosa guarigione di uno dei figli di Giuseppe mortalmente ferito da un serpente velenoso. In tutto il vangelo Giuseppe appare come uomo onesto e apprezzato per la sua vicinanza ai propri figli, un padre presentato in modo agiografico attraverso l'uso del termine "Santo Giuseppe". San Girolamo smentirà l'idea di un Giuseppe vecchio e già con figli, reputando che il santo non fosse sposato prima di scegliere Maria e che fosse ancora giovane. Nell'esposizione delle sue idee viene detto: Giuseppe "contrasse matrimonio con Maria: questa era sui 14 o 15 anni, lui sui 18 o 20 anni. Queste le età solite per il matrimonio presso gli ebrei... Giuseppe e Maria vivono assieme, sotto il medesimo tetto. I giorni passano, e per Maria si avvicina il tempo del parto". San Giuseppe secondo gli scritti patristici "San Giuseppe" El Greco Scopo principale dei primi teologi cristiani è stato liberare la figura del Santo dalle varie devozioni ed eresie scaturite dagli Apocrifi e arrivare così, attraverso lo studio dei vangeli, a un accurato esame della genealogia di Gesù, del matrimonio di Giuseppe e Maria e della costituzione della Sacra Famiglia. Questi tre momenti essenziali ritornano in tutte le loro ricerche; talvolta si aggiungono anche riflessioni cristologiche, per poter interpretare certe ipotesi che riguardano la legge del matrimonio, la giustizia di Giuseppe, il valore dei suoi sogni ma non si arriva mai a poter presentare un suo profilo biografico. Il primo autore che ricorda Giuseppe è Giustino. Nel III secolo Origene in un'omelia ha voluto mettere in luce che "Giuseppe era giusto e la sua vergine era senza macchia. La sua intenzione di lasciarla si spiega per il fatto di aver riconosciuto in lei la forza di un miracolo e di un mistero grandioso. Per avvicinarsi a esso, egli si ritenne indegno" Nel IV secolo sono stati san Cirillo di Gerusalemme, san Cromazio d'Aquileia e sant'Ambrogio a fare qualche riflessione sulla verginità di Maria, sul matrimonio di Giuseppe con lei, sulla vera paternità del suo sposo. Per esempio, san Cirillo fa un paragone per spiegare la paternità di Giuseppe e lo riallaccia alla figura di sant'Elisabetta. L'interpretazione di Cromazio Di san Cromazio sono rimaste 18 prediche che riprendono i primi capitoli del Vangelo di Matteo. Egli afferma: "Non a torto Matteo ha ritenuto di dover assicurare che Cristo Signore nostro è figlio sia di Davide che di Abramo, dal momento che sia Giuseppe sia Maria traggono origine dalla schiatta di Davide, e cioè essi hanno un'origine regale". Nella terza predica Cromazio si dedica a un approfondimento teologico del racconto di Matteo 1,24-25: "Continua a narrare l'evangelista: Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa, la quale, senza che egli avesse rapporti carnali con lei; partorì un figlio, che egli chiamò Gesù. Dunque, Giuseppe viene illuminato sul sacramento del mistero celeste mediante un angelo: Giuseppe obbedisce di buon grado alle raccomandazioni dell'angelo; pieno di gioia dà esecuzione ai divini comandi; prende perciò con sé la Vergine Maria; può menare vanto delle promesse che annunciano tempi nuovi e lieti, perché, per una missione unica, qual è quella che gli affida la maestà divina, viene scelta a essere madre una vergine, la sua sposa, come egli aveva meritato di sentirsi dire dall'angelo. Ma c'è un'espressione dell'evangelista: Ed egli non la conobbe fintantoché lei non generò il figlio, che attende una chiarificazione, dal momento che gente senza criterio (gli eretici e lettori di libri apocrifi) fanno questioni a non finire; e poi dicono che, dopo la nascita del Signore, la Vergine Maria avrebbe conosciuto carnalmente Giuseppe. Ma la risposta all'obiezione mossa da coloro, viene sia dalla fede che dalla ragione della stessa verità: l'espressione dell'evangelista non può essere intesa al modo in cui l'intendono quegli stolti! Dio ci guardi dall'affermare una cosa simile, dopo che abbiamo conosciuto il sacramento di un sì grande mistero, dopo la condiscendenza (il concepimento) del Signore che si è degnato di nascere dalla Vergine Maria. Credere che lei possa aver poi avuto dei rapporti carnali con Giuseppe, Cromazio lo esclude e, per vincere categoricamente tale opinione esistente ai suoi tempi, porta l'esempio della sorella di Mosè, che volle conservare la verginità. Nomina anche Noè che «"sì impose una perenne astinenza dal debito coniugale. Se vogliamo un altro esempio, Mosè, dopo aver percepito la voce di Dio nel roveto ardente, anche lui si astenne da qualsiasi rapporto coniugale per il tempo che seguì. E sarebbe permesso credere che Giuseppe, che la Scrittura definisce uomo giusto, abbia mai potuto avere relazioni carnali con Maria, dopo che ella aveva partorito il Signore? La spiegazione del testo evangelico: Ed egli non la conobbe fintanto che lei non generò il figlio, è la seguente: spesso la Scrittura divina suole assegnare un termine a quelle cose che per sé non hanno termine e determinare un tempo per quelle cose che per sé non sono chiuse entro un determinato tempo. Ma anche per questo caso ci viene in soccorso la Scrittura; tra i molti esempi possibili ne scegliamo alcuni pochi". L'ultima ripresa della figura di Giuseppe è legata al racconto sul ritorno dalla fuga in Egitto. Secondo Ambrogio e Agostino statua di San Giuseppe - Chiesa SS. Crocifisso - S. Maria di Licodia (CT) Simili interpretazioni si possono dimostrare anche in sant'Ambrogio che, leggendo i racconti degli evangelisti, sottolinea quanto egli fosse sincero e privo di menzogna e nel vivo desiderio di presentare Giuseppe come uomo giusto, Ambrogio avverte che l'evangelista, quando spiega "l'immacolato concepimento di Cristo" vide in Giuseppe un giusto che non avrebbe potuto contaminare "Sancti Spintus templum, cioè la Madre del Signore fecondata nel grembo dal mistero" dello Spirito Santo". Nel commento classico del Vangelo, fatto poco dopo il Natale del 417 da sant'Agostino nel suo Sermone sulla Genealogia di Cristo, vengono riprese preziose notizie e opinioni anteriori. Secondo Matteo 1:18-21, Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. Egli non non volle punirla nè denunciarla, ma accettò infine una matrimonio casto e fedele con la sposa promessa da Dio, e secondo le parole dell'angelo del Signore[23][24]. "Molti perdonano le mogli adultere spinti dall'amore carnale, volendo tenerle, benché adultere, allo scopo di goderle per soddisfare la propria passione carnale. Questo marito giusto invece non vuole tenerla; il suo alletto dunque non ha nulla di carnale; eppure non la vuole nemmeno punire; il suo perdono, dunque, è solo ispirato dalla misericordia". Agostino mette in luce il significato della sua paternità spiegando come la Scrittura voglia dimostrare che Gesù non nacque per discendenza carnale da Giuseppe poiché egli era angosciato, perché non sapeva come mai la sposa fosse gravida. Per attestare la non paternità di Giuseppe, Agostino cita l'episodio dello smarrimento di Gesù al tempio quando egli dice: Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio? "Rispose così, poiché il Figlio di Dio era nel tempio di Dio. Quel tempio infatti non era di Giuseppe, ma di Dio. Poiché Maria aveva detto: Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo, egli rispose: Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio? In realtà egli non voleva far credere d'essere loro figlio senza essere nello stesso tempo Figlio di Dio. Difatti, in quanto Figlio di Dio, egli è sempre tale ed è creatore dei suoi stessi genitori; in quanto invece figlio dell'uomo a partire da un dato tempo, nato dalla Vergine senza il consenso d'uomo, aveva un padre e una madre". Agostino sente però la necessità di dire che Gesù non disconosce Giuseppe come suo padre e infatti sottolinea come il giovane Nazareno fosse durante l'adolescenza sottomesso ai suoi genitori, quindi sia a Maria che a Giuseppe. Per Agostino è molto importante spiegare la paternità di Giuseppe, poiché le generazioni sono contate secondo la sua linea genealogica e non secondo quella di Maria: "Enumeriamo perciò le generazioni lungo la linea di Giuseppe, poiché allo stesso modo che è casto marito, così è pure casto padre". Lo Pseudo-Crisostomo e lo Pseudo-Origene Nel VI secolo, ricordiamo al riguardo le omelie dello Pseudo-Crisostomo e dello Pseudo-Origene. Nell'Omelia dello Pseudo-Crisostomo Giuseppe viene messo in luce come uomo giusto in parole e in opere, giusto nell'adempimento della legge e per aver ricevuto la grazia. Per questo intendeva lasciare segretamente Maria, egli non dubitava delle sue parole ma una grande angoscia riempì il suo cuore e quando gli apparve l'angelo a Giuseppe si domandò perché non si era fatto vedere prima della concezione di Maria perché accettasse il mistero senza difficoltà. Anche nell'Omelia dello Pseudo-Origene si manifesta l'intenzione di riflettere su un messaggio anteriore dell'angelo. Egli domanda: "Giuseppe, perché hai dubbi? Perché hai pensieri imprudenti? Perché mediti senza ragionare? È Dio che viene generato ed è la vergine che lo genera. In questa generazione sei tu colui che aiuta e non colui dal quale essa dipende. Sei il servo e non il signore, il domestico e non il creatore". Negli ultimi secoli del primo millennio si continuano a studiare i diversi aspetti dell'esistenza e della missione di Giuseppe, cercando di esporre l'etimologia del suo nome, la sua discendenza davidica, e soprattutto le solite realtà biblico-teologiche. Giuseppe nel Medioevo. La nascita d'un primo culto giuseppino Statua di San Giuseppe con Bambino, custodita nella Concattedrale di Palmi Nel primo Medioevo, insieme a una più ampia devozione mariana, cominciava lentamente a fiorire anche una devozione a san Giuseppe. Gli scritti dei monaci benedettini costituiscono un valido contributo per arrivare a un inizio del culto giuseppino, rimasto però legato ai loro ambiti religiosi, dove si cominciò a inserire il nome di Giuseppe nei loro calendari liturgici o nel loro martirologio. Testi importanti sulla posizione di Giuseppe nell'opera della salvezza, si incontrano nei due grandi mistici benedettini: Ruperto di Deutz (†1130) e san Bernardo di Chiaravalle (†1153). Entrambi hanno tentato di chiamare i fedeli a una vera devozione a Giuseppe: san Bernardo di Chiaravalle ha cercato di descrivere con devoto impegno la sua umile e nascosta figura. Nei suoi Sermoni "In laudibus Virginis Mariae", composte per le feste della Madonna si trovano brani sul santo in cui è espresso che "la fama della Vergine Maria non sarebbe integra senza la presenza di Giuseppe". Sul santo, avverte Bernardo, non esiste "nessun dubbio che sia stato sempre un uomo buono e fedele. La sua sposa era la Madre del Salvatore. Servo fedele, ripeto, e saggio, scelto dal Signore per confortare la Madre sua e provvedere al sostentamento di suo figlio, il solo coadiutore fedelissimo, sulla terra, del grande disegno di Dio". L'influsso di Bernardo si manifesta anche nella letteratura e poesia medioevale, è interessante pensare qui a Dante Alighieri che degnamente invoca il nome di san Giuseppe al vertice della Divina Commedia. Tra i teologi san Bonaventura è stato il primo a ripensare al santo come protettore di Maria e Gesù Bambino nella povera grotta. Un altro francescano, il teologo Duns Scoto, sceglie alcune questioni intitolate "De matrimonio inter B.V. Mariam et sanctum Joseph". Propone una nuova spiegazione del loro sposalizio, ricorrendo alla distinzione tra il diritto sui corpi e il loro uso nel matrimonio che, secondo il teologo, è stato perfetto, sotto tutti gli aspetti, ed è da considerare una "questione divina regolata dallo Spirito Santo". Secondo san Tommaso d'Aquino la presenza di Giuseppe era necessaria nel piano dell'Incarnazione poiché senza di lui la gente avrebbe potuto dire che Gesù era un figlio illegittimo, frutto di una relazione illecita. Cristo aveva bisogno del nome, delle cure e della protezione di un padre umano, se Maria non fosse stata sposata, i Giudei l'avrebbero considerata un'adultera e l'avrebbero lapidata. Il teologo medievale continua dicendo che il matrimonio di Maria e di Giuseppe fu un vero matrimonio: "essi erano uniti l'uno all'altro dall'amore reciproco, un amore spirituale. Si scambiarono quei diritti coniugali che sono inerenti al matrimonio, anche se, per il loro voto di verginità, non ne fecero uso". Alla luce della Redemptoris Custos Il 15 agosto 1989, nel centenario dell'enciclica di Leone XIII, intitolata Quamquam Pluries, Giovanni Paolo II ha scritto un'esortazione apostolica sulla figura e la missione di san Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa; essa inizia con le parole Redemptoris Custos (Il Custode del Redentore), che definiscono il rapporto esistente tra Giuseppe e Gesù. Michelangelo Buonarroti Tondo Doni Questo importante documento pontificio, deve essere considerato come la “magna carta” della teologia di san Giuseppe, proposta ufficialmente a tutta la Chiesa, a cominciare dai Vescovi fino a tutti i fedeli. L'esortazione Redemptoris Custos è strettamente collegata con l'enciclica La Madre del Redentore, preceduta dall'enciclica Redemptor Hominis e seguita da un'altra enciclica, intitolata Redemptoris Missio, che si riferisce alla Chiesa. Appare così chiaro che il Magistero della Chiesa cattolica considera san Giuseppe inserito direttamente nel mistero della Redenzione, in stretta relazione con Gesù, verso il quale adempie la funzione di padre, con Maria, la Madre di Gesù, della quale egli è sposo, e con la Chiesa stessa, affidata alla sua protezione. Si tratta di un ruolo eccezionale, che fa da supporto alla devozione della quale san Giuseppe ampiamente gode nel cuore dei credenti e che la teologia non deve trascurare. La teologia La lode di san Giuseppe è nel Vangelo. Matteo stima talmente san Giuseppe da farne l'introduttore al suo Vangelo, che inizia appunto con la genealogia, la quale ha lo scopo di agganciare Gesù a Davide e ad Abramo proprio attraverso Giuseppe; lo presenta, inoltre, come sposo di Maria, la persona certamente più in vista nella Chiesa apostolica; lo qualifica, infine, come uomo giusto, che comporta l'approvazione della sua condotta. Per questo san Bernardo dice candidamente che la lode di san Giuseppe è nel Vangelo. Nessun santo, eccetto Maria, occupa nel Vangelo un posto così distinto. Eppure incontriamo ancora oggi chi ripete che il Vangelo ci riferisce poco o nulla di san Giuseppe e che, in ogni caso, la sua figura è marginale; di qui lo scarso interesse negli studi teologici, dove egli è del tutto ignorato. Statua di San Giuseppe in una cappella della Chiesa Notre-Dame di Amiens C'è da aggiungere che, fin dai primi secoli, una letteratura che la Chiesa considera apocrifa, perché romanzesca, ha strumentalizzato la figura di san Giuseppe, attribuendogli figli avuti da un precedente matrimonio e un'età veneranda al momento del matrimonio con Maria. Evidentemente lo scopo degli apocrifi era quello di attribuire a lui “i fratelli di Gesù”, nominati nei Vangeli, e garantire la verginità di Maria, sposata da un “vecchio” Giuseppe in seconde nozze. Contro questa letteratura sempre emergente bisogna già predicava san Girolamo, affermando che queste cose non sono “scritte” nei Vangeli e che si tratta solo di “deliri”. Le tante opere letterarie e artistiche che rappresentano san Giuseppe vecchio e quasi marginalmente sono il frutto di questa mentalità. Ecco allora la necessità di conoscere bene san Giuseppe, seguendo il Vangelo e quanto il magistero insegna su di lui attraverso la dottrina e il culto. Perché la Cristologia non può ignorare san Giuseppe Chi va a Betlemme, nella basilica della Natività, che risale all'imperatore Costantino, vede sulle pareti due genealogie di Gesù, denominate albero di Jesse e lì rappresentate nel 1169. Se la genealogia di Gesù ci viene tramandata da due evangelisti, Matteo e Luca, è chiaro che doveva essere ritenuta importante nell'annuncio del Vangelo. Nonostante le loro divergenze, che rivelano scopi differenti, in entrambe le genealogie occupano un posto rilevante il re Davide e Giuseppe. Nella Chiesa apostolica interessava, infatti, che Gesù fosse riconosciuto come figlio di Davide, titolo con il quale le folle già si rivolgevano a Gesù, nella convinzione che Egli fosse il Messia, termine che in greco si traduce con Cristo. D'altra parte, con la Pentecoste Gesù si era rivelato Figlio di Dio e ai cristiani era ormai noto che Gesù era stato concepito per opera dello Spirito Santo. Come conciliare, allora, l'origine divina di Gesù, “Figlio di Dio”, con quella umana, “figlio di Davide”? Ci troviamo qui nel mistero dell'Incarnazione, che evidentemente aveva superato i confini delle attese umane. Comprendiamo così perché l'evangelista Matteo, dopo aver collegato tutti gli antenati di Gesù con il verbo “generò”, arrivato a Giuseppe non lo usa più, ma si limita a scrivere: “Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo” (1,16). Un matrimonio vero e necessario La Chiesa crede che Maria abbia concepito Gesù in modo miracoloso per opera dello Spirito Santo e la onora come “Madre di Dio”. Se gli evangelisti, dunque, presentano Maria anche come “sposa di Giuseppe”, non dovevano certamente mancare i motivi. Tra questi, ossia perché Gesù abbia dovuto nascere da una donna “sposata”, san Tommaso d'Aquino ne indica alcuni non trascurabili: per esempio, perché gli infedeli non avessero motivo di rifiutarlo, se apparentemente illegittimo; perché Maria fosse liberata dall'infamia e dalla lapidazione; perché la testimonianza di Giuseppe garantisse la nascita di Gesù da una vergine... Matteo, tuttavia, è più interessato al motivo cristologico, che si fonda sulla discendenza di Gesù da Davide. La sua garanzia dipende appunto dal fatto che Giuseppe, “figlio di Davide”, era riconosciuto da tutti come “sposo di Maria”. I figli della moglie, infatti, non sono giuridicamente figli del marito? La legge matrimoniale sta lì proprio per questo, a difesa dell'onore della donna e della prole. Ecco perché Giovanni Paolo II scrive: “Ed anche per la Chiesa, se è importante professare il concepimento verginale di Gesù, non è meno importante difendere il matrimonio di Maria con Giuseppe, perché giuridicamente è da esso che dipende la paternità di Giuseppe” (RC, n.7). L'autenticità della paternità di san Giuseppe Accanto alla testimonianza circa l'origine divina di Gesù, incontriamo nei Vangeli anche quella che Gesù era ritenuto il figlio di Giuseppe. Limitiamoci a Filippo, che dice a Natanaele: “Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti: Gesù, figlio di Giuseppe, di Nazaret” (Giovanni 1,45). Bisogna anzi apertamente dire che il matrimonio di Giuseppe con Maria aveva talmente affermato la paternità di Giuseppe da nascondere la sua filiazione divina, ossia il Padre celeste. È stato scritto che Giuseppe è l'ombra del Padre, ma in realtà, secondo il piano di Dio, è invece, Giuseppe che ha messo in ombra il Padre. L'esortazione di Giovanni Paolo II afferma apertamente che nella santa Famiglia “Giuseppe è il padre: non è la sua una paternità derivante dalla generazione; eppure, essa non è ‘apparente', o soltanto ‘sostitutiva', ma possiede in pieno l'autenticità della paternità umana, della missione paterna nella famiglia”[25]. Ciò comporta che “con la potestà paterna su Gesù, Dio ha anche partecipato a Giuseppe l'amore corrispondente, quell'amore che ha la sua sorgente nel Padre”. Il matrimonio di Giuseppe con Maria e la conseguente legittimazione della sua paternità all'interno della famiglia sono orientate verso l'incarnazione, ossia verso Gesù che ha voluto inserirsi nel mondo in modo “ordinato”. Origene definisce Giuseppe appunto come “l'ordinatore della nascita del Signore”. Il suo matrimonio onora la maternità di Maria e garantisce a Gesù l'inserimento nella genealogia di Davide, come abbiamo visto. Ma la teologia che fa da chiave a tutta l'esortazione apostolica va ben oltre, come richiede l'unità “organica e indissolubile” tra l'incarnazione e la redenzione (n.6). Di qui l'affermazione che “san Giuseppe è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l'esercizio della sua paternità: proprio in tale modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della redenzione ed è veramente ‘ministro della salvezza'” (n.8). La definizione “Ministro della salvezza” descrive perfettamente la grandezza di san Giuseppe, che ha avuto il singolare privilegio di servire direttamente Gesù e la sua missione, ossia la sua opera salvifica. Tutti gli Angeli e i Santi servono Gesù, ma san Giuseppe, insieme con Maria, lo ha servito “direttamente” come padre. Ciò vuol dire che molte delle opere salvifiche di Gesù, definite come “misteri della vita di Cristo”, hanno avuto bisogno della “cooperazione” di san Giuseppe. Il riferimento riguarda tutti quei “misteri della vita nascosta di Gesù”, nei quali era indispensabile l'intervento paterno. Toccava al padre, infatti, iscrivere il bambino all'anagrafe, provvedere al rito della circoncisione, imporgli il nome, presentare il primogenito a Dio e pagare il relativo riscatto, proteggere il Bambino e la madre nei pericoli della fuga in Egitto. È ancora il padre Giuseppe che ha introdotto Gesù nella terra di Israele e lo ha domiciliato a Nazaret, qualificando Gesù come “Nazareno”; è Giuseppe che ha provveduto a mantenerlo, a educarlo e a farlo crescere, procurandogli cibo e vestito; da Giuseppe Gesù ha imparato il mestiere, che lo ha qualificato come “il figlio del falegname”. Non ci vuole molto sforzo a comprendere quante cose deve fare un padre dal punto umano, civile e religioso. Ebbene, tutto questo lo ha fatto anche Giuseppe. Il ‘rispetto' dell'uomo giusto Nel Vangelo di Matteo leggiamo che a Giuseppe viene attribuito il titolo di “giusto”. Esso qualifica Giuseppe, che aveva deciso di separarsi da Maria quando aveva conosciuto che aveva concepito per opera dello Spirito Santo. Tale decisione non era dettata da un sospetto, come spesso si legge, ma esprimeva, invece, il “rispetto” verso l'azione e la Presenza di Dio, tale da spiegare la fiducia che gli venne conseguentemente accordata, per mezzo dell'angelo, di tenere con sé la sua sposa e di fare da padre a Gesù. La giustizia di san Giuseppe suppone in lui un'adeguata preparazione dello Spirito Santo. Allo stesso modo che Maria non si è trovata per caso a fare da madre a Gesù, ma era stata “progettata” allo scopo, come si ricava dal dogma dell'Immacolata Concezione, così si può logicamente ritenere che “Dio nel suo amore ha predestinato Maria per san Giuseppe, san Giuseppe per Maria, tutti e due per Gesù. Se Dio ha pensato con tanto amore a Maria come madre del Redentore, ciò non fu mai indipendentemente dal suo matrimonio verginale con Giuseppe; egli non ha mai pensato a Giuseppe se non per Maria e per il suo divin Figlio, che doveva nascere verginalmente in quel matrimonio” (C. Sauvé). Ciò è in perfetto accordo con quanto Leone XIII scrive nella sua enciclica Quamquam Pluries: «È certo che la Madre di Dio poggia così in alto, che nulla vi può essere di più sublime; ma poiché tra la beatissima Vergine e Giuseppe fu stretto un nodo coniugale, non c'è dubbio che a quell'altissima dignità, per cui la Madre di Dio sovrasta di gran lunga tutte le creature, egli si avvicinò quanto mai nessun altro. Poiché il matrimonio è la massima società e amicizia, a cui di sua natura va unita la comunione dei beni, ne deriva che, se Dio ha dato come sposo Giuseppe alla Vergine, glielo ha dato non solo a compagno della vita, testimone della verginità e tutore dell'onestà, ma anche perché partecipasse, per mezzo del patto coniugale, all'eccelsa grandezza di lei». Culto Il culto di san Giuseppe, padre putativo di Gesù e simbolo di umiltà e dedizione, nella Chiesa d'Oriente era praticato già attorno al IV secolo: intorno al VII secolo la chiesa ortodossa copta ricordava la sua morte il 20 luglio. In Occidente il culto ha avuto una marcata risonanza solo attorno all'anno Mille. Festività San Giuseppe Tipo di festareligiosa Data19 marzo; 1º maggio (san Giuseppe lavoratore) ReligioneCristianesimo TradizioniVarianti di luogo in luogo Tradizioni profanefesta del papà La Chiesa cattolica ricorda san Giuseppe il 19 marzo con una solennità a lui intitolata; se il 19 marzo ricorre di domenica, la festa è spostata al giorno seguente; inoltre, negli anni in cui il 19 marzo cade nella Settimana santa, la celebrazione è anticipata al sabato prima della domenica delle Palme (per esempio, nel 2008 la solennità è stata celebrata il 15 marzo). In alcuni luoghi, come in Vaticano e in Canton Ticino, ma non in Italia, è festa di precetto. I primi a celebrarla furono i monaci benedettini nel 1030, seguiti dai Servi di Maria nel 1324 e dai Francescani nel 1399. Venne infine promossa dagli interventi dei papi Sisto IV e Pio V e resa obbligatoria nel 1621 da Gregorio XV. Fino al 1977 il giorno in cui la Chiesa cattolica celebra san Giuseppe era considerato in Italia festivo anche agli effetti civili ma con legge 5 marzo 1977 n. 54, questo riconoscimento fu abolito e da allora il 19 marzo divenne un giorno feriale. In Canton Ticino, in altri cantoni della Svizzera e in alcune province della Spagna, questo giorno è considerato festivo agli effetti civili. In Italia sono stati presentati (2008), alla Camera e al Senato, alcuni disegni di legge per il ripristino delle festività soppresse agli effetti civili (san Giuseppe, Ascensione, Corpus Domini, santi Pietro e Paolo e lunedì di Pentecoste). Un'altra festa era quella dello Sposalizio di Maria Santissima con san Giuseppe iniziata in Francia nel 1517, adottata dai Francescani nel 1537, promossa in particolar modo da san Gaspare Bertoni, celebrata il 23 gennaio. Il Santo Anello nuziale della Madonna si troverebbe conservato, secondo le tradizioni, nella Cattedrale di Perugia. Pio IX nel 1847 invece estese a tutta la Chiesa la festa del Patrocinio di san Giuseppe, già celebrata a Roma dal 1478: veniva celebrata la terza domenica dopo Pasqua e fu trasferita in seguito al terzo mercoledì dopo Pasqua. Venne, infine, sostituita nel 1955 da papa Pio XII con la festa di san Giuseppe Artigiano, assegnata al 1º maggio, affinché la festa del lavoro potesse essere condivisa a pieno titolo anche dai lavoratori cattolici. In alcuni luoghi era celebrata, il 17 febbraio, la Fuga in Egitto, conservata ancora oggi nel calendario particolare della Chiesa cattolica in Egitto, mentre i Copti la ricordano il 1º giugno. Tavola di san Giuseppe a Cocumola Lecce Tavole di San Giuseppe In Sicilia, nel Salento (per esempio a Faggiano) e in Molise sono diffuse usanze denominate “Tavole di San Giuseppe”: la sera del 18 marzo le famiglie che intendono assolvere un voto o esprimere una particolare devozione al santo allestiscono in casa un tavolo su cui troneggia un'immagine del santo e sul quale vengono poste paste, verdure, pesci freschi, uova, dolci, frutta, vino. Sono poi invitati a mensa mendicanti, familiari e amici, e tre bambini poveri rappresentanti la Santa Famiglia. Si riceve il cibo con devozione e spesso recitando preghiere, mentre tredici bambine con in testa una coroncina di fiori, dette “tredici verginelle”, cantano e recitano poesie in onore di san Giuseppe. In provincia di Caltanissetta, molto più sentito nella città di Gela, la tradizione vuole che chi intende fare voto debba, mesi prima, bussare ad ogni porta della cittadina e chiedere qualcosa da donare al povero in nome di san Giuseppe (denaro o viveri che siano). Nelle proprie abitazioni si allestiscono grandi altari con strutture in legno, adornati con numerose lenzuola bianche ricamate. All'interno si può trovare qualunque tipo di genere alimentare, dal pane alla pasta, dal vino ai liquori. La "Cena di san Giuseppe", così chiamata, viene aperta al pubblico il mezzogiorno del 18 marzo, e il 19 marzo tre persone, bisognose d'aiuto, in rappresentanza della Sacra Famiglia, vengono fatte accomodare alla tavola imbandita come dei Re e viene servita a loro la cena. Successivamente, viene divisa tra loro tutta la spesa, donata ed acquistata grazie alle donazioni dei devoti. Uno dei paesi simbolo delle tavole di San Giuseppe è proprio San Marzano di San Giuseppe in provincia di Taranto. Si svolge la tradizionale Tavola di San Giuseppe e i famosi "tredici piatti", che vengono offerti ai curiosi e turisti. È un paese che conserva le tradizioni albanesi, si parla l'antica lingua Arbereshe che parlava Giorgio Skanderbeg (Principe condottiero degli albanesi). Si svolge anche il grande Falò detto "Zjarr i Madhe", che è il più grande e antico in Italia, nato nel lontano 1866. Realizzato con l'aiuto di 5000 persone che trasportano fascini e tronchi, in più 50 carri trainati da cavalli, alcuni si inginocchiano davanti a San Giuseppe in segno di forte devozione. Talvolta è un intero quartiere a provvedere e allestire le tavole all'aperto. Alimento tradizionale di questa festa è la frittura, nota con il nome di “frittelle” a Firenze e a Roma, “zeppole” a Napoli e in Puglia, “sfincie” a Palermo. In alcune parti la festa è associata all'accensione di falò. San Giuseppe è molto onorato in tutta l'isola siciliana. Degni di menzione sono le numerose "mense" a Borgetto, sfarzosi altari ornati di veli e pietanze e gli altari di Salemi, strutture rivestite di foglie e addobbate con innumerevoli ed elaborate forme di pani realizzate a mano. In Canton Ticino sono tradizionali i "tortelli di san Giuseppe". A Gravina in Puglia c'è l'usanza di preparare la focaccia di san Giuseppe, "u ruccl" in dialetto gravinese, una sorta di calzone ripieno di cipolle sponsali, uvetta e alici sotto sale o sottolio arrotolato a forma di spirale, preparato con l'impasto della focaccia in tanto olio extravergine d'oliva. Falò di san Giuseppe Nella Val Trebbia nel cuore del territorio delle Quattro Province si festeggia ancora oggi con la festa di san Giuseppe il rito serale del Falò, che segna il passaggio dall'inverno alla primavera. Con il falò viene anche bruciato un fantoccio, la "vecchia", che simboleggia l'inverno. Molti traggono auspici per la primavera prossima da come arde il fantoccio. Il rito risale all'antico popolo dei Liguri, in occasione del particolare momento astronomico dell'equinozio, poi la tradizione pagana si fuse con quella cristiana celtico-irlandese dei monaci di san Colombano, giunti in epoca longobarda. Un tempo in tutte le vallate ardevano migliaia di falò, che infiammavano di un tenue rossore le serate della zona, ora ardono ancora nei centri comunali con piccole sagre e canti. Un dolce tipico sono le frittelle di san Giuseppe (in dialetto farsò) che accompagnano la festa. A Bobbio la festa è una tradizione millenaria[28], infatti furono i monaci irlandesi dell'Abbazia di San Colombano, fondata nel 614, a fondere il rito pagano con quello cristiano, nella luce che sconfigge le tenebre. Anche nel paese di Mormanno sono immemorabili le origini di questa tradizione che vuole che in tutti i quartieri siano accesi grossi falò in onore al Santo seguiti da musiche e balli tradizionali. A Itri, in provincia di Latina, era uso fino a qualche anno fa che già due mesi prima della festa i ragazzi, spesso accompagnati da persone adulte, si recassero nei vicini boschi a tagliare piante di giovani lecci: lo scopo era di raccogliere quante più piante possibili per poter il giorno della festa accendere il fuoco più grande tra tutti i rioni del paese. Ancora oggi nel giorno di san Giuseppe, all'imbrunire, in tutto il paese si accendono decine e decine di falò nei pressi dei quali si organizzano feste con degustazione di prodotti tipici, tra cui le zeppole di san Giuseppe, fritte direttamente accanto ai fuochi. In Puglia, a San Marzano di San Giuseppe (TA) si svolge il tradizionale Falò di San Giuseppe, ogni anno il 18 Marzo, detto "Ziarr i Madhe" che è il più grande e antico in Italia. Nato nel lontano 1866. È unico in quanto viene realizzato con oltre 50 carri di fascine di ulivo, trainati da cavalli più 5000 persone trasportano tronchi sulle spalle. Alcuni cavalli si inginocchiano davanti al Santo Patrono San Giuseppe, in segno di forte devozione. San Marzano è un paese di origine albanese dove si parla ancora la lingua arbëreshë. A Venafro (IS), in Molise, la sera del 19 marzo si accendono i tradizionali "favor" nelle piazze dei vari rioni del centro storico, ovvero dei falò di varie grandezze. Ogni rione si organizza preparando prodotti tipici e intrattenimenti musicali di vario genere, per poter accogliere al meglio le centinaia e centinaia di visitatori che affollano strade, vicoli e piazze del suggestivo e incantevole centro antico. Tra i prodotti della tradizione non possono mancare i "sciusc", le zeppole di San Giuseppe e del buon vino locale. È un rito antichissimo che a cavallo tra gli anni '80 e '90 stava gradualmente scomparendo; oggi, grazie all'impegno di giovani e meno giovani questa manifestazione sta diventando un evento in grado di richiamare visitatori da tutto il circondario. Nella città di Monte Sant'Angelo, in provincia di Foggia, la tradizione dei falò rionali è ancora viva (notte tra il 18 e il 19 marzo) e si sviluppa tra canti, balli, vino e pietanze legate alla tradizione popolare, rendendo unica e suggestionante l'atmosfera tra le viuzze del centro storico, illuminate di riflesso e a sprazzi dalle alte vampe. Anche a Mattinata, sempre in provincia di Foggia, in occasione della festa di san Giuseppe, fino a dieci anni fa, venivano accesi falò in tutti i rioni. Dal 2000 viene acceso un unico grande falò sul sagrato della chiesa abbaziale di Santa Maria Della Luce, con un programma sia religioso sia civile, con fuochi pirotecnici, balli tradizionali canti e degustazione di prodotti tipici del territorio. Anche a Serracapriola, piccolo centro dell'Alto Tavoliere alle porte del Molise, continua immutata negli anni la tradizione dei falò di san Giuseppe. Ogni anno, ragazzi ed adulti, raccolgono dai campi i cosiddetti "ceppi" cioè i rami residui dalla potatura degli olivi secolari, per formare alte pire da accendere la sera della festività del Santo; i più temerari si cimentano nel "salto del falò" a testimoniare coraggio e sprezzo del pericolo. Durante i falò vengono offerti agli spettatori presenti zeppole salate e vino. Lo stesso avviene a Torremaggiore, cittadina, anch' essa, dell'Alto Tavoliere, con le stesse modalità e formazioni, dove l'Associazione Culturale "Tradizione di Fuoco", dal 2011 ha ridato lustro a questo sentito e maestoso evento, che vede l'intera comunità unirsi nei vari falò, dove le varie associazioni, enti e comitati, nel pieno rispetto delle tradizioni propongono eventi musicali ed eno-gastronomici che attirano pubblico anche da fuori regione. Al rintocco delle campane, che avvertono la fine dei vespri, tutti i falò vengono accesi, mentre il più maestoso, quello appunto dell'Associazione Culturale "Tradizione di Fuoco", viene ritardato di circa 30 minuti per far sì che tutto il pubblico degli altri falò possa arrivare nella piazza/posteggio sito nelle vicinanze del cinema cittadino, per assistere all'accensione tecno-pirotecnica del falò, seguito dall'apertura degli stand e l'inizio degli spettacoli di balli e canti della tradizione locale. Anche a Mottola in provincia di Taranto, nel rione San Giuseppe, ove sorge una Chiesa intitolata al Santo falegname, ogni anno in occasione della festa di san Giuseppe si accendono i "fuochi" e durante la serata vengono "arrostiti" i ceci, piatto tradizionale della festa. Vampa di San Giuseppe alla Kalsa, Palermo 2019 Il fuocarone di san Giuseppe è tradizione antichissima anche a Villa Basilica nella minuscola frazione di Guzzano. Fino a qualche anno fa si accendeva il fuoco proprio il giorno di san Giuseppe, tradizione poi spostata al sabato successivo alla celebrazione. Qualche giorno prima della data del falò gli uomini del paese vanno al bosco alla ricerca di un tronco di pino che abbia le caratteristiche giuste. Il pino, tagliato, viene portato nella piazzola antistante l'abitato e piantato per terra dopo essere stato privato dei rami. Intorno viene costruito il fuocarone, con i rami stessi, la paglia e altro legno, in modo da avere una vera e propria pira alta anche una decina di metri. La sera stabilita, dopo la celebrazione della santa messa in onore del santo, viene appiccato il fuoco e, per ore, intorno a esso si canta, si suona, si balla e si consumano i cibi tipici delle nostre zone. Anche in Romagna nella vallata del fiume Montone, a Rocca San Casciano era tradizione accendere un falò la sera, all'imbrunire della vigilia di san Giuseppe, bruciando le potature di viti o rami di arbusti; non sembra ci fossero particolari piatti o riti oltre al fuoco, ma sicuramente, anche questo giorno era un buon motivo per stare a veglia con i vicini o conoscenti. Anche a Castrovillari in provincia di Cosenza, in Calabria, la sera del 18 marzo si accendono in tutti i quartieri della città dei falò chiamati "fucarine di San Giuseppe", e si eseguono balli e canti. Alla cima del falò viene issata l'immaginetta del Santo per invocare la sua protezione. Il piatto che si cucina in questa festa è la tagliatella con i ceci, in dialetto locale è chiamata "lagana con ciciri".Dal 1992 si è costituita una giuria di sagra, che decreta alla fine del falò 3 vincitori sul podio, che si aggiudicano una coppa, avendo essi costruito falò grandi e cucinato tante prelibatezze locali. A Palermo la festa di San Giuseppe è celebrata con le cosiddette "Vampe", degli enormi falò che vengono allestiti in diversi rioni della città. Nit del Foc a Valencia, 2018 Nel centro storico di Fasano in Puglia, la manifestazione consiste nell’accensione di un grande falò in Largo Seggio e Largo San Giovanni Battista. Tutt’intorno sono presenti degli stand ove è possibile degustare prodotti tipici. Anche nelle altre frazione si festeggia San Giuseppe: A Cocolicchio, per la “Fanova di San Giuseppe fra i trulli”, i trulli della piazza centrale vengono illuminati e riscaldati dal falò tra degustazioni di focaccia cotta nel forno a legna e vino prodotto nella zona del Canale di Pirro. A Torre Canne, l’evento è organizzato dal Comitato feste patronali sul porticciolo della frazione. Il falò viene accompagnato dalla degustazione di zeppole, frittura di pesce e panini col polpo. A Valencia ed in altri comuni dell'omonima regione, ogni anno dall'ultima domenica di febbraio al 19 marzo si celebrano le Falles, o Festa di San Giuseppe. A seguito di settimane di feste, concerti, sfilate e giochi pirotecnici, anche queste culminano nella "Nit del Foc", notte del fuoco in cui si incendiano centinaia di sculture di cartapesta (Falles appunto) costruite nei quartieri da maestri artigiani sovvenzionati da apposite congregazioni di quartiere (anche esse denominate Falles). Questa festa è riconosciuta come patrimonio immateriale dell'Umanità dall'UNESCO. Pratiche devozionali San Giuseppe è un santo molto onorato dalla Chiesa cattolica e per questo ricevette parecchi riconoscimenti liturgici: nel 1726 il suo nome fu inserito nelle Litanie dei santi e nel 1815 nella preghiera A cunctis; nel 1833 fu approvata la recita di un piccolo ufficio di san Giuseppe al mercoledì e undici anni dopo il nome del Santo fu annoverato fra le invocazioni nelle preghiere da recitare dopo la Messa. Nel 1889 venne prescritta la preghiera "A te o beato Giuseppe"[1], da recitare nel mese d'ottobre dopo il Rosario, mentre nel 1919 fu inserito nel Messale un prefazio proprio di san Giuseppe. Nel 1962, durante il Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII volle inserire il nome di san Giuseppe nel Canone Romano. Nel 2013 Papa Francesco, ratificando quanto già nei desideri di Benedetto XVI, ha stabilito che san Giuseppe fosse invocato dopo la Vergine Maria in tutte le altre preghiere eucaristiche del Rito Romano. La più antica pratica devozionale in onore del santo risale al 1536 ed è chiamata “pratica dei Sette dolori e allegrezze di san Giuseppe”; secondo una leggenda, riportata da fra Giovanni da Fano (1469-1539) fu il santo stesso, salvando due naufraghi da una tempesta, a promuovere e creare questa pia pratica. Nel 1597 furono pubblicate a Roma le prime Litanie di san Giuseppe, nel 1659 approvato il Cingolo o Cordone di san Giuseppe, nel 1850 la Coroncina di san Giuseppe, lo Scapolare di san Giuseppe nel 1893, per ordine della Santa Sede. Altre pratiche sono quelle del Sacro Manto, dei nove mercoledì, la Novena perpetua, la Corona Perpetua, la Corte Perpetua. I papi Pio IX e Pio XI inoltre consacrarono il mese di marzo a san Giuseppe. Chiese e patronati Simulacro di san Giuseppe del XVIII secolo (cartapesta) venerato a Cocumola- Lecce A Betlemme c'è una piccola chiesa, chiamata Casa di san Giuseppe. Secondo recenti studi questa non è la vera casa dove Gesù fu adorato dai Re Magi, perché la chiesa, ricostruita dai francescani, non può vantare una tradizione anteriore al IV secolo. In quanto alla casa di Giuseppe a Nazaret, fino al VI secolo rimase nelle mani dei giudeo-cristiani. Vi avevano eretto due chiesine, una dov'era la casa di Maria, e l'altra, dov'era la casa di Giuseppe. Lo attesta il pellegrino francese, Arculfo, che era sacerdote: "Nella chiesina dell'ex-casa di Giuseppe si trovava anche un pozzo lucidissimo dove i fedeli andavano ad attingere acqua per benedizione, tirandola con secchi dal pavimento della chiesa stessa". Nel VII secolo la pressione musulmana fece sparire questo santuario. L'altra chiesa, quella di Maria, non fu distrutta, ma esposta a pericoli. Solo nel XII secolo i crociati ricostruirono solennemente questa chiesa dedicata all'Annunciazione e vi collocarono i ricordi alla sacra famiglia, a Maria, a Giuseppe e alla sua tomba. Edificarono anche su rovine un'altra chiesa, che nella tradizione locale fu considerata come la casa di Giuseppe. In Italia la chiesa più antica dedicata al santo si trova a Bologna, costruita dai Benedettini nel 1129. A Roma la chiesa più antica è quella di San Giuseppe dei falegnami al Foro Romano, costruita nel 1540. Chiese e santuari dedicati al santo si ritrovano poi in tutto il mondo. Tra i santuari il più imponente è però quello di Montréal, in Canada, fondato nel 1904 dal beato Andrè. In Italia vi sono infine quattro basiliche minori: a Roma (San Giuseppe in Trionfale), a Brescia, a Bisceglie, a Seregno. La concattedrale di Vasto dell'arcidiocesi di Chieti-Vasto è a lui dedicata. L'8 dicembre 1870 Pio IX lo proclamò patrono della Chiesa universale, dichiarando esplicitamente la sua superiorità su tutti i santi, seconda solo a quella della Madonna. Papa Leone XIII scrisse la prima enciclica interamente riguardante il santo: la Quamquam pluries, del 15 agosto 1889. Il 26 ottobre 1921, Benedetto XV estese la festa della Sacra Famiglia a tutta la Chiesa. Innumerevoli sono le categorie che lo considerano loro speciale patrono: viene invocato per l'infanzia, gli orfani, i vergini, la gioventù, le vocazioni sacerdotali, le famiglie cristiane, i profughi, gli esiliati. È speciale patrono degli operai in genere e segnatamente dei falegnami e degli artigiani. Si ricorre a lui inoltre per le malattie agli occhi, per gli ammalati gravi ed in particolare per i moribondi. Nel secolo scorso un monumentale santuario è stato innalzato ai piedi del Vesuvio a San Giuseppe Vesuviano (Napoli), paese che ne porta il nome. Reliquie La cintura di san Giuseppe Non ci sono reliquie di ossa di san Giuseppe. Perugia dal 1477 si vanta di possedere l'anello nuziale di san Giuseppe; esso proviene da Chiusi, dove era stato portato da Gerusalemme nell'XI secolo. In Francia, nella chiesa di Notre-Dame di Joinville è conservata la cintura di san Giuseppe, là portata da un crociato, nel 1252. Ad Aquisgrana, in Germania, nel tesoro di Carlo Magno figurano delle bende, ricavate dai calzettoni di san Giuseppe per fasciare Gesù. Nel Sacro Eremo di Camaldoli (Arezzo) si conserva il bastone di san Giuseppe. Esso proviene da Nicea, offerto dal card. Basilio Bessarione, nel 1439. Un po' ovunque si possono incontrare frammenti del mantello o vesti di san Giuseppe. Nell'arte Fino al primo Medioevo, le rappresentazioni di Giuseppe nell'arte figurativa sono estremamente rare e sporadiche, per lo più in connessione con i patriarchi e gli antenati di Cristo. La più antica raffigurazione di Giuseppe come santo a sé stante, con l'attributo della verga fiorita, proviene da Taddeo Gaddi (1332-1338, affresco in Santa Croce a Firenze). A partire dalla fine del XV secolo o dagli inizi del XVI secolo, il culto di Giuseppe inizia a fiorire, promosso soprattutto da Teresa d'Avila e dalla Compagnia di Gesù, e il santo troverà accesso nell'arte figurativa. A partire dal XV secolo egli è dipinto per lo più come uomo anziano, barbuto, in abiti borghesi o da lavoratore, successivamente anche con vestiti di foggia antica. Accanto alla verga fiorita appaiono, come attributi di Giuseppe, il bastone del viandante, gli strumenti del falegname e il giglio, simbolo di purezza. In Italia s'impone la tipologia della Sacra Famiglia che nel barocco è vista anche come Trinità Terrestre. Il tipo devozionale di Giuseppe, sempre più diffuso a partire dal XVI secolo ha origine in Spagna. Il culto di san Giuseppe ha un suo vertice nella cappella di San José in Toledo, dove si trovava inizialmente anche il quadro di San Giuseppe dipinto da El Greco.
Palazzo settecentesco arricchito da decorazioni barocche, come mascheroni dai volti grotteschi e deformi. L'edificazione del palazzo risale al terzo quarto del XVIII secolo per iniziativa del barone Raffaele Cosentini portone ingresso e del figlio Giuseppe e, probabilmente, si concluse nel 1779, a questo anno risale infatti un documento che fa riferimento all'acquisto delle tegole per il tetto. Il palazzo si trova alla confluenza di due importantissime vie di comunicazione della città antica, la Salita Commendatore con la scalinata che metteva in comunicazione il quartiere inferiore con quello superiore e la strada di S. Rocco, che passando davanti alla chiesa omonima, attraversava la vallata di S. Leonardo e si collegava alle "trazzere" che conducevano a Comiso e Chiaramonte. Per questo motivo ai due cantonali si trovavano, come ci dice una descrizione dei primi anni del secolo XX, le statue dei protettori dei viandanti: S. Francesco di Paola, ancora esistente, dal lato della scalinata, e San Cristoforo oS. Rocco, dall'altro lato. palazzo cosentini Il prospetto principale dell'edificio, a due piani è delineato da due alte paraste, che terminano con un curioso capitello arricchito da festoni e dalla conchiglia, elemento tra i più caratteristici delle decorazioni barocche. I tre balconi del piano nobile si caratterizzano per la ricchezza di decorazione delle mensole con mascheroni dai volti mascheroni grotteschi e deformi, nel primo a sinistra, sormontati da figure di musici, in quello centrale, figure alludenti all'abbondanza e in quello a destra, personaggi del popolo. Il prospetto laterale è anch'esso delineato da due alte paraste ed ha un solo balcone con cinque mensole popolate di figure tra le più originali della città, "i mascaruna i l'Archi", che hanno da sempre colpito la fantasia popolare. Si tratta di cinque mascheroni grotteschi che tengono in bocca animali simbolici come la serpe e lo scorpione sovrastati da figure allegoriche dell'abbondanza: donne con grandi mammelle ed uomini che reggono cornucopie colme di frutti, alludendo alla ricchezza, vera o solo esibita, dei proprietari.
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Palazzo Cosentini
Corso Mazzini
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Palazzo settecentesco arricchito da decorazioni barocche, come mascheroni dai volti grotteschi e deformi. L'edificazione del palazzo risale al terzo quarto del XVIII secolo per iniziativa del barone Raffaele Cosentini portone ingresso e del figlio Giuseppe e, probabilmente, si concluse nel 1779, a questo anno risale infatti un documento che fa riferimento all'acquisto delle tegole per il tetto. Il palazzo si trova alla confluenza di due importantissime vie di comunicazione della città antica, la Salita Commendatore con la scalinata che metteva in comunicazione il quartiere inferiore con quello superiore e la strada di S. Rocco, che passando davanti alla chiesa omonima, attraversava la vallata di S. Leonardo e si collegava alle "trazzere" che conducevano a Comiso e Chiaramonte. Per questo motivo ai due cantonali si trovavano, come ci dice una descrizione dei primi anni del secolo XX, le statue dei protettori dei viandanti: S. Francesco di Paola, ancora esistente, dal lato della scalinata, e San Cristoforo oS. Rocco, dall'altro lato. palazzo cosentini Il prospetto principale dell'edificio, a due piani è delineato da due alte paraste, che terminano con un curioso capitello arricchito da festoni e dalla conchiglia, elemento tra i più caratteristici delle decorazioni barocche. I tre balconi del piano nobile si caratterizzano per la ricchezza di decorazione delle mensole con mascheroni dai volti mascheroni grotteschi e deformi, nel primo a sinistra, sormontati da figure di musici, in quello centrale, figure alludenti all'abbondanza e in quello a destra, personaggi del popolo. Il prospetto laterale è anch'esso delineato da due alte paraste ed ha un solo balcone con cinque mensole popolate di figure tra le più originali della città, "i mascaruna i l'Archi", che hanno da sempre colpito la fantasia popolare. Si tratta di cinque mascheroni grotteschi che tengono in bocca animali simbolici come la serpe e lo scorpione sovrastati da figure allegoriche dell'abbondanza: donne con grandi mammelle ed uomini che reggono cornucopie colme di frutti, alludendo alla ricchezza, vera o solo esibita, dei proprietari.
Il palazzo venne edificato alla fine del XVIII per iniziativa di don Mario Schininà Cosentini dei marchesi di Sant'Elia, il cui stemma, un giglio ed una cometa sormontato da una corona marchionale, è posto sul portone d'ingresso. portone ingresso Nella prima metà del XIX secolo, venne ereditato dai figli Giuseppe e Giambattista che lo divisero in due parti: nell'ala sud, tutt'ora di proprietà della famiglia Schininà, nel 1841 nacque la Beata Maria Schininà del S.Cuore. L'ala nord, invece, con il grande giardino, dal 1926 al 1935 fu sede della Prefettura della nuova Provincia di Ragusa e, nel 1949, fu ceduto dalla marchesa Carlotta Schininà al parroco della chiesa di San Giovanni Battista perchè, con l'istituzione della Diocesi di Ragusa, divenisse sede del Seminario; oggi ospita anche il Vescovato e gli uffici della Curia Diocesana. Il lungo prospetto a un piano, delimitato da una elegante parasta bugnata, nel disegno originario avrebbe dovuto occupare l'intero isolato compreso tra la via Ecce Homo ed il Corso Italia, ma è rimasto incompleto dal lato sud, dove manca tutto il primo piano, sostituito da una terrazza, e parte del pianterreno, che non è mai stato costruito. Dai due grandi portoni d'ingresso, con eleganti lesene ornate da elementi naturalistici in pietra calcarea scolpita, si accede nelle due ali del palazzo. Quello dell'ala nord immette in un ampio atrio coperto, delimitato da una artistica cancellata in ferro battuto finestra prospetto interno con lo stemma della Diocesi di Ragusa, quello del lato sud invece, immette in un cortile lastricato da cui parte, la scalinata di accesso alla terrazza sovrastante e agli appartamenti del piano superiore. Sul prospetto si aprono sette grandi balconi, quello centrale, posto sopra il portone d'ingresso ha l'apertura delineata da un'elegante cornice mistilinea lievemente concava, in pietra calcarea scolpita, con ornati di gusto rococò. Gli altri sei poggiano su grandi mensole in pietra pece con intagli a motivi vegetali ed hanno le aperture delineate anch'esse da cornici scolpite.scalinata Dal cortile del palazzo vescovile parte un sontuoso scalone, delimitato da eleganti balaustre in pietra che, dividendosi in due rampe, palazzo vescovileconduce al piano nobile del palazzo; grandi vasi in terracotta, della fine del settecento decorano le balaustre.Una cancellata affiancata da due pilastri immette nel grande giardino, un tempo ricco di rare specie vegetali, fatte piantare nel secolo XIX dal barone Giuseppe Schininà, grande esperto di scienze botaniche; di queste restano ancora alcuni esemplari come le due grandi araucarie che si elevano per circa 50 metri ai lati dell'ingresso. Sul prospetto interno è degna di nota la grande trifora centrale sormontata dalle insegne vescovili di Mons. Francesco Pennisi.
Palazzo Vescovile Schininà di Sant'Elia
109 Via Roma
Il palazzo venne edificato alla fine del XVIII per iniziativa di don Mario Schininà Cosentini dei marchesi di Sant'Elia, il cui stemma, un giglio ed una cometa sormontato da una corona marchionale, è posto sul portone d'ingresso. portone ingresso Nella prima metà del XIX secolo, venne ereditato dai figli Giuseppe e Giambattista che lo divisero in due parti: nell'ala sud, tutt'ora di proprietà della famiglia Schininà, nel 1841 nacque la Beata Maria Schininà del S.Cuore. L'ala nord, invece, con il grande giardino, dal 1926 al 1935 fu sede della Prefettura della nuova Provincia di Ragusa e, nel 1949, fu ceduto dalla marchesa Carlotta Schininà al parroco della chiesa di San Giovanni Battista perchè, con l'istituzione della Diocesi di Ragusa, divenisse sede del Seminario; oggi ospita anche il Vescovato e gli uffici della Curia Diocesana. Il lungo prospetto a un piano, delimitato da una elegante parasta bugnata, nel disegno originario avrebbe dovuto occupare l'intero isolato compreso tra la via Ecce Homo ed il Corso Italia, ma è rimasto incompleto dal lato sud, dove manca tutto il primo piano, sostituito da una terrazza, e parte del pianterreno, che non è mai stato costruito. Dai due grandi portoni d'ingresso, con eleganti lesene ornate da elementi naturalistici in pietra calcarea scolpita, si accede nelle due ali del palazzo. Quello dell'ala nord immette in un ampio atrio coperto, delimitato da una artistica cancellata in ferro battuto finestra prospetto interno con lo stemma della Diocesi di Ragusa, quello del lato sud invece, immette in un cortile lastricato da cui parte, la scalinata di accesso alla terrazza sovrastante e agli appartamenti del piano superiore. Sul prospetto si aprono sette grandi balconi, quello centrale, posto sopra il portone d'ingresso ha l'apertura delineata da un'elegante cornice mistilinea lievemente concava, in pietra calcarea scolpita, con ornati di gusto rococò. Gli altri sei poggiano su grandi mensole in pietra pece con intagli a motivi vegetali ed hanno le aperture delineate anch'esse da cornici scolpite.scalinata Dal cortile del palazzo vescovile parte un sontuoso scalone, delimitato da eleganti balaustre in pietra che, dividendosi in due rampe, palazzo vescovileconduce al piano nobile del palazzo; grandi vasi in terracotta, della fine del settecento decorano le balaustre.Una cancellata affiancata da due pilastri immette nel grande giardino, un tempo ricco di rare specie vegetali, fatte piantare nel secolo XIX dal barone Giuseppe Schininà, grande esperto di scienze botaniche; di queste restano ancora alcuni esemplari come le due grandi araucarie che si elevano per circa 50 metri ai lati dell'ingresso. Sul prospetto interno è degna di nota la grande trifora centrale sormontata dalle insegne vescovili di Mons. Francesco Pennisi.
La chiesa di Santa Maria dei miracoli è un luogo di culto in stile Barocco di Ragusa Ibla. Storia Il tempio secondo la tradizione, fu edificato intorno alla metà del XVII secolo, in seguito alla scoperta di una immagine della Madonna col Bambino. Il rinvenimento dell'icona fu considerato un avvenimento miracoloso e diede impulso all'iniziativa per la costruzione di un tempio in onore della Madonna. Stile La chiesa rimase tuttavia incompleta, manca, infatti, di un'adatta copertura probabilmente immaginata con una volta a padiglione ed i prospetti mancano del secondo ordine. Ciò nonostante la chiesa rappresenta un illustre esempio di un barocco atipico rispetto allo standard ibleo, ciò fa ipotizzare che il progettista fosse venuto probabilmente in contatto con gli ambienti del barocco romano. Molto particolare è difatti la pianta ad ottagono allungato e raffinati ed originali gli intagli delle tre porte d'ingresso. La chiesa fu chiusa al culto nel 1951 e gli arredi furono trasferiti nel duomo di San Giorgio, tra essi un dipinto che riproduce la Madonna col Bambino ritratta con un santo vescovo ed un santo monaco.
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Chiesa di Santa Maria dell'Itria
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La chiesa di Santa Maria dei miracoli è un luogo di culto in stile Barocco di Ragusa Ibla. Storia Il tempio secondo la tradizione, fu edificato intorno alla metà del XVII secolo, in seguito alla scoperta di una immagine della Madonna col Bambino. Il rinvenimento dell'icona fu considerato un avvenimento miracoloso e diede impulso all'iniziativa per la costruzione di un tempio in onore della Madonna. Stile La chiesa rimase tuttavia incompleta, manca, infatti, di un'adatta copertura probabilmente immaginata con una volta a padiglione ed i prospetti mancano del secondo ordine. Ciò nonostante la chiesa rappresenta un illustre esempio di un barocco atipico rispetto allo standard ibleo, ciò fa ipotizzare che il progettista fosse venuto probabilmente in contatto con gli ambienti del barocco romano. Molto particolare è difatti la pianta ad ottagono allungato e raffinati ed originali gli intagli delle tre porte d'ingresso. La chiesa fu chiusa al culto nel 1951 e gli arredi furono trasferiti nel duomo di San Giorgio, tra essi un dipinto che riproduce la Madonna col Bambino ritratta con un santo vescovo ed un santo monaco.

Giardini

Il giardino Ibleo è il più antico dei quattro giardini principali di Ragusa. Orari: lunedì Aperto 24 ore su 24 martedìAperto 24 ore su 24 mercoledìAperto 24 ore su 24 giovedì Aperto 24 ore su 24 venerdìAperto 24 ore su 24 sabato Aperto 24 ore su 24 domenicaAperto 24 ore su 24 La villa di Ragusa Ibla fu costruita nel 1858 per iniziativa di alcuni nobili locali e di buona parte del popolo che lavorò gratuitamente per la realizzazione dell'opera. Sorge su uno sperone di roccia che si affaccia sulla vallata del fiume Irminio, all'estremità est dell'abitato a circa 385 m s.l.m.; l'ingresso è costituito da un magnifico viale fiancheggiato da numerose palme, è assai ben curato e adornato con panchine ben scolpite, colonne con vasi in pietra scolpiti in forme diverse e una elegante balconata con recinzione in calcare. Imponente al centro della villa il monumento ai caduti della grande guerra. All'interno si trovano la chiesa di San Vincenzo Ferreri, la chiesa di San Giacomo e la chiesa dei Cappuccini. Vicino al giardino, si trovano pure gli scavi archeologici di Ragusa Ibla. Il Giardino Ibleo della città di Ragusa è molto interessante e curioso in quanto ospita un “tesoro botanico” assai prezioso e di valore scientifico non indifferente; ma non è solo la botanica ad albergare in questo antico giardino ragusano bensì in esso si trovano grandiose chiese, un museo e perfino macerie e resti di mura risalenti agli anni che precedettero il violento terremoto avvenuto nel 1693.
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Giardino Ibleo
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Il giardino Ibleo è il più antico dei quattro giardini principali di Ragusa. Orari: lunedì Aperto 24 ore su 24 martedìAperto 24 ore su 24 mercoledìAperto 24 ore su 24 giovedì Aperto 24 ore su 24 venerdìAperto 24 ore su 24 sabato Aperto 24 ore su 24 domenicaAperto 24 ore su 24 La villa di Ragusa Ibla fu costruita nel 1858 per iniziativa di alcuni nobili locali e di buona parte del popolo che lavorò gratuitamente per la realizzazione dell'opera. Sorge su uno sperone di roccia che si affaccia sulla vallata del fiume Irminio, all'estremità est dell'abitato a circa 385 m s.l.m.; l'ingresso è costituito da un magnifico viale fiancheggiato da numerose palme, è assai ben curato e adornato con panchine ben scolpite, colonne con vasi in pietra scolpiti in forme diverse e una elegante balconata con recinzione in calcare. Imponente al centro della villa il monumento ai caduti della grande guerra. All'interno si trovano la chiesa di San Vincenzo Ferreri, la chiesa di San Giacomo e la chiesa dei Cappuccini. Vicino al giardino, si trovano pure gli scavi archeologici di Ragusa Ibla. Il Giardino Ibleo della città di Ragusa è molto interessante e curioso in quanto ospita un “tesoro botanico” assai prezioso e di valore scientifico non indifferente; ma non è solo la botanica ad albergare in questo antico giardino ragusano bensì in esso si trovano grandiose chiese, un museo e perfino macerie e resti di mura risalenti agli anni che precedettero il violento terremoto avvenuto nel 1693.

Castelli

Il castello di Donnafugata si trova nel territorio del comune di Ragusa, a circa 15 chilometri dalla città. Orari: lunedì Chiuso martedì09–13, 14:30–19 mercoledì09–13, 14:30–19 giovedì 09–13, 14:30–19 venerdì09–13, 14:30–19 sabato 09–13, 14:30–19 domenica09–13, 14:30–19 L'attuale costruzione, al contrario di quanto il nome possa far pensare, è una sontuosa dimora nobiliare del tardo '800. La dimora sovrastava quelli che erano i possedimenti della ricca famiglia Arezzo De Spuches. Fin dall'arrivo il castello rivela la sua sontuosità: l'edificio copre un'area di circa 2500 metri quadrati ed un'ampia facciata in stile neogotico, coronata da due torri laterali accoglie i visitatori. Nome Ci sono varie ipotesi sull'origine del nome "Donnafugata". Usualmente viene ricondotto ad un episodio leggendario, quale la fuga della regina Bianca di Navarra, vedova del re Martino I d'Aragona e reggente del regno di Sicilia che venne imprigionata nel castello dal conte Bernardo Cabrera, che aspirava alla sua mano e, soprattutto, al titolo di re. In realtà la costruzione del castello è successiva alla leggenda. Secondo altri il nome è la libera interpretazione e trascrizione del termine arabo عين الصحة ʻAyn al-Ṣiḥḥat (Fonte della Salute) che in siciliano diviene Ronnafuata, da cui la denominazione attuale. Ma è possibile avanzare un'ipotesi ulteriore,cioè che il nome della località possa fare riferimento a un tragico e doloroso episodio verificatosi in quel luogo, ovvero il possibile ritrovamento, in un imprecisato momento storico, di un corpo femminile deceduto per soffocamento ("donna affucata", cioè " donna soffocata" o "donna morta per soffocamento"). Il toponimo si ripete in un'altra località in provincia di Palermo. Inoltre, presso Scicli, esiste anche la borgata di Donnalucata (interpretata comunemente come " donna educata"). Storia Loggia del castello. Scorcio del parco. La prima costruzione del castello sembra dovuta ai Chiaramonte, conti di Modica nel XIV secolo. Nel XV secolo potrebbe essere stata una delle residenze di Bernardo Cabrera, all'epoca gran giustiziere del Regno di Sicilia, pur se si deve tener conto del fatto che tutti i dati riguardanti tale castello, precedenti il Settecento, ivi compresa la sua primitiva costruzione, sono solo il frutto della leggenda quattrocentesca, riguardante Bernardo Cabrera e Bianca di Navarra, e sono dati che non hanno alcun riscontro probatorio storico. Successivamente, la costruzione del feudo ex Bellio-Cabrera di Donnafugata fu acquistata nel 1648 da Vincenzo Arezzo-La Rocca, già barone di Serri o Serre, che ne fece una masseria fortificata. Nel corso del tempo si trasformò in casina neoclassica e in castello neogotico. La maggior parte della costruzione si deve nell'Ottocento al discendente, il barone Corrado Arezzo, eclettico uomo di studi e politico. Attraverso varie generazioni, giunse a Clementina Paternò di Manganelli, vedova del visconte Gaetano Combes de Lestrade. Infine, dopo anni di incuria ed abbandono, nel 1982 venne acquistato dal Comune di Ragusa che, dopo lunghi lavori di restauro lo ha reso nuovamente fruibile. Interni Il castello, diviso su tre piani, conta oltre 120 stanze di cui una ventina sono oggi fruibili ai visitatori. Visitando le stanze che contengono ancora gli arredi ed i mobili originali dell'epoca, sembra quasi di fare un salto nel passato, nell'epoca degli ultimi "gattopardi". Ogni stanza era arredata con gusto diverso ed aveva una funzione diversa. Da ricordare la stanza della musica con bei dipinti a trompe-l'œil, la grande sala degli stemmi con i blasoni di tutte le famiglie nobili siciliane e due antiche armature, il salone degli specchi (ornato da stucchi), la pinacoteca con quadri neoclassici della scuola di Luca Giordano. Notevole, poi, il cosiddetto appartamento del vescovo, con splendidi mobili Boulle, riservato esclusivamente all'alto prelato (un membro della famiglia Arezzo nel Settecento). Il parco Particolare del labirinto in pietra. Intorno al castello si trova un ampio e monumentale parco di 8 ettari. Contava oltre 1500 specie vegetali e varie "distrazioni" che dovevano allietare e divertire gli ospiti, come il tempietto circolare, la Coffee House (per dare ristoro), alcune "grotte" artificiali dotate di finte stalattiti (sotto il tempietto) o il particolare labirinto in pietra costruito nella tipica muratura a secco del ragusano. Molto particolare è il fatto che nel parco si trovino degli scherzi che il barone ha fatto disporre per allietare le giornate, altrimenti noiose, al castello. Un esempio: su di un sedile è stato posizionato un irrigatore, che entrava in funzione quando un ospite ci si sedeva sopra. Un altro scherzo del barone burlone veniva attivato quando aprivano una particolare cappella posta in fondo al parco - ne usciva un monaco di pezza, spaventando la vittima dello scherzo. Attualmente gli scherzi non sono attivati, ma si sta lavorando per rimetterli in funzione. Inoltre nel parco si trovano delle tombe vuote, il cui scopo leggendario era di spaventare le donzelle: spinte dal terrore della vista di un corpo morto, andavano a rifugiarsi dal barone che era più che felice di consolarle. Il labirinto Pianta del labirinto di Hampton Court, simile a quello di Donnafugata. Tra i vari divertimenti rivolti agli ospiti del Barone, nel parco fu costruito anche un labirinto realizzato con muri a secco, in pietra bianca ragusana e sorvegliato all'ingresso da un soldato di pietra. Il labirinto riproduceva la forma trapezoidale del labirinto inglese di Hampton Court, situato vicino Londra, che probabilmente il Barone aveva visto durante uno dei suoi vari viaggi. Sui muri del tracciato si stendevano siepi di rose rampicanti che impedivano la vista e impedivano lo scavalcamento delle corsie. La stazione La stazione ferroviaria di Donnafugata. Il barone Corrado Arezzo de Spuches di Donnafugata con le sue forti influenze politiche riuscì a far modificare il tracciato della ferrovia nel tratto Ragusa - Comiso in modo da farla passare nelle vicinanze del castello e avere la propria stazione ferroviaria. Data l'importanza turistica i treni regionali tutt'oggi fermano regolarmente alla stazione di Donnafugata che dista meno di 400 m dal castello permettendo, a chi volesse, di raggiungere il sito in una breve passeggiata. Set cinematografico Il castello è stato nel corso degli anni sede di diversi set cinematografici e televisivi. Nella "stanza del biliardo" sono state girate alcune scene del film I Viceré, mentre sulla terrazza e nel parco del castello sono state girate varie scene della serie TV Il commissario Montalbano. È stato anche uno dei set de Il racconto dei racconti - Tale of Tales, film di Matteo Garrone del 2015 e del film del duo Ficarra e Picone Andiamo a quel paese . Associazione nazionale case della memoria La prestigiosa dimora è inserita nella lista delle case della memoria che ricordano la presenza di personaggi illustri. Il castello è ricordato per essere stato luogo dove vissero il Barone Corrado Arezzo de Spuches (noto politico, filantropo e cultore delle arti) e il Visconte Combe de Lestrade (diplomatico, storico e sociologo).
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Donnafugata slott
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Il castello di Donnafugata si trova nel territorio del comune di Ragusa, a circa 15 chilometri dalla città. Orari: lunedì Chiuso martedì09–13, 14:30–19 mercoledì09–13, 14:30–19 giovedì 09–13, 14:30–19 venerdì09–13, 14:30–19 sabato 09–13, 14:30–19 domenica09–13, 14:30–19 L'attuale costruzione, al contrario di quanto il nome possa far pensare, è una sontuosa dimora nobiliare del tardo '800. La dimora sovrastava quelli che erano i possedimenti della ricca famiglia Arezzo De Spuches. Fin dall'arrivo il castello rivela la sua sontuosità: l'edificio copre un'area di circa 2500 metri quadrati ed un'ampia facciata in stile neogotico, coronata da due torri laterali accoglie i visitatori. Nome Ci sono varie ipotesi sull'origine del nome "Donnafugata". Usualmente viene ricondotto ad un episodio leggendario, quale la fuga della regina Bianca di Navarra, vedova del re Martino I d'Aragona e reggente del regno di Sicilia che venne imprigionata nel castello dal conte Bernardo Cabrera, che aspirava alla sua mano e, soprattutto, al titolo di re. In realtà la costruzione del castello è successiva alla leggenda. Secondo altri il nome è la libera interpretazione e trascrizione del termine arabo عين الصحة ʻAyn al-Ṣiḥḥat (Fonte della Salute) che in siciliano diviene Ronnafuata, da cui la denominazione attuale. Ma è possibile avanzare un'ipotesi ulteriore,cioè che il nome della località possa fare riferimento a un tragico e doloroso episodio verificatosi in quel luogo, ovvero il possibile ritrovamento, in un imprecisato momento storico, di un corpo femminile deceduto per soffocamento ("donna affucata", cioè " donna soffocata" o "donna morta per soffocamento"). Il toponimo si ripete in un'altra località in provincia di Palermo. Inoltre, presso Scicli, esiste anche la borgata di Donnalucata (interpretata comunemente come " donna educata"). Storia Loggia del castello. Scorcio del parco. La prima costruzione del castello sembra dovuta ai Chiaramonte, conti di Modica nel XIV secolo. Nel XV secolo potrebbe essere stata una delle residenze di Bernardo Cabrera, all'epoca gran giustiziere del Regno di Sicilia, pur se si deve tener conto del fatto che tutti i dati riguardanti tale castello, precedenti il Settecento, ivi compresa la sua primitiva costruzione, sono solo il frutto della leggenda quattrocentesca, riguardante Bernardo Cabrera e Bianca di Navarra, e sono dati che non hanno alcun riscontro probatorio storico. Successivamente, la costruzione del feudo ex Bellio-Cabrera di Donnafugata fu acquistata nel 1648 da Vincenzo Arezzo-La Rocca, già barone di Serri o Serre, che ne fece una masseria fortificata. Nel corso del tempo si trasformò in casina neoclassica e in castello neogotico. La maggior parte della costruzione si deve nell'Ottocento al discendente, il barone Corrado Arezzo, eclettico uomo di studi e politico. Attraverso varie generazioni, giunse a Clementina Paternò di Manganelli, vedova del visconte Gaetano Combes de Lestrade. Infine, dopo anni di incuria ed abbandono, nel 1982 venne acquistato dal Comune di Ragusa che, dopo lunghi lavori di restauro lo ha reso nuovamente fruibile. Interni Il castello, diviso su tre piani, conta oltre 120 stanze di cui una ventina sono oggi fruibili ai visitatori. Visitando le stanze che contengono ancora gli arredi ed i mobili originali dell'epoca, sembra quasi di fare un salto nel passato, nell'epoca degli ultimi "gattopardi". Ogni stanza era arredata con gusto diverso ed aveva una funzione diversa. Da ricordare la stanza della musica con bei dipinti a trompe-l'œil, la grande sala degli stemmi con i blasoni di tutte le famiglie nobili siciliane e due antiche armature, il salone degli specchi (ornato da stucchi), la pinacoteca con quadri neoclassici della scuola di Luca Giordano. Notevole, poi, il cosiddetto appartamento del vescovo, con splendidi mobili Boulle, riservato esclusivamente all'alto prelato (un membro della famiglia Arezzo nel Settecento). Il parco Particolare del labirinto in pietra. Intorno al castello si trova un ampio e monumentale parco di 8 ettari. Contava oltre 1500 specie vegetali e varie "distrazioni" che dovevano allietare e divertire gli ospiti, come il tempietto circolare, la Coffee House (per dare ristoro), alcune "grotte" artificiali dotate di finte stalattiti (sotto il tempietto) o il particolare labirinto in pietra costruito nella tipica muratura a secco del ragusano. Molto particolare è il fatto che nel parco si trovino degli scherzi che il barone ha fatto disporre per allietare le giornate, altrimenti noiose, al castello. Un esempio: su di un sedile è stato posizionato un irrigatore, che entrava in funzione quando un ospite ci si sedeva sopra. Un altro scherzo del barone burlone veniva attivato quando aprivano una particolare cappella posta in fondo al parco - ne usciva un monaco di pezza, spaventando la vittima dello scherzo. Attualmente gli scherzi non sono attivati, ma si sta lavorando per rimetterli in funzione. Inoltre nel parco si trovano delle tombe vuote, il cui scopo leggendario era di spaventare le donzelle: spinte dal terrore della vista di un corpo morto, andavano a rifugiarsi dal barone che era più che felice di consolarle. Il labirinto Pianta del labirinto di Hampton Court, simile a quello di Donnafugata. Tra i vari divertimenti rivolti agli ospiti del Barone, nel parco fu costruito anche un labirinto realizzato con muri a secco, in pietra bianca ragusana e sorvegliato all'ingresso da un soldato di pietra. Il labirinto riproduceva la forma trapezoidale del labirinto inglese di Hampton Court, situato vicino Londra, che probabilmente il Barone aveva visto durante uno dei suoi vari viaggi. Sui muri del tracciato si stendevano siepi di rose rampicanti che impedivano la vista e impedivano lo scavalcamento delle corsie. La stazione La stazione ferroviaria di Donnafugata. Il barone Corrado Arezzo de Spuches di Donnafugata con le sue forti influenze politiche riuscì a far modificare il tracciato della ferrovia nel tratto Ragusa - Comiso in modo da farla passare nelle vicinanze del castello e avere la propria stazione ferroviaria. Data l'importanza turistica i treni regionali tutt'oggi fermano regolarmente alla stazione di Donnafugata che dista meno di 400 m dal castello permettendo, a chi volesse, di raggiungere il sito in una breve passeggiata. Set cinematografico Il castello è stato nel corso degli anni sede di diversi set cinematografici e televisivi. Nella "stanza del biliardo" sono state girate alcune scene del film I Viceré, mentre sulla terrazza e nel parco del castello sono state girate varie scene della serie TV Il commissario Montalbano. È stato anche uno dei set de Il racconto dei racconti - Tale of Tales, film di Matteo Garrone del 2015 e del film del duo Ficarra e Picone Andiamo a quel paese . Associazione nazionale case della memoria La prestigiosa dimora è inserita nella lista delle case della memoria che ricordano la presenza di personaggi illustri. Il castello è ricordato per essere stato luogo dove vissero il Barone Corrado Arezzo de Spuches (noto politico, filantropo e cultore delle arti) e il Visconte Combe de Lestrade (diplomatico, storico e sociologo).

EVENTI NATALE E CAPODANNO

NATALE DA VIVERE A soli metri 100 da Little Home Holiday! Dal 13 Dicembre 2019 al 06 Gennaio 2020. Presepi Natalizi, Presepi Viventi, Mercatino di Natale. Ruota Panoramica. Negozi dischiusi. PROGRAMMA COMPLETO BROCHURE COMUNE DI RAGUSA https://www.comune.ragusa.gov.it/doc/users/11/93880att_Programma%20Natale%202019.pdf https://www.comune.ragusa.gov.it/doc/users/11/93880att_Programma%20Dischiusi.pdf
Piazza Libertà
NATALE DA VIVERE A soli metri 100 da Little Home Holiday! Dal 13 Dicembre 2019 al 06 Gennaio 2020. Presepi Natalizi, Presepi Viventi, Mercatino di Natale. Ruota Panoramica. Negozi dischiusi. PROGRAMMA COMPLETO BROCHURE COMUNE DI RAGUSA https://www.comune.ragusa.gov.it/doc/users/11/93880att_Programma%20Natale%202019.pdf https://www.comune.ragusa.gov.it/doc/users/11/93880att_Programma%20Dischiusi.pdf