La guida di Gianfranco

Gianfranco
Gianfranco
La guida di Gianfranco

Visite turistiche

Opere sinfoniche, opere liriche, teatro di prosa, teatro ragazzi, festival PergolesiSpontini
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Teatro Pergolesi
9 Piazza della Repubblica
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Opere sinfoniche, opere liriche, teatro di prosa, teatro ragazzi, festival PergolesiSpontini
opere del Lorenzo Lotto; meraviglioso palazzo ricco di stucchi. La Galleria, ricavata nella facciata interna del Palazzo, ne occupa tutta la sua lunghezza. Tramite un gioco di scale e terrazze è collegata direttamente al giardino sul cui si affaccia, questo percorso costituiva l'attrattiva più impressionante dei ricevimenti e svaghi nobiliari della residenza. Con la sua lunghezza complessiva di 76 metri risulta essere la galleria settecentesca più lunga d'Italia dopo quella di Diana della Reggia di Venaria Reale nei pressi di Torino. La Galleria, unico esempio analogo in tutta l'Italia, è una vera e propria foresta di simbologie e di allegorie che attraverso un tripudio di stucchi e affreschi rococò a colori pastello, secondo un gusto di matrice mitteleuropea, sviluppa il tema dell'avventura dell'Uomo nel tempo e nello spazio. Sulle pareti e nella volta sono raffigurati il Tempo che scorre, i Mesi, i Segni Zodiacali, le Quattro Stagioni; il ciclo degli Elementi primari della natura, Terra, Acqua, Aria, Fuoco; i Quattro continenti allora conosciuti, Europa, Africa, Asia, America. Negli ovali, scene lagunari e marine, sviluppano il motivo del percorso dell'uomo verso la conoscenza sorretto dalle Arti liberali di Pittura, Scultura, Architettura e Musica. Nella volta dell'esedra finale, che funge da cardine tra la Galleria e la prima della fuga di stanze adiacenti, si svolge il tema delle Virtù cardinali, e negli stucchi sovrapporta le allegorie del Giorno e della Notte. Una vera e propria esaltazione del capriccio "Rococò" realizzato nel cuore della provincia marchigiana tra il 1767 e il 1770 dallo stuccatore e pittore milanese Giuseppe Tamanti al quale si affiancarono Giuseppe Simbeni e Andrea Mercoli. Le scene lagunari e gli ornati dei parapetti di porte e finestre, eseguiti tra il 1771 e il 1779, furono attribuiti in un primo momento a Corrado Giaquinto, già presente nelle Marche per la decorazione di Palazzo Buonaccorsi a Macerata, ma in seguito a studi più approfonditi sono stati rimandati all'aquilano Giuseppe Ciferri. Nel 1771 si diede anche inizio alla costruzione del sontuoso arredo oggi perduto.
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Palazzo Pianetti
10 Via XV Settembre
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opere del Lorenzo Lotto; meraviglioso palazzo ricco di stucchi. La Galleria, ricavata nella facciata interna del Palazzo, ne occupa tutta la sua lunghezza. Tramite un gioco di scale e terrazze è collegata direttamente al giardino sul cui si affaccia, questo percorso costituiva l'attrattiva più impressionante dei ricevimenti e svaghi nobiliari della residenza. Con la sua lunghezza complessiva di 76 metri risulta essere la galleria settecentesca più lunga d'Italia dopo quella di Diana della Reggia di Venaria Reale nei pressi di Torino. La Galleria, unico esempio analogo in tutta l'Italia, è una vera e propria foresta di simbologie e di allegorie che attraverso un tripudio di stucchi e affreschi rococò a colori pastello, secondo un gusto di matrice mitteleuropea, sviluppa il tema dell'avventura dell'Uomo nel tempo e nello spazio. Sulle pareti e nella volta sono raffigurati il Tempo che scorre, i Mesi, i Segni Zodiacali, le Quattro Stagioni; il ciclo degli Elementi primari della natura, Terra, Acqua, Aria, Fuoco; i Quattro continenti allora conosciuti, Europa, Africa, Asia, America. Negli ovali, scene lagunari e marine, sviluppano il motivo del percorso dell'uomo verso la conoscenza sorretto dalle Arti liberali di Pittura, Scultura, Architettura e Musica. Nella volta dell'esedra finale, che funge da cardine tra la Galleria e la prima della fuga di stanze adiacenti, si svolge il tema delle Virtù cardinali, e negli stucchi sovrapporta le allegorie del Giorno e della Notte. Una vera e propria esaltazione del capriccio "Rococò" realizzato nel cuore della provincia marchigiana tra il 1767 e il 1770 dallo stuccatore e pittore milanese Giuseppe Tamanti al quale si affiancarono Giuseppe Simbeni e Andrea Mercoli. Le scene lagunari e gli ornati dei parapetti di porte e finestre, eseguiti tra il 1771 e il 1779, furono attribuiti in un primo momento a Corrado Giaquinto, già presente nelle Marche per la decorazione di Palazzo Buonaccorsi a Macerata, ma in seguito a studi più approfonditi sono stati rimandati all'aquilano Giuseppe Ciferri. Nel 1771 si diede anche inizio alla costruzione del sontuoso arredo oggi perduto.
Stupenda presenza di affreschi medievali
Chiesa di San Marco
11 bis Via S. Marco
Stupenda presenza di affreschi medievali
Palazzo della Signoria Il Palazzo della Signoria, situato nella parte più elevata del centro storico, è la sede originaria della Magistratura cittadina. Nel 1586 fu ceduto al Magistrato Pontificio e da allora divenne il Palazzo del Governatore fino all’unità d’Italia. L'edificio, progettato dall'illustre architetto senese Francesco di Giorgio Martini, venne realizzato tra il 1486 e il 1498. La costruzione poggia nel lato nord-est sulle fondamenta dell'antico teatro romano e, per larga parte, su quelle del medioevale Palazzo dei Priori. Al di sopra del grande portale d'ingresso è posta un'edicola rettangolare con all'interno un grande leone rampante, stemma della città. Parte interessante del palazzo è il cortile porticato interno su disegno del Sansovino con tre ordini di logge, sebbene l'ultimo non sia mai stato completato. Biblioteca Comunale Planettiana Il palazzo è attualmente sede della biblioteca comunale che prende il nome dal prezioso fondo librario ed archivistico donato dalla famiglia Pianetti al Comune. Custodisce fondi antichi e moderni – un patrimonio librario di oltre 110.000 volumi – nonché l'Archivio storico comunale e numerosi archivi di enti e privati. Da segnalare: - la Sala maggiore con il cinquecentesco soffitto ligneo a cassettoni e la settecentesca scaffalatura lignea dell’antica libreria Pianetti, - la sala Pianetti, che ospita la rara e preziosa collezione libraria dell’omonima famiglia, ricca di volumi di eccezionale pregio e rarità che vanno dal XV e il XX secolo. All'interno della sala sono collocati anche due splendidi globi della fine del XVII secolo, opere del celebre cartografo veneto Vincenzo Coronelli. Condividi CONTATTI Telefono: 0731 538345 Fax: 0731 538388 Email: planetttiana@comune.jesi.an.it ORARI Biblioteca comunale Orario invernale: lunedì 15-19; martedì e mercoledì 9-13 / 15-19; giovedì e venerdì 9-18; sabato 9-13 dal 1 luglio al 31 agosto dal lunedì al sabato 9,00-13,00 Chiusa dal 6 al 18 agosto Per le ricerche di archivio, gli interessati sono pregati di concordare un appuntamento telefonico allo 0731/538346 Sale del fondo antico Visite guidate: martedì mattina, dalle 9.30 alle 12.30. Altre mattine e pomeriggi: previa richiesta telefonica. Gruppi: solo su prenotazione ULTIMA REVISIONE 21 giugno 2010
Signoria Palace
2 Piazza Angelo Colocci
Palazzo della Signoria Il Palazzo della Signoria, situato nella parte più elevata del centro storico, è la sede originaria della Magistratura cittadina. Nel 1586 fu ceduto al Magistrato Pontificio e da allora divenne il Palazzo del Governatore fino all’unità d’Italia. L'edificio, progettato dall'illustre architetto senese Francesco di Giorgio Martini, venne realizzato tra il 1486 e il 1498. La costruzione poggia nel lato nord-est sulle fondamenta dell'antico teatro romano e, per larga parte, su quelle del medioevale Palazzo dei Priori. Al di sopra del grande portale d'ingresso è posta un'edicola rettangolare con all'interno un grande leone rampante, stemma della città. Parte interessante del palazzo è il cortile porticato interno su disegno del Sansovino con tre ordini di logge, sebbene l'ultimo non sia mai stato completato. Biblioteca Comunale Planettiana Il palazzo è attualmente sede della biblioteca comunale che prende il nome dal prezioso fondo librario ed archivistico donato dalla famiglia Pianetti al Comune. Custodisce fondi antichi e moderni – un patrimonio librario di oltre 110.000 volumi – nonché l'Archivio storico comunale e numerosi archivi di enti e privati. Da segnalare: - la Sala maggiore con il cinquecentesco soffitto ligneo a cassettoni e la settecentesca scaffalatura lignea dell’antica libreria Pianetti, - la sala Pianetti, che ospita la rara e preziosa collezione libraria dell’omonima famiglia, ricca di volumi di eccezionale pregio e rarità che vanno dal XV e il XX secolo. All'interno della sala sono collocati anche due splendidi globi della fine del XVII secolo, opere del celebre cartografo veneto Vincenzo Coronelli. Condividi CONTATTI Telefono: 0731 538345 Fax: 0731 538388 Email: planetttiana@comune.jesi.an.it ORARI Biblioteca comunale Orario invernale: lunedì 15-19; martedì e mercoledì 9-13 / 15-19; giovedì e venerdì 9-18; sabato 9-13 dal 1 luglio al 31 agosto dal lunedì al sabato 9,00-13,00 Chiusa dal 6 al 18 agosto Per le ricerche di archivio, gli interessati sono pregati di concordare un appuntamento telefonico allo 0731/538346 Sale del fondo antico Visite guidate: martedì mattina, dalle 9.30 alle 12.30. Altre mattine e pomeriggi: previa richiesta telefonica. Gruppi: solo su prenotazione ULTIMA REVISIONE 21 giugno 2010
Corso Giacomo Matteotti
Corso Giacomo Matteotti
Interessante esempio di chiesa barocca, su impianto preesistente. Si noti l'affresco dedicato al sangue giusto
Church of Saint John Baptist
15 Corso Giacomo Matteotti
Interessante esempio di chiesa barocca, su impianto preesistente. Si noti l'affresco dedicato al sangue giusto
Santuario Delle Grazie Padri Carmelitani
43 Corso Giacomo Matteotti
bello e maestoso
Un antico ospedale con annessa farmacia del 700
Corso Giacomo Matteotti
Corso Giacomo Matteotti
Un antico ospedale con annessa farmacia del 700
In questo luogo, ancor prima che fosse una piazza, vi nacque Federico II
Piazza Federico II
Piazza Federico II
In questo luogo, ancor prima che fosse una piazza, vi nacque Federico II
Storia Il primo nucleo del Museo Diocesano ebbe origine a Jesi nel 1966, sotto la sollecitazione di S. E. Mons. Pardini. L’idea si inseriva nel clima suscitato dal Concilio Vaticano II, in cui prese campo la necessità di costituire strutture museali che raccogliessero quanto più possibile opere d’arte e di artigianato di ispirazione religiosa, perché queste fossero conosciute, valorizzate, conservate, tutelate e laddove possibile restaurate. Inizialmente la sede era stata individuata nella chiesa di San Nicolò in corso Matteotti. L’inadeguatezza di quegli spazi ad accogliere il patrimonio destinato all’esposizione spinse ad orientare la scelta della sede verso alcuni locali dell’ex Palazzo Ripanti nuovo in piazza Federico II, che fino a poco tempo prima aveva ospitato il Seminario Vescovile. La costituzione del Museo venne affidata a Mons. Costantino Urieli, Canonico Penitenziere della Cattedrale e al prof. Edoardo Pierpaoli, Direttore della Biblioteca e del Museo Civico di Jesi. L’urgenza di dare vita al Museo Diocesano, caldeggiata e sollecitata dalla Santa Sede, era dettata anche dalla pressante necessità di salvaguardare da furti le molte opere d’arte custodite presso i locali delle parrocchie e degli enti ecclesiastici. Tale iniziativa venne ufficialmente presentata sul settimanale diocesano “Voce della Vallesina” del 12 maggio 1966. Il 13 novembre 1966 venne inaugurato il Museo. Un primo catalogo di tutte le opere esposte venne pubblicato con l’occasione della I Mostra di Arte Sacra. Negli anni successivi il museo è stato oggetto di vari interventi di ristrutturazione, ampliamento e riallestimento, conclusi nel 1983. In questo anno il numero delle sale espositive è stato portato a nove. L’inaugurazione del Museo Diocesano rinnovato avvenne nel settembre del 1983. Nel 1990 si iniziò a progettare uno spazio espositivo destinato al nucleo di opere d’arte contemporanea di proprietà del Museo. Ancora oggi la sezione contemporanea è parte integrante del percorso espositivo. Percorso espositivo e opere Il Museo Diocesano di Jesi, ospitato nel Palazzo Ripanti nuovo, è stato fondato nel 1966 con lo scopo di raccogliere le testimonianze dell’arte religiosa della Vallesina. Con il passare del tempo la raccolta diocesana si è arricchita notevolmente grazie all’acquisizione di nuove importanti opere, sottratte al rischio di dispersione e di trafugamenti, purtroppo estremamente probabili in chiese chiuse o prive di sorveglianza costante. Il percorso di visita si sviluppa in nove sale con circa duecento opere tra dipinti, sculture, apparati liturgici, reliquiari, ex voto e icone che coprono un arco di tempo che va dal IV al XX secolo. Una specifica sezione ospita la collezione di opere d’arte contemporanea realizzate da alcuni dei maggiori artisti della regione. Palazzo Ripanti Nuovo Il Museo Diocesano è ospitato nei locali del Palazzo Ripanti Nuovo, sezione di un notevole complesso edilizio ristrutturato nel XVIII secolo che caratterizza la più antica piazza del centro jesino, piazza Federico II, nucleo di origine della urbs romana. Il palazzo si estende lungo il fronte meridionale della piazza inglobando anche l’edificio già sede dell’Ospedale di Santa Lucia del sec. XVI. L’immobile venne acquisito dal conte Emilio Ripanti nel 1724, ma la disponibilità effettiva vi fu soltanto dopo il 1742 con il trasferimento dell’Ospedale nella nuova sede del corso Matteotti. Solo allora vennero uniti i due immobili di proprietà dei Ripanti, sovrapassando via Santoni. Con questa opera venne a realizzarsi la più grande cubatura edilizia residenziale privata del centro storico del sec. XVIII. L’interno dell’edificio unito al primo nucleo del Palazzo Ripanti venne interamente ristrutturato e arricchito di apparati decorativi di notevole interesse artistico. L’ingresso è costituito dal grande salone, che fu sede delle due cattedre di Sacra Scrittura e di Sacra Eloquenza fondate nel 1850 dal grande musicista e munifico benefattore Gaspare Spontini. Il salone è decorato da quattro grandiose tele dipinte dal noto pittore, imprenditore e architetto jesino Domenico Luigi Valeri[3]. Esse raffigurano episodi tratti dal’Antico Testamento. Cinque deliziose tele rappresentanti amorini e putti festanti con ghirlande di fiori e frutta corrono tutto intorno alla sala, copie esatte della stessa serie eseguita dal Maratta (due delle cinque tele originali sono conservate al Louvre di Parigi). La commissione delle tele risale al 1728 e sono testimonianza della formazione pittorica del Valeri condotta all’insegna del classicismo romano. Le prime due sale espositive presentano anche una interessante partitura pittorica nel soffitto, con motivi a grottesca e vari motivi iconografici tipici dei palazzi nobiliari dei secoli XVII e XVIII.
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Museo Diocesano
7 Piazza Federico II
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Storia Il primo nucleo del Museo Diocesano ebbe origine a Jesi nel 1966, sotto la sollecitazione di S. E. Mons. Pardini. L’idea si inseriva nel clima suscitato dal Concilio Vaticano II, in cui prese campo la necessità di costituire strutture museali che raccogliessero quanto più possibile opere d’arte e di artigianato di ispirazione religiosa, perché queste fossero conosciute, valorizzate, conservate, tutelate e laddove possibile restaurate. Inizialmente la sede era stata individuata nella chiesa di San Nicolò in corso Matteotti. L’inadeguatezza di quegli spazi ad accogliere il patrimonio destinato all’esposizione spinse ad orientare la scelta della sede verso alcuni locali dell’ex Palazzo Ripanti nuovo in piazza Federico II, che fino a poco tempo prima aveva ospitato il Seminario Vescovile. La costituzione del Museo venne affidata a Mons. Costantino Urieli, Canonico Penitenziere della Cattedrale e al prof. Edoardo Pierpaoli, Direttore della Biblioteca e del Museo Civico di Jesi. L’urgenza di dare vita al Museo Diocesano, caldeggiata e sollecitata dalla Santa Sede, era dettata anche dalla pressante necessità di salvaguardare da furti le molte opere d’arte custodite presso i locali delle parrocchie e degli enti ecclesiastici. Tale iniziativa venne ufficialmente presentata sul settimanale diocesano “Voce della Vallesina” del 12 maggio 1966. Il 13 novembre 1966 venne inaugurato il Museo. Un primo catalogo di tutte le opere esposte venne pubblicato con l’occasione della I Mostra di Arte Sacra. Negli anni successivi il museo è stato oggetto di vari interventi di ristrutturazione, ampliamento e riallestimento, conclusi nel 1983. In questo anno il numero delle sale espositive è stato portato a nove. L’inaugurazione del Museo Diocesano rinnovato avvenne nel settembre del 1983. Nel 1990 si iniziò a progettare uno spazio espositivo destinato al nucleo di opere d’arte contemporanea di proprietà del Museo. Ancora oggi la sezione contemporanea è parte integrante del percorso espositivo. Percorso espositivo e opere Il Museo Diocesano di Jesi, ospitato nel Palazzo Ripanti nuovo, è stato fondato nel 1966 con lo scopo di raccogliere le testimonianze dell’arte religiosa della Vallesina. Con il passare del tempo la raccolta diocesana si è arricchita notevolmente grazie all’acquisizione di nuove importanti opere, sottratte al rischio di dispersione e di trafugamenti, purtroppo estremamente probabili in chiese chiuse o prive di sorveglianza costante. Il percorso di visita si sviluppa in nove sale con circa duecento opere tra dipinti, sculture, apparati liturgici, reliquiari, ex voto e icone che coprono un arco di tempo che va dal IV al XX secolo. Una specifica sezione ospita la collezione di opere d’arte contemporanea realizzate da alcuni dei maggiori artisti della regione. Palazzo Ripanti Nuovo Il Museo Diocesano è ospitato nei locali del Palazzo Ripanti Nuovo, sezione di un notevole complesso edilizio ristrutturato nel XVIII secolo che caratterizza la più antica piazza del centro jesino, piazza Federico II, nucleo di origine della urbs romana. Il palazzo si estende lungo il fronte meridionale della piazza inglobando anche l’edificio già sede dell’Ospedale di Santa Lucia del sec. XVI. L’immobile venne acquisito dal conte Emilio Ripanti nel 1724, ma la disponibilità effettiva vi fu soltanto dopo il 1742 con il trasferimento dell’Ospedale nella nuova sede del corso Matteotti. Solo allora vennero uniti i due immobili di proprietà dei Ripanti, sovrapassando via Santoni. Con questa opera venne a realizzarsi la più grande cubatura edilizia residenziale privata del centro storico del sec. XVIII. L’interno dell’edificio unito al primo nucleo del Palazzo Ripanti venne interamente ristrutturato e arricchito di apparati decorativi di notevole interesse artistico. L’ingresso è costituito dal grande salone, che fu sede delle due cattedre di Sacra Scrittura e di Sacra Eloquenza fondate nel 1850 dal grande musicista e munifico benefattore Gaspare Spontini. Il salone è decorato da quattro grandiose tele dipinte dal noto pittore, imprenditore e architetto jesino Domenico Luigi Valeri[3]. Esse raffigurano episodi tratti dal’Antico Testamento. Cinque deliziose tele rappresentanti amorini e putti festanti con ghirlande di fiori e frutta corrono tutto intorno alla sala, copie esatte della stessa serie eseguita dal Maratta (due delle cinque tele originali sono conservate al Louvre di Parigi). La commissione delle tele risale al 1728 e sono testimonianza della formazione pittorica del Valeri condotta all’insegna del classicismo romano. Le prime due sale espositive presentano anche una interessante partitura pittorica nel soffitto, con motivi a grottesca e vari motivi iconografici tipici dei palazzi nobiliari dei secoli XVII e XVIII.
Museo Federico II Stupor Mundi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Museo Federico II Stupor Mundi Ingresso Museo Federico II Stupor Mundi Jesi.jpg L'ingresso del Museo Federico II Stupor Mundi Ubicazione Stato Italia Italia Località Jesi Indirizzo Palazzo Ghislieri, piazza Federico II, 3 Caratteristiche Tipo Storico Fondatori Fondazione Marche, Gennaro Pieralisi Apertura 2017 Sito web Modifica dati su Wikidata · Manuale Il Museo Federico II Stupor Mundi di Jesi è il primo spazio museale dedicato alla figura di Federico II di Svevia. È collocato all’interno di palazzo Ghislieri, complesso sito nella piazza Federico II ove egli nacque, il 26 dicembre 1194. Il Museo è stato concepito come una realtà innovativa e interamente virtuale: numerose le proiezioni, le scenografie e le installazioni virtuali grazie alle quali si raccontano passaggi salienti della vita pubblica e privata dell’Imperatore. Così concepito, è il secondo museo multimediale per dimensioni in Italia, dopo il Museo M9 di Mestre (Venezia). L’allestimento museale è distribuito su sedici sale ove, in ognuna, si approfondisce una particolare tematica. Indice 1 Storia 2 Le sale 3 Voci correlate 4 Collegamenti esterni Storia L’inaugurazione del Museo è avvenuta il 1 luglio 2017 ad opera della Fondazione Marche e alla volontà, in particolare, dell’Ing. Cav. Gennaro Pieralisi. Quest’ultimo ha gestito il museo per i successivi tre anni, per poi donarlo alla città di Jesi verso la fine del 2019. Il comune di Jesi ha istituito un bando per la sua gestione per un periodo di 8 anni. Ad aggiudicarsi la responsabilità è stata la startup Rnb4Culture, la quale si occupa del Museo Federico II Stupor Mundi dal giugno 2020. Le sale Sala 1: La nascita Sala 2: Gli antenati Sala 3: Re di Germania Sala 4: Imperatore Sala 5: La Sicilia arabo normanno sveva Sala 6: Lucera dei Saraceni Sala 7: I castelli Sala 8: La porta di Capua Sala 9: I Papi e la Chiesa Sala 10: La crociata Sala 11: Impero e comuni Sala 12: La falconeria Sala 13: Cultura e saperi Sala 14: Stupor Mundi Sala 15: I discendenti Sala 16: Il mito
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Museum Federico II
3 Piazza Federico II
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Museo Federico II Stupor Mundi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Jump to navigationJump to search Museo Federico II Stupor Mundi Ingresso Museo Federico II Stupor Mundi Jesi.jpg L'ingresso del Museo Federico II Stupor Mundi Ubicazione Stato Italia Italia Località Jesi Indirizzo Palazzo Ghislieri, piazza Federico II, 3 Caratteristiche Tipo Storico Fondatori Fondazione Marche, Gennaro Pieralisi Apertura 2017 Sito web Modifica dati su Wikidata · Manuale Il Museo Federico II Stupor Mundi di Jesi è il primo spazio museale dedicato alla figura di Federico II di Svevia. È collocato all’interno di palazzo Ghislieri, complesso sito nella piazza Federico II ove egli nacque, il 26 dicembre 1194. Il Museo è stato concepito come una realtà innovativa e interamente virtuale: numerose le proiezioni, le scenografie e le installazioni virtuali grazie alle quali si raccontano passaggi salienti della vita pubblica e privata dell’Imperatore. Così concepito, è il secondo museo multimediale per dimensioni in Italia, dopo il Museo M9 di Mestre (Venezia). L’allestimento museale è distribuito su sedici sale ove, in ognuna, si approfondisce una particolare tematica. Indice 1 Storia 2 Le sale 3 Voci correlate 4 Collegamenti esterni Storia L’inaugurazione del Museo è avvenuta il 1 luglio 2017 ad opera della Fondazione Marche e alla volontà, in particolare, dell’Ing. Cav. Gennaro Pieralisi. Quest’ultimo ha gestito il museo per i successivi tre anni, per poi donarlo alla città di Jesi verso la fine del 2019. Il comune di Jesi ha istituito un bando per la sua gestione per un periodo di 8 anni. Ad aggiudicarsi la responsabilità è stata la startup Rnb4Culture, la quale si occupa del Museo Federico II Stupor Mundi dal giugno 2020. Le sale Sala 1: La nascita Sala 2: Gli antenati Sala 3: Re di Germania Sala 4: Imperatore Sala 5: La Sicilia arabo normanno sveva Sala 6: Lucera dei Saraceni Sala 7: I castelli Sala 8: La porta di Capua Sala 9: I Papi e la Chiesa Sala 10: La crociata Sala 11: Impero e comuni Sala 12: La falconeria Sala 13: Cultura e saperi Sala 14: Stupor Mundi Sala 15: I discendenti Sala 16: Il mito
https://it.wikipedia.org/wiki/Jesi
Via Pergolesi
Via Pergolesi
https://it.wikipedia.org/wiki/Jesi
Le mura di Jesi sono l'antica cinta di difesa della città di Jesi (AN) nelle Marche. È una delle più complete e meglio conservate del periodo rinascimentale e uno dei maggiori esempi della regione. Racchiude il nucleo medievale della città, di compatta forma trapezoidale, per un perimetro di circa 1,5 km. Indice 1 Storia e Architettura 2 Galleria d'immagini 3 Bibliografia 4 Altri progetti 5 Collegamenti esterni Storia e Architettura il torrione di Mezzogiorno, Baccio Pontelli, 1454 Porta Valle, sulle mura meridionali il torrione del Montirozzo, del XIV-XV secolo, simbolo della città Vennero erette a partire dal XIII-XIV secolo sul tracciato delle più antiche mura romane del castrum, ampliandolo, rappresentando il simbolo della libertà comunale. Le mura facevano parte di un sistema difensivo esemplare e completo che comprendeva elementi costruttivi e di integrazione naturale: la Rocca urbana, posta sull'area più elevata della città, ultimo baluardo di difesa dagli attacchi esterni (si trovava in piazza della Repubblica, a ridosso dell'arco del Magistrato e del Comune, fu demolita nel XIX secolo); la torre della Guardia, eretta intorno al 1350 sulla cima di una collina meridionale dominante la Vallesina dalla quale si aveva una capacità visiva dagli Appennini al mare (venne fatta saltare dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale); il Vallato, canale utilizzato anche per l'irrigazione di tutta la "Vallesina" e che costituiva un argine naturale di difesa intorno al tratto meridionale delle mura, superabile solo con ponti levatoi in corrispondenza alle porte di entrata. Infine ripidi pendii naturali sui lati nord e est. Tutte le mura vennero via via rinnovate, rinforzate e ristrutturate nel corso del Rinascimento, sia per nuove esigenze verificatasi con l'evoluzione dell'artiglieria, sia per rimarcare l'importanza, il pregio e l'avanguardia della Respubblica Æsina. Famosi architetti militari quali Francesco di Giorgio Martini e Baccio Pontelli vennero chiamati a intraprendere i lavori. La cinta si sviluppa per una lunghezza di circa un chilometro e mezzo, e la sua conformazione varia in rapporto alla morfologia del terreno che presenta livelli di quota differenziati, dalla pianura (66 m s.l.m.) alla collina (96 m s.l.m.). Fu in questo periodo che vennero abbattuti i merli ghibellini che caratterizzavano il profilo murario e identificavano politicamente la città. Infatti nel XV secolo i merli avevano perduto la loro funzione con l'avvento delle armi da fuoco. Le mura si presentano come alti muraglioni cortinati con beccatelli, rinforzati da torrioni e aperte da sette porte, oggi ne restano aperte solo quattro, le principali, poste all'entrata dei quattro punti cardinali secondo il vecchio tracciato delle due vie primarie: il Cardo e il Decumano. Sul lato nord è porta Bersaglieri, l'ultima ad essere aperta; ad ovest porta Garibaldi, a est l'arco del Magistrato, facente parte della vecchia rocca, e a sud porta Valle, sulle mura più base. Le mura della parte meridionale, racchiuse tra il torrione Rotondo e il torrione di Mezzogiorno (costruito nel 1454), erano fiancheggiate da un fossato, oggi interrato, e si presentano "basse", caratterizzate da semplici cortine verticali con beccatelli e caditoie. Si fanno più alte e imponenti sul versante orientale, poste sui pendii, che hanno cortine rafforzate con scarpata per una maggior difesa contro le artiglierie. mura occidentali. Tutta la cinta è intervallata da torri di difesa e torrioni angolari. Il maggiore è il poligonale torrione di Mezzogiorno, cosiddetto dalla sua posizione, costruito da Baccio Pontelli nel 1454; il torrione Rotondo, posto nell'angolo est delle mura di "Valle"; il torrione del Montirozzo, divenuto il simbolo di Jesi, unico resto delle mura trecentesche ancora visibile, dove nel XVII secolo venne sopraelevato il caratteristico torricino di due piani e le logge. Altri vari torrioni poligonali si intersecano lungo il perimetro, due sono andati perduti, il torrione dell'antico fortino di San Floriano, posto a difesa di porta Garibaldi, demolito negli '20 per l'ampliamento della sede stradale; e il torrione della Rocca o Cassero, prospiciente piazza della Repubblica, di fianco all'arco del Magistrato, e abbattuto nel 1890, costituiva l'ultimo resto della Rocca Pontelliana che sorgeva sulla parte più alta, quella nord-occidentale dove si apriva il prolungamento della città "nuova", la cosiddetta "Addizione di Terravecchia". Eretta su progetto di Baccio Pontelli, appunto, a partire dal 1487 venne già demolita nel 1527. Precedentemente vi era già un'altra rocca, costruita nel 1282 e distrutta, forse solo parzialmente nel 1423 per poi essere ricostruita a partire dal 1433 da Francesco Sforza. Delle due rocche (quella duecentesco-sforzesca e quella pontelliana) restano testimonianze sotto l'adiacente palazzo comunale. Ancora presente, invece, la pusterla attraverso l'odierno "palazzo Battaglia". A partire dal XVII secolo le mura hanno, gradualmente, perso la loro funzione di difesa e sono iniziate le manomissioni e sopraelevati di abitazioni civili. Del cammino di ronda, che originariamente seguiva l'intero tracciato, sono rimasti solo brevi tratti, alcuni dei quali coperti e muniti di finestre ad arco.
Piazza Baccio Pontelli
Piazza Baccio Pontelli
Le mura di Jesi sono l'antica cinta di difesa della città di Jesi (AN) nelle Marche. È una delle più complete e meglio conservate del periodo rinascimentale e uno dei maggiori esempi della regione. Racchiude il nucleo medievale della città, di compatta forma trapezoidale, per un perimetro di circa 1,5 km. Indice 1 Storia e Architettura 2 Galleria d'immagini 3 Bibliografia 4 Altri progetti 5 Collegamenti esterni Storia e Architettura il torrione di Mezzogiorno, Baccio Pontelli, 1454 Porta Valle, sulle mura meridionali il torrione del Montirozzo, del XIV-XV secolo, simbolo della città Vennero erette a partire dal XIII-XIV secolo sul tracciato delle più antiche mura romane del castrum, ampliandolo, rappresentando il simbolo della libertà comunale. Le mura facevano parte di un sistema difensivo esemplare e completo che comprendeva elementi costruttivi e di integrazione naturale: la Rocca urbana, posta sull'area più elevata della città, ultimo baluardo di difesa dagli attacchi esterni (si trovava in piazza della Repubblica, a ridosso dell'arco del Magistrato e del Comune, fu demolita nel XIX secolo); la torre della Guardia, eretta intorno al 1350 sulla cima di una collina meridionale dominante la Vallesina dalla quale si aveva una capacità visiva dagli Appennini al mare (venne fatta saltare dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale); il Vallato, canale utilizzato anche per l'irrigazione di tutta la "Vallesina" e che costituiva un argine naturale di difesa intorno al tratto meridionale delle mura, superabile solo con ponti levatoi in corrispondenza alle porte di entrata. Infine ripidi pendii naturali sui lati nord e est. Tutte le mura vennero via via rinnovate, rinforzate e ristrutturate nel corso del Rinascimento, sia per nuove esigenze verificatasi con l'evoluzione dell'artiglieria, sia per rimarcare l'importanza, il pregio e l'avanguardia della Respubblica Æsina. Famosi architetti militari quali Francesco di Giorgio Martini e Baccio Pontelli vennero chiamati a intraprendere i lavori. La cinta si sviluppa per una lunghezza di circa un chilometro e mezzo, e la sua conformazione varia in rapporto alla morfologia del terreno che presenta livelli di quota differenziati, dalla pianura (66 m s.l.m.) alla collina (96 m s.l.m.). Fu in questo periodo che vennero abbattuti i merli ghibellini che caratterizzavano il profilo murario e identificavano politicamente la città. Infatti nel XV secolo i merli avevano perduto la loro funzione con l'avvento delle armi da fuoco. Le mura si presentano come alti muraglioni cortinati con beccatelli, rinforzati da torrioni e aperte da sette porte, oggi ne restano aperte solo quattro, le principali, poste all'entrata dei quattro punti cardinali secondo il vecchio tracciato delle due vie primarie: il Cardo e il Decumano. Sul lato nord è porta Bersaglieri, l'ultima ad essere aperta; ad ovest porta Garibaldi, a est l'arco del Magistrato, facente parte della vecchia rocca, e a sud porta Valle, sulle mura più base. Le mura della parte meridionale, racchiuse tra il torrione Rotondo e il torrione di Mezzogiorno (costruito nel 1454), erano fiancheggiate da un fossato, oggi interrato, e si presentano "basse", caratterizzate da semplici cortine verticali con beccatelli e caditoie. Si fanno più alte e imponenti sul versante orientale, poste sui pendii, che hanno cortine rafforzate con scarpata per una maggior difesa contro le artiglierie. mura occidentali. Tutta la cinta è intervallata da torri di difesa e torrioni angolari. Il maggiore è il poligonale torrione di Mezzogiorno, cosiddetto dalla sua posizione, costruito da Baccio Pontelli nel 1454; il torrione Rotondo, posto nell'angolo est delle mura di "Valle"; il torrione del Montirozzo, divenuto il simbolo di Jesi, unico resto delle mura trecentesche ancora visibile, dove nel XVII secolo venne sopraelevato il caratteristico torricino di due piani e le logge. Altri vari torrioni poligonali si intersecano lungo il perimetro, due sono andati perduti, il torrione dell'antico fortino di San Floriano, posto a difesa di porta Garibaldi, demolito negli '20 per l'ampliamento della sede stradale; e il torrione della Rocca o Cassero, prospiciente piazza della Repubblica, di fianco all'arco del Magistrato, e abbattuto nel 1890, costituiva l'ultimo resto della Rocca Pontelliana che sorgeva sulla parte più alta, quella nord-occidentale dove si apriva il prolungamento della città "nuova", la cosiddetta "Addizione di Terravecchia". Eretta su progetto di Baccio Pontelli, appunto, a partire dal 1487 venne già demolita nel 1527. Precedentemente vi era già un'altra rocca, costruita nel 1282 e distrutta, forse solo parzialmente nel 1423 per poi essere ricostruita a partire dal 1433 da Francesco Sforza. Delle due rocche (quella duecentesco-sforzesca e quella pontelliana) restano testimonianze sotto l'adiacente palazzo comunale. Ancora presente, invece, la pusterla attraverso l'odierno "palazzo Battaglia". A partire dal XVII secolo le mura hanno, gradualmente, perso la loro funzione di difesa e sono iniziate le manomissioni e sopraelevati di abitazioni civili. Del cammino di ronda, che originariamente seguiva l'intero tracciato, sono rimasti solo brevi tratti, alcuni dei quali coperti e muniti di finestre ad arco.
Le sale del palazzo,costrutio nel '500, espongono numerose opere d'arte antica, moderna e contemporanea. Sono visitabli altresì la Sala Convegni, una biblioteca di nicchia delle pubbicazoni edite dalle Fondazioni bancarie italiane, l'Archivio Storico e il Caveau con l'esposizone delle monte e delle banconote in lire coniate dalla Costituente fino all'entrata in vigore dell'euro. Ingresso: gratuito
Fondazione Cassa Risparmio Di Jesi
4 Piazza Angelo Colocci
Le sale del palazzo,costrutio nel '500, espongono numerose opere d'arte antica, moderna e contemporanea. Sono visitabli altresì la Sala Convegni, una biblioteca di nicchia delle pubbicazoni edite dalle Fondazioni bancarie italiane, l'Archivio Storico e il Caveau con l'esposizone delle monte e delle banconote in lire coniate dalla Costituente fino all'entrata in vigore dell'euro. Ingresso: gratuito
In Piazza Colocci, a metà strada fra la piazza che ospita il Teatro Pergolesi e quella che nel 1194 diede i natali a Federico II di Svevia, sorge l’antica residenza dei marchesi Colocci Vespucci. I Colocci, probabilmente di origine longobarda, si trasferirono intorno al IX secolo dall’Umbria alla Valle dell’ Esino, tra Staffolo e Cupramontana. A Jesi giunsero alla fine del 1200 e da allora molti esponenti ricoprirono importanti mansioni giuridiche in città (ricordiamo priori, gonfalonieri e magistrati). Fu in seguito al matrimonio tra l’eroe risorgimentale Antonio Colocci (1793 – 1847) e Enrichetta Vespucci, ultima erede della casata del famoso navigatore fiorentino, che i discendenti di questa nobile famiglia acquisirono il doppio cognome. E’ documentato che la famiglia Colocci fosse proprietaria di una casa prospiciente l’attuale piazza almeno fin dal 1435, anno in cui ser Angelo – nonno dell’Angelo umanista – chiese l’autorizzazione a costruire un portico davanti alla facciata della sua casa. E’ proprio nel suo esser poco museo e molto casa di abitazione che risiede il fascino della Casa Museo Colocci Vespucci. Dopo una prima trasformazione settecentesca, l’appartamento al secondo piano che ospita le sale espositive venne ristrutturato nei primi anni del ‘900 da Adriano Colocci Vespucci, viaggiatore instancabile, deputato al Parlamento nazionale del Regno d’Italia e giornalista. Le stanze di rappresentanza rimasero immutate, a testimoniare un costume di vita che faceva del “ricevere” una vera e propria attività sociale primaria, con le sue regole e le sue convenzioni. Superato l’ingresso, decorato con gli stemmi delle famiglie Colocci e Vespucci, troviamo il Salotto Rosso e il Salotto giallo, spazi in cui accogliere gli ospiti per ascoltare musica, fare conversazione e declamare poesie. Il Salone delle feste, con ampie finestre che si affacciano sulla piazza, era utilizzato solo per le occasioni più importanti; l’arredamento, compreso il pianoforte ottocentesco, è accostato alle pareti, così da avere uno spazio adeguato per il ballo. Lo studiolo e la stanza dell’archivio, con il grande armadio a muro a tutta altezza, ci permettono di conoscere meglio Adriano Colocci Vespucci, che fu fervente custode e profondo conoscitore della ricchissima e prestigiosa biblioteca che proprio l’umanista Angelo Colocci per primo iniziò ad organizzare. Dai documenti di famiglia, conservati sin dalle origini, riuscì anche a ricostruire l’albero genealogico dei Colocci. Osservando i mobili e i numerosi quadri che arredano le diverse stanze – perlopiù dipinti di devozione o esaltazione del casato – è possibile immergersi nello stile di vita di questa importante famiglia jesina. Le vetrine e le consolles ospitano ancora utensili da lavoro, soprammobili, servizi di tazze e memorie familiari in disordinato assetto cronologico, come in una qualsiasi altra abitazione. Nel 1984 l’Amministrazione Comunale ha acquisito gran parte del Palazzo Colocci, insieme agli arredi e all’archivio storico della famiglia, dalla marchesa Maria Cristina Colocci Vespucci, ultima erede del casato. Dal 1985 l’appartamento del secondo piano è sede del Museo dedicato al padre, Adriano Colocci Vespucci.
Museo Colocci
8 Piazza Angelo Colocci
In Piazza Colocci, a metà strada fra la piazza che ospita il Teatro Pergolesi e quella che nel 1194 diede i natali a Federico II di Svevia, sorge l’antica residenza dei marchesi Colocci Vespucci. I Colocci, probabilmente di origine longobarda, si trasferirono intorno al IX secolo dall’Umbria alla Valle dell’ Esino, tra Staffolo e Cupramontana. A Jesi giunsero alla fine del 1200 e da allora molti esponenti ricoprirono importanti mansioni giuridiche in città (ricordiamo priori, gonfalonieri e magistrati). Fu in seguito al matrimonio tra l’eroe risorgimentale Antonio Colocci (1793 – 1847) e Enrichetta Vespucci, ultima erede della casata del famoso navigatore fiorentino, che i discendenti di questa nobile famiglia acquisirono il doppio cognome. E’ documentato che la famiglia Colocci fosse proprietaria di una casa prospiciente l’attuale piazza almeno fin dal 1435, anno in cui ser Angelo – nonno dell’Angelo umanista – chiese l’autorizzazione a costruire un portico davanti alla facciata della sua casa. E’ proprio nel suo esser poco museo e molto casa di abitazione che risiede il fascino della Casa Museo Colocci Vespucci. Dopo una prima trasformazione settecentesca, l’appartamento al secondo piano che ospita le sale espositive venne ristrutturato nei primi anni del ‘900 da Adriano Colocci Vespucci, viaggiatore instancabile, deputato al Parlamento nazionale del Regno d’Italia e giornalista. Le stanze di rappresentanza rimasero immutate, a testimoniare un costume di vita che faceva del “ricevere” una vera e propria attività sociale primaria, con le sue regole e le sue convenzioni. Superato l’ingresso, decorato con gli stemmi delle famiglie Colocci e Vespucci, troviamo il Salotto Rosso e il Salotto giallo, spazi in cui accogliere gli ospiti per ascoltare musica, fare conversazione e declamare poesie. Il Salone delle feste, con ampie finestre che si affacciano sulla piazza, era utilizzato solo per le occasioni più importanti; l’arredamento, compreso il pianoforte ottocentesco, è accostato alle pareti, così da avere uno spazio adeguato per il ballo. Lo studiolo e la stanza dell’archivio, con il grande armadio a muro a tutta altezza, ci permettono di conoscere meglio Adriano Colocci Vespucci, che fu fervente custode e profondo conoscitore della ricchissima e prestigiosa biblioteca che proprio l’umanista Angelo Colocci per primo iniziò ad organizzare. Dai documenti di famiglia, conservati sin dalle origini, riuscì anche a ricostruire l’albero genealogico dei Colocci. Osservando i mobili e i numerosi quadri che arredano le diverse stanze – perlopiù dipinti di devozione o esaltazione del casato – è possibile immergersi nello stile di vita di questa importante famiglia jesina. Le vetrine e le consolles ospitano ancora utensili da lavoro, soprammobili, servizi di tazze e memorie familiari in disordinato assetto cronologico, come in una qualsiasi altra abitazione. Nel 1984 l’Amministrazione Comunale ha acquisito gran parte del Palazzo Colocci, insieme agli arredi e all’archivio storico della famiglia, dalla marchesa Maria Cristina Colocci Vespucci, ultima erede del casato. Dal 1985 l’appartamento del secondo piano è sede del Museo dedicato al padre, Adriano Colocci Vespucci.
Il Museo delle Arti della Stampa di Jesi è stato istituito nel 2000 per documentare la lunga e importante tradizione tipografica della città che ha visto per prima la nascita, nella regione Marche, di una tipografia e, contestualmente, la stampa di una delle prime edizioni della Divina Commedia, nel 1472, ad opera del tipografo Federico de’ Conti. Il museo ha sede nel cinquecentesco Palazzo Pianetti Vecchio e si sviluppa in un ampio e luminoso salone dove, in uno scenario suggestivo e di grande effetto visivo, sono esposti torchi e macchine da stampa di varie epoche insieme a libri rari e di pregio. Pertanto il percorso museale evidenzia e approfondisce i due aspetti che caratterizzano l'invenzione che ha cambiato la storia del sapere umano: i macchinari tipografici e i libri come prodotto finale. I volumi esposti ripercorrono la storia del libro a stampa dagli incunaboli a bellissimi esemplari del XIX secolo, attraverso i loro caratteri estrinseci: frontespizio, formato, iniziali ornate, marche tipografiche, legature e illustrazioni. Tra questi è da sottolineare la presenza di alcune edizioni aldine, alcuni esemplari di una rara raccolta di avvisi e gazzette e di almanacchi, uno splendido esemplare dell’edizione bodoniana dell’Iliade del 1808 e altri ancora. I torchi, le macchine da stampa, gli strumenti tipografici quali compositoi, vantaggi, matrici, una interessante collezione di caratteri mobili conservati nelle casse originali ripercorrono la storia della stampa dal punto di vista tecnologico, dalla stampa piana con un torchio ligneo del XVIII secolo a quella piano-cilindrica, dalla composizione manuale con i caratteri mobili a quella meccanica con la linotype. Il materiale esposto è tutto di provenienza locale: infatti i torchi, i macchinari e gli strumenti tipografici sono di tipografie jesine o di paesi limitrofi. Il Museo delle Arti della Stampa è un museo vivo, dinamico e ha in sé grandi potenzialità; alcuni torchi tipografici e per la stampa d’arte, con la relativa strumentazione, sono funzionanti e vengono messi a disposizione sia delle scuole, per le quali sono proposti dei laboratori didattici, che di coloro che si avvicinano alla conoscenza delle tecniche tipografiche o di stampa d’arte antiche (xilografia, calcografia e litografia). Il museo conserva anche gli archivi delle tipografie da cui provengono i macchinari esposti. Tali archivi sono consultati da studenti e da studiosi e sono una inesauribile fonte documentaria di notizie relative alla vita pubblica, politica e sociale e alle attività private, legate a più di 100 anni di storia, e non solo. CONTATTI Museo delle Arti e della Stampa Lo Studio per le Arti della Stampa è collocato al piano terreno di Palazzo Pianetti vecchio ed è immediatamente raggiungibile dalla zona di Porta Valle Via Valle, 3 60035 Jesi (AN) Tel.: 0731 - 64272 Email: sas@comune.jesi.an.it -www.turismojesi.it
Museo Della Stampa
3 Via Valle
Il Museo delle Arti della Stampa di Jesi è stato istituito nel 2000 per documentare la lunga e importante tradizione tipografica della città che ha visto per prima la nascita, nella regione Marche, di una tipografia e, contestualmente, la stampa di una delle prime edizioni della Divina Commedia, nel 1472, ad opera del tipografo Federico de’ Conti. Il museo ha sede nel cinquecentesco Palazzo Pianetti Vecchio e si sviluppa in un ampio e luminoso salone dove, in uno scenario suggestivo e di grande effetto visivo, sono esposti torchi e macchine da stampa di varie epoche insieme a libri rari e di pregio. Pertanto il percorso museale evidenzia e approfondisce i due aspetti che caratterizzano l'invenzione che ha cambiato la storia del sapere umano: i macchinari tipografici e i libri come prodotto finale. I volumi esposti ripercorrono la storia del libro a stampa dagli incunaboli a bellissimi esemplari del XIX secolo, attraverso i loro caratteri estrinseci: frontespizio, formato, iniziali ornate, marche tipografiche, legature e illustrazioni. Tra questi è da sottolineare la presenza di alcune edizioni aldine, alcuni esemplari di una rara raccolta di avvisi e gazzette e di almanacchi, uno splendido esemplare dell’edizione bodoniana dell’Iliade del 1808 e altri ancora. I torchi, le macchine da stampa, gli strumenti tipografici quali compositoi, vantaggi, matrici, una interessante collezione di caratteri mobili conservati nelle casse originali ripercorrono la storia della stampa dal punto di vista tecnologico, dalla stampa piana con un torchio ligneo del XVIII secolo a quella piano-cilindrica, dalla composizione manuale con i caratteri mobili a quella meccanica con la linotype. Il materiale esposto è tutto di provenienza locale: infatti i torchi, i macchinari e gli strumenti tipografici sono di tipografie jesine o di paesi limitrofi. Il Museo delle Arti della Stampa è un museo vivo, dinamico e ha in sé grandi potenzialità; alcuni torchi tipografici e per la stampa d’arte, con la relativa strumentazione, sono funzionanti e vengono messi a disposizione sia delle scuole, per le quali sono proposti dei laboratori didattici, che di coloro che si avvicinano alla conoscenza delle tecniche tipografiche o di stampa d’arte antiche (xilografia, calcografia e litografia). Il museo conserva anche gli archivi delle tipografie da cui provengono i macchinari esposti. Tali archivi sono consultati da studenti e da studiosi e sono una inesauribile fonte documentaria di notizie relative alla vita pubblica, politica e sociale e alle attività private, legate a più di 100 anni di storia, e non solo. CONTATTI Museo delle Arti e della Stampa Lo Studio per le Arti della Stampa è collocato al piano terreno di Palazzo Pianetti vecchio ed è immediatamente raggiungibile dalla zona di Porta Valle Via Valle, 3 60035 Jesi (AN) Tel.: 0731 - 64272 Email: sas@comune.jesi.an.it -www.turismojesi.it